Una Special nata dall’incontro fra il motore di una 916 e il telaio di una 748.
Una delle poche certezze in tema di stile applicato alle due ruote è che una delle moto più belle e affascinanti mai prodotte sia stata la 916 di Massimo Tamburini: un dato di fatto che però, quando incontra il coraggio e la fantasia di ducatisti appassionati come i nostri due lettori, non diventa scontato. Se l’obiettivo è quello di creare un prototipo il più compatto e leggero possibile, nonostante un precedente così illustre, si può anche ripartire dal classico foglio bianco: e questo è proprio quello che hanno fatto!
Partendo dal motore di una 916 e dal telaio di una 748 integrato con un nuovo telaietto posteriore realizzato in carbonio, ha preso così forma una nuova moto, ricca di idee innovative, con il fine di realizzare un mezzo di ridotte dimensioni e peso, ricercando la linea più essenziale.
Si è partiti così dallo scarico, che è stato realizzato artigianalmente ricavandone l’alloggio fra la ruota posteriore e il carter motore: è costruito in acciaio con uscita laterale a due fori sotto la pedana destra, abbandonando così l’originale soluzione del doppio scarico in uscita sotto la sella.
Per non alterare le linee e dare al prototipo una linea che fosse definitiva, pulita, il più possibile vicina alle moto derivate di serie, è stato installato un originale sistema di retrovisione digitale: così, sulla coda, accanto al portatarga, sono state installate due microtelecamere con sensore notturno: questo impianto ha consentito l’asportazione degli specchietti retrovisori, garantendo la possibilità di mantenere le linee del cupolino filanti e pulite. All’interno del cruscotto due monitor lcd consentono al pilota una visione completa di ciò che avviene alle sue spalle.
Immaginiamo che una scelta così radicale abbia richiesto un notevole impegno progettuale e una notevole complicazione, ma l’obiettivo è stato sicuramente centrato.
Sempre con l’obiettivo di mantenere le linee immacolate sono state inserite frecce a led all’interno delle carenature, così che, anche in questo caso, niente possa influire sulla linea filante di una moto che ha il suo preciso riferimento nel mondo delle competizioni.
Tutte le carenature sono state modellate a mano in fibra di carbonio e vetroresina, senza l’utilizzo di stampi. Anche le pedane sono composte da una struttura in carbonio e kevlar, mentre il pedalino è in ergal.
Per le coperture dei condotti aria è stata costruita una cover in carbonio composta da tre parti. Molto curata anche la sella, che è stata sagomata a mano dal pieno e rifinita in alcantara.
Il risultato finale è, a nostro avviso, di grande impatto e ricco di personalità, aggressivo e ben proporzionato, più vicino appunto nella sua essenzialità a una moto da pista che non a una special, per quanto ben curata.
E’ la dimostrazione di come si possano ottenere ottimi risultati sfruttando solo la propria abilità e creatività, senza utilizzare parti già pronte, ma semplicemente, si fa per dire, sfruttando la capacità nella lavorazione delle fibre e dei metalli, nonché nella realizzazione di una soluzione così complessa come quella costituita da telecamere e visori posti sopra la piastra di sterzo.
I nostri complimenti quindi ai realizzatori di questo prototipo che presenta molte soluzioni originali e che rispetta comunque quelle che sono sempre state le linee guida di un progettista come Tamburini, in cui lo stile era sempre una conseguenza della funzionalità, come se la ricerca della migliore performance sportiva fosse già di per sé la migliore garanzia per ottenere un design rigoroso ed essenziale.
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