998 Matrix: quando Ducati arrivò a Hollywood

998 Matrix: quando Ducati arrivò a Hollywood

La storia della collaborazione con Hollywood, la nascita della 998 Matrix, i retroscena delle riprese in sella alle 996 utilizzate sul set.

Nei souk di Marrakech ci sono venditori formidabili, ma nessuno è bravo quanto Federico Minoli, ovvero l’amministratore delegato di Ducati nell’ormai lontano 2002.

Entrò nel suo ufficio Francesco Rapisarda, da poco divenuto direttore della comunicazione di Borgo Panigale. «Mi hanno telefonato dalla Warner Bros: stanno girando il secondo episodio di “Matrix”, si chiama “Matrix Reloaded” e ci sarà il più lungo inseguimento in moto della storia di Hollywood. Ci propongono di farlo con una Ducati 996».

Si chiama “product placement”: un prodotto viene inserito nella trama del film, o di altro, ed è una tecnica di comunicazione efficacissima.

“Rapi” aveva lavorato per marchi come Camel e Aprilia in passato e più volte aveva fatto accordi del genere. Ma si pagano, e la richiesta era impegnativa: 500.000 dollari, forse addirittura 1 milione.

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Minoli non fece una piega: «No, funziona in un modo completamente diverso: il nostro marchio è talmente forte che noi diamo un vantaggio a chi usa le nostre moto. Paradossalmente dovrebbero essere loro a pagare noi».

Rapisarda trasmise la risposta e qualche ora dopo la segretaria di Produzione richiamò dall’America proponendo la metà della cifra.

Nuovo consulto con Minoli: «Ma tu vuoi continuare a lavorare in Ducati o non hai capito come funziona? Te lo ripeto per l’ultima volta, noi non paghiamo niente».

Scherzava, ma diceva sul serio.

Però Andy e Larry Wachowski, autori e registi di Matrix, volevano proprio quella moto, la volevano a tutti i costi.

La forza del marchio, e di Minoli, fece sì che le condizioni di Ducati fossero accettate.

Di più. David Gross, guru del marketing che allora lavorava per Borgo Panigale, siglò un accordo di licenza per produrre successivamente una serie di moto “Matrix”. Ma di queste avremo modo di parlare dopo.

The-Matrix-Reloaded-(2003)
Il famoso film Matrix dei fratelli Wachowski, con Keanu Reeves attore protagonista, ha avuto numerosi sequel: fra questi molto importante fu Matrix Reloaded, uscito nelle sale nel 2003. Il film riscosse un notevole successo di pubblico, risultando il terzo maggiore incasso fra tutti quelli apparsi in quell’anno. Sicuramente un grande risultato di immagine per Ducati, considerata la famosa sequenza dell’inseguimento eseguito in sella a una 996!

Tutta la parte operativa relativa a questa operazione dedicata per il film venne affidata alla filiale americana di Ducati, che come da richiesta verniciò alcune 996 in un particolarissimo “verde-schermo-da-computer” e le vendette alla Produzione. Era già dai concessionari il nuovo modello 998, ma un pubblico generalista non si sarebbe accorto della differenza.

Il fatto che vennero allestite più moto non deve stupire; avere diversi esemplari identici del veicolo usato nelle riprese è pratica comune e lo è ancora di più se sono previste acrobazie: interrompere i lavori per un guasto o un incidente avrebbe costi elevatissimi, tra il personale inattivo e gli alberghi prenotati, le attrezzature noleggiate, i permessi che scadono, a cui si aggiungerebbe, disastrosamente, il ritardo dell’arrivo sugli schermi.

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Nel film, la 996, in un’inusuale colorazione verde scuro, è protagonista di un furioso inseguimento in autostrada. Ducati pensò bene, nel 2004, di sfruttare tale visibilità per presentare al pubblico un’edizione limitata in 300 esemplari: nasce così la Ducati 998 Matrix, riconoscibilissima proprio per la medesima colorazione.

Per il furibondo inseguimento di ”Matrix Reloaded” l’esigenza di riserve era particolarmente forte: in sella a una 996, e con un anziano signore dai tratti orientali appollaiato sul sellino posteriore (il “Costruttore di chiavi”), il personaggio di Trinity salta dal tetto di una bisarca su di un tratto di autostrada trafficatissimo.

Poi, cercando di sfuggire al cattivo Smith – Hugo Weaving – che da una macchina le vuole sparare, fugge infilandosi con passaggi pericolosissimi in mezzo alle automobili, tra scarti improvvisi e specchietti sfiorati; quando viene stretta contro il muro da un camion riesce miracolosamente a fermarsi a ruote inchiodate, poi con un burn out gira la moto e riparte in contromano sull’autostrada, a tutto gas, scartando con manovre da brivido le automobili che adesso vengono in senso opposto e la vedono l’ultimo momento. Sempre con lo “zavorrino” abbarbicato là dietro.

Va tutto bene finché avviene nel film. Ma nella realtà registrare quelle scene da brivido è stata una faccenda complicata e costosa. Sì, anche maledettamente pericolosa, motivo per cui in quel frangente i panni di Trinity non sono stati rivestiti dall’attrice protagonista, Carrie Ann Moss, ma da Debbie Evans, la più famosa delle stunt girls motocicliste.

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Per girare quelle scene ci sono voluti tre mesi e un finto tratto di autostrada lungo 2400 metri, delimitato da un muro alto quasi 6 metri in legno e compensato che sembrava cemento; l’impianto era stato costruito appositamente nella base navale in disuso di Alameda, in California, con una spesa di 2,5 milioni di dollari; le scene erano state prima studiate da un gruppo di lavoro, provandole su un plastico, quindi si passò alla simulazione al computer valutando anche gli angoli e le prospettive di ripresa delle telecamere.

Quando si arrivò alla fase pratica, nelle decine di autoveicoli protagonisti di un traffico caotico non c’era nemmeno un guidatore che non sapesse con precisione quale fosse il suo posto.

Naturalmente non tutto ciò che si vede è vero: molte automobili sono reali, ma quelle che Trinity sfiora più da vicino sono create al computer: tecnicamente si chiamano immagini CGI (Computer Generated Images, cioè per l’appunto “immagini generate dal computer”).

Sulla pavimentazione stradale c’erano segni di riferimento che indicavano il punto esatto nel quale la moto doveva scartare e lì sarebbe stata inserita l’automobile virtuale; mentre le linee bianche tratteggiate erano un po’ più corte del normale, per fare tutto a una velocità inferiore e montarlo poi a velocità accelerata senza che nessuno se ne potesse accorgere.

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Protagonista delle famose scene, la stuntgirl americana Debbie Evans che le girò al posto, ovviamente, dell’attrice protagonista Carrie Ann Moss. Un lavoro pericoloso quello dello stuntman, come dimostrano anche le disavventure in cui occorse la pur bravissima Debbie durante la realizzazione del film!

Tutto facile allora? Mica tanto. Perché il rischio c’era sul serio e il copione imponeva che Debbie Evans guidasse senza casco e vestita dell’aderente costume nero di Trinity, sotto il quale lo spazio per inserire protezioni era minimo.

«Avevo delle gomitiere che si adattavano perfettamente e ho potuto strizzarle dentro le maniche – il suo racconto – Ho indossato ginocchiere e parastinchi molto sottili, e ho infilato un paio di cuscinetti per i fianchi tolti dai miei pantaloni da motocross. La biancheria intima lunga mi dava un altro strato di protezione e la parrucca con i capelli neri riparava un po’ la testa».

Precauzioni più che motivate, gli imprevisti sono all’ordine del giorno nel lavoro di una controfigura. Infatti durante le riprese c’è scappato lo scontro frontale.

Basta un malinteso: Debbie stava zigzagando tra le macchine che venivano in senso opposto e se n’è trovata una di fronte. Nell’impatto il paraurti dell’automobile si è piegato in due ma la stunt è stata fortunata, in ospedale le hanno riscontrato “solo” contusioni al piede e alla gamba, nessuna frattura.

Tornata in albergo, Debbie ha messo il piede in un bidone di acqua ghiacciata e la mattina dopo era di nuovo sul set, con un’altra Ducati 996.

Nel passaggio a filo di un camion a rimorchio il rischio è stato ancora maggiore. Il copione prevedeva che la moto venisse ”chiusa” mentre cercava di sgusciare fra l’autotreno e il muro, e che Trinity riuscisse a evitare il disastro con una frenata disperata.

«Puoi calcolare tutto ma a volte lo scenario cambia in un istante. Mentre eravamo stretti fra il camion e il bordo strada, il rimorchio ha sbandato e ha sbattuto contro il muro, vicinissimo al punto in cui ci eravamo fermati noi. Su una motocicletta non sei protetta quanto fra le lamiere di un’auto, sono stata contenta quando abbiamo finito di girare quella sequenza!».

È stato piuttosto impegnativo anche il salto dal tetto della bisarca: in due da un’altezza di 4 metri, con una moto ben lontana da quelle da cross.

Anche qui è venuta in aiuto la tecnica del cinema: la 996 era appesa a un sistema di carrucole che sporgeva dal camion e le toglieva peso. È lo stesso trucco che permette agli attori di fare balzi prodigiosi, cancellando poi i macchinari al computer, in post produzione.

Ma anche così bisognava comunque atterrare davanti alla cabina dell’autotreno e schizzare a tutto gas lungo l’autostrada.

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Il particolare marchingegno che aiutò la 996 nel salto dal tetto del tir.

«Era uno stunt piuttosto ambizioso, la Ducati 996 non è fatta per i salti. Però ci siamo riusciti. Lo stuntman del Costruttore di chiavi era Will Leong ma per quella particolare acrobazia ho voluto come passeggero David Barrett, che oltre ad essere un cascadeur è un pilota professionista di motocross: sa saltare, ha il senso dell’aria, infatti quasi non sentivo di averlo dietro. Abbiamo ripetuto la scena sei o sette volte ed è andato tutto bene. Certo che con quella moto gli atterraggi sono stati piuttosto duri!».

Sono state tre settimane molto intense quelle di Debbie Evans, ma sono anche quelle che le hanno dato la maggiore popolarità, insieme a molte soddisfazioni che le sono valse uno dei suoi sette Taurus World Stunt, il premio Oscar delle controfigure; proprio nel 2003, anno di uscita del film, è stata inserita nella Hall of Fame dell’AMA, la federazione motociclistica americana; prima ancora, subito dopo avere terminato il lavoro di “Matrix”, si è vista consegnare una Ducati 996 rossa, regalo dei fratelli Wachowski, riconoscenti.

Ci sono cose che non hanno prezzo…

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Keanu Reeves posa con la sua 998 Matrix. L’attore è un grande appassionato di moto.

Però non è stato male nemmeno insegnare a guidare la moto a Carrie Ann Moss, che non lo aveva mai fatto prima. L’ha seguita fino a quando non è stata sufficientemente sicura da guidare sotto l’occhio delle telecamere che la riprendevano, montate su veicoli speciali, e con un passeggero.

«È stato un risultato grandissimo per una principiante, con una moto così veloce e così pronta nella risposta all’acceleratore».

«Carrie Ann Moss Roy, che non aveva mai condotto una moto in vita sua, ha imparato a guidare una Ducati 998. Wow!», ha confermato recentemente in una intervista Keanu Reeves mostrando la sua, una delle repliche prodotte su licenza tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004.

Di quella 998 Matrix vennero costruiti appena 331 esemplari, 14 dei quali monoposto, perfettamente identici alla moto standard, ma nel caratteristico colore verde scuro metallizzato e con gli adesivi del film sul codino.

In base allo stesso accordo vennero costruite anche 121 Monster 620 Matrix, sebbene questa nel film proprio non compaia: cupolino, coprisella e lo stesso evocativo verde scuro metallizzato, con due adesivi ai lati del serbatoio che riproducono le scritte di uno schermo da computer. Le une e le altre erano pensate per il mercato americano, ma ne vennero distribuite anche in Europa.

Trovarne una è piuttosto difficile. Quella della foto seguente l’avete vista su Cuoredesmo già qualche tempo fa, era la 998 Matrix di Stefano Montresor e oggi è di Stefano Bertolotti che di “Matrix” è appassionatissimo. E se la tiene ben stretta!

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Una delle pochissime (l’unica?) Matrix presente in Italia.

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