Questo non è il racconto di un’impresa epica, di una vittoria eclatante. Questo è il racconto di una figura fondamentale che la storia della Ducati ha dimenticato e che alla storia della Casa di borgo Panigale tenteremo di restituire.
Non entreremo nel merito di come e perché la figura di Eugenio Marzi, classe 1904, sia stata a lungo ignorata; forse per quel suo essere schivo, forse per la tendenza a non voler stare al centro dell’attenzione o forse anche perché nella storia di quel periodo tutto quel che succedeva si diluiva nella semplicità e nella naturalezza di svolgere un lavoro, nel volerlo fare bene, senza proclami e senza smania di protagonismo.
Tutto si svolgeva nella dimensione del rigore, della tendenza a portare a compimento, nella migliore maniera possibile, la mansione che ti era stata assegnata.
La famiglia di Eugenio è una famiglia benestante, con il padre Dario titolare di una fiorente azienda di distribuzione di pompe per l’irrigazione agricola.
Il figlio maggiore, che è appunto Eugenio, gira l’Italia curandone la manutenzione e l’istallazione: siamo negli anni tra le due guerre mondiali.
L’Azienda dei Marzi sembra vivere senza particolari problemi, con la propria sede nella periferia di Reggio Emilia, a Villa Masone, e quella di Eugenio sembra essere una storia come tante altre, destinato un giorno a prendere in mano la ditta di famiglia assieme ai suoi fratelli, una volta che il padre si fosse chiamato da parte.
Sarebbe probabilmente andata così, se una gelata eccezionale, nell’inverno del 1932, non avesse bruciato la maggior parte dei vigneti, facendo crollare la vendita delle pompe che venivano usate per bagnare le foglie delle viti e tenere così lontani i parassiti.
Le commesse della ditta dei Marzi precipitano, il padre tenta di restituire le pompe acquistate presso una ditta in Svizzera, ma non c’è verso: segue una causa in tribunale che decreta la rovina dell’Azienda.
Eugenio, che si sente un peso per la famiglia, riesce a farsi assumere dalla Superla Radio Cresa di Bologna, forte delle proprie conoscenze in materia di elettrotecnica.
Il destino di Eugenio Marzi e della Società Scientifica Radiobrevetti Ducati si incrociano quando quest’ultima incorpora la Superla; siamo alla fine degli anni trenta del Novecento.
La storia di Eugenio e della sua carriera in Ducati parte da li, attraversando il periodo della seconda guerra mondiale e gli eventi terribili che questo si porta appresso: la conversione dell’Azienda alla produzione bellica, il bombardamento che la rade al suolo…
Sono anni drammatici. Eugenio ha i lasciapassare del comando tedesco, come lavoratore fondamentale nella produzione connotata dalle esigenze italo-tedesche nel conflitto.
Finalmente la guerra finisce e la Ducati è alla ricerca della propria dimensione futura. Accanto alla produzione tradizionale prebellica, fatta di radio, fotocamere, apparecchi elettrici, arriva il Cucciolo 48 una volta acquistati i brevetti dalla SIATA.
Siamo agli albori della storia motociclistica di Ducati, quando ancora la produzione di moto non è che un’ipotesi, una possibilità, diluita nel ventaglio delle direzioni più varie.
Nell’Italia del dopoguerra, nell’Italia della ricostruzione, la nuova sfida è la mobilità. E’ qui che la storia cambia, che a Borgo Panigale si sceglie di intraprendere un indirizzo preciso: costruire moto e assicurare alle famiglie italiane la possibilità di motorizzarsi.
Notato per la propria attitudine alla meccanica, Eugenio Marzi, l’elettrotecnico, viene spostato nel reparto di produzione del Cucciolo e diventa protagonista e testimone dell’evoluzione dell’idea stessa del micro motore: da semplice motore ausiliario per biciclette a propulsore di un veicolo propriamente strutturato e specificatamente definito.
Nasce in Ducati la motocicletta e per promuoverla bisogna gareggiare e vincere, per elevarsi al di sopra di una concorrenza quanto mai agguerrita.
In questa atmosfera di entusiasmo, Marzi fa carriera e viene promosso capo del Reparto Prototipi ne 1951.
Da lì in poi, fino al 1964, l’anno del pensionamento, ogni moto della Ducati passa attraverso di lui e dei tecnici a lui affidati.
Il Cucciolo, ormai imprescindibilmente Ducati, si sviluppa nelle versioni, aumenta di cilindrata e gareggia dappertutto, conquistando a più riprese vittorie e record, dietro alle quali c’è il lavoro di Eugenio.
Si corrono le prime gare di Gran Fondo, nasce la Ducati 98. Sotto la direzione di Marzi, arriva in azienda il giovanissimo Franco Farnè, che ne raccoglierà il ruolo a capo del reparto esperienze avanzate dopo il 1964, ma arrivano anche altri personaggi di spessore.
L’ingegnere Montano, a capo dell’Azienda sotto amministrazione statale, vuole la vittoria al Giro d’Italia del 1954: così arriva Fabio Taglioni.
Da qui la storia nota deve riaccogliere il tecnico di Masone come protagonista di rilievo, capace di tradurre, insieme agli uomini che lavorarono con lui nel reparto, il sogno di Fabio Taglioni dalla carta alla realtà, capace di dare al puntiglioso sogno del “Doctor T”, il Desmo, la possibilità di funzionare e di funzionare bene.
Non sono pochi i mal di stomaco generati in Eugenio dalla sfida rappresentata dall’idea dell’ingegner Fabio: i due si confrontano, si ascoltano, rispettano reciprocamente i propri ruoli e il Desmo di Taglioni può finalmente divenire il tratto caratterizzante della Ducati, quello che la porterà a elevarsi al di sopra della massa.
C’è da fare in quegli anni: dirigere il Reparto Prototipi e Corse, organizzare il lavoro dei collaudatori, seguire i piloti nelle gare, organizzare la rete dell’assistenza soprattutto per le gare di Gran Fondo, definire infine le moto di produzione. Tutto questo passa per il reparto diretto da Eugenio Marzi, compresa la scelta del folto parco piloti, i ruoli che dovranno avere, compresa la moto che Stan Hailwood commissiona per il figlio Mike, comprese le celeberrime Ducati 100 e 125 Gran Sport, compreso il siluro dei record conquistati sulla pista di Monza, comprese le moto che corrono nel Mondiale 125 di quel magico 1958, o le moto che portano Tartarini e Monetti a poter compiere il giro del mondo.
Tutto questo sempre e comunque con la volontà ferma di mettere i propri collaboratori in condizione di poter svolgere al meglio il proprio compito.
Il lavoro di Marzi abbraccia la magica stagione della Casa di Borgo Panigale, la definizione e il consolidamento della propria identità di casa costruttrice di motociclette.
Non di rado tutto questo lavoro sfocia nella sfera più familiare: è stretto il rapporto tra Eugenio Marzi e Bruno Spaggiari, che va oltre gli interessi legati al motociclismo, reso speciale anche dal fatto che siano entrambi reggiani.
Si lavora duramente, ma c’è comunque spazio per qualcosa che sfoci in rivoli importanti al di fuori del lavoro stesso: i piloti che partono per la Milano-Taranto trovano, passando da Masone davanti alla casa dei Marzi, una tavola imbandita di tutto punto, perché abbiano la possibilità di rifocillarsi, bere una bibita o mangiare un panino.
Restituire la figura di Eugenio alla storia rappresenta anche idealmente restituire alla Ducati il sapore di questa ormai antica e lontana epopea e rappresenta il tributo ideale al lavoro svolto da quanti sono rimasti anonimi. Rappresenta restituire alla Ducati, brillante come ci appare oggi, un pezzo di se stessa, odorante di macchie d’olio sulla tuta da meccanico e di grasso sotto le unghie, di volontà primitiva nel voler assumere fermamente il ruolo che oggi le appartiene.
foto Archivio Marzi
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