Gli anni dell’immediato dopoguerra in Italia sono stati caratterizzati dall’esplosione della motorizzazione di massa che ha visto la nascita e il lancio di modelli storici come la Fiat 500 a cui fece seguito la 1100. Ma non si è trattato solo di auto, anche il settore motociclistico ha vissuto un boom parallelo che si è particolarmente evidenziato con l’avvento degli scooter.
Non solo auto nell’era della motorizzazione di massa
Lo scooter è stato uno dei mezzi che ha più inciso sul mutamento dei costumi e delle abitudini degli italiani portando di fatto a una vera e propria rivoluzione nel lavoro, nel divertimento e anche nella stessa mentalità, senza distinzioni di classi sociali.
L’emancipazione femminile è passata anche attraverso lo scooter che ha consentito alla donne spostamenti rapidi per recarsi al lavoro o per svolgere le incombenze domestiche. Lo scooter è stato uno dei grandi amici delle donne che ne hanno subito capito e apprezzato la duttilità, la facilità di uso e gestione e le grandi possibilità fin dal primo apparire di modelli ancora poco sviluppati ed evoluti.
La grande espansione del mercato automobilistico, inoltre, portò ben presto all’intasamento delle strade e, anche per ovviare alla limitatezza della rete stradale italiana, si registrò un vero e proprio boom di vendite di scooter, molto agili e di facile parcheggio nei centri cittadini delle grandi città.
Il cinema, specchio fedele dell’evolversi dei costumi, ha immortalato in “Vacanze romane” la Vespa che portava a spasso per Roma la coppia Peck-Hepburn e che, per moltissimi italiani, ha rappresentato il primo approccio alla motorizzazione privata.
Ma il successo degli scooter fu notevole anche perché consentì per la prima volta a intere famiglie di effettuare spostamenti abbastanza lunghi senza ricorrere ai mezzi di trasporto di massa come il treno. Nei primi anni del dopoguerra era usuale incontrare padre e madre, con un bambino in piedi o in seggiolino dietro il manubrio, che la domenica andavano al mare carichi di sporte e borsoni. Chi non aveva la macchina si arrangiava in questo modo, ma riusciva comunque a trascorrere giornate in spiaggia o in campagna.
Lo scooter è stato anche il grande amico dei giovani, che ne hanno apprezzato immediatamente la versatilità e la possibilità di emancipazione che assicurava, oltre a regalare spostamenti di maggior ampiezza senza ricorrere a mezzi pubblici o alle proprie gambe. Anche per i genitori è stata un’opportunità importante perché li ha sgravati di molte incombenze di accompagnamento che crescevano peraltro in maniera esponenziale, viste le esigenze della vita moderna (scuola, sport, amici, feste ecc…).
PERCHE’ NACQUE LO SCOOTER
In un’Italia che stava vivendo il boom economico del dopoguerra, la motorizzazione automobilistica giocò un ruolo da protagonista e fu alimento stesso dello sviluppo. Ma non tutti gli italiani si potevano permettere l’acquisto di una vettura, sia pure di dimensioni ridotte come la 500. Specie alla fine degli anni Cinquanta / inizio Sessanta non esisteva una linea intermedia tra i motori ausiliari per bicicletta, come Mosquito e Cucciolo, che avevano messo in strada mezza Italia, e le prime vetture che stavano aprendo addirittura orizzonti europei.
Ci voleva una via di mezzo tra la bici motorizzata e l’utilitaria
Si capì che serviva un mezzo di passaggio che consentisse un trasporto di cose e persone più ampio delle bici motorizzate e che ovviamente costasse molto meno dell’utilitaria.
Lo scooter nacque con questo intento e centrò pienamente l’obiettivo perché molte famiglie riuscirono a superare il momento di stallo negli spostamenti proprio grazie a questa soluzione.
Il ruolo di intermediario tra bici motorizzata e auto, propedeutico al passaggio all’utilitaria, lo scooter l’ha rivestito anche dal punto di vista prettamente estetico.
Nessuno prima dell’avvento di questo si era mai preoccupato di dare una visibilità, una gradevolezza estetica a mezzi come il Cucciolo o il Mosquito, mentre le auto nascevano addirittura in base a criteri estetici.
I primi progettisti degli scooter capirono che si doveva celare il più possibile la parte meccanica, come nelle auto appunto, e quindi questi (il Cruiser ne è un esempio emblematico) furono rivestiti di lamiera, cosa che di fatto li rese vetture a due ruote.
La gradevolezza estetica ebbe un ruolo determinante nell’affermazione del mezzo presso il gentil sesso, ma anche tra gli uomini che volevano spostarsi velocemente, vestiti da ufficio con giacca e cravatta, senza rischiare macchie di grasso o di benzina e senza dover indossare l’attrezzatura particolare richiesta dalla moto di grossa cilindrata.
La carrozzeria completa dello scooter fu resa possibile (a costi accettabili) anche da nuovi processi produttivi che consentivano una grande duttilità nella creazione di parti stampate in lamiera; si cercò così di nascondere tutto, di lasciare a vista solo parti che non potevano e non dovevano essere celate per motivi di sicurezza, come il manubrio.
In questo, la Ducati fu un’antesignana perché con il Cruiser fu la prima ad affidare il progetto del mezzo alla carrozzeria Ghia e ad alloggiare sotto la lamiera la ruota di scorta, oltre a tutti gli altri accessori (la batteria) che in quegli anni avevano dimensioni notevoli.
Lo scooter dunque si può considerare un annunciatore dell’auto con cui ebbe vita parallela per molti anni, fino a quando la macchina divenne un bene alla portata di tutti.
Fu a questo punto che lo scooter scoprì una propria nuova vena ritrovando ulteriore linfa vitale. Anche oggi, infatti, la vita moderna e gli spostamenti non possono prescindere dall’uso di questo mezzo che utilizzano miliardi di persone in tutto il mondo, sia nei paesi altamente industrializzati, sia in quelli in via di sviluppo. E’ chiaro che lo scooter, a seconda delle realtà, svolge funzioni molto diverse, ma risulta comunque fondamentale nella vita sociale.
GLI SCOOTER DUCATI
La Ducati, che ha sempre avuto prodotti originali, con cui spesso ha saputo anche precorrere i tempi, nel settore degli scooter ha realizzato modelli interessanti che non hanno avuto però la fortuna che meritavano.
La decisione di entrare nel settore scooter alla Ducati venne a seguito del grande successo della Vespa e della Lambretta: fu quindi una decisione trainata da un fenomeno già affermato, decisione comunque che diede buoni risultati anche se inferiori alle aspettative tanto che gli scooter Ducati non ebbero grande vita. Si tentò in sostanza di cavalcare il fenomeno e quando questo perse vitalità si uscì dal settore.
I modelli che hanno contraddistinto la produzione Ducati sono stati il Cruiser 52, il Brio 60 (nelle due versioni da 48 e 50 cc) e il Brio 66 (con motore da 100 e 100/25).
CRUISER 52 (175 cc)
Il Cruiser fu presentato al Salone di Milano alla fine del 1951 e rappresenta il secondo importante prodotto Ducati nel campo motociclistico dopo il Cucciolo che aveva riscosso un successo incredibile.
Il Cruiser fu un prodotto innovativo già al primo impatto visivo essendo stato disegnato dal carrozziere Ghia. Presentava una linea evoluta e ricercata che in precedenza non era mai stata utilizzata nel campo motociclistico e tanto meno degli scooter.
Discorso analogo si può fare anche per le soluzioni tecniche, che erano fuori dalla logica corrente, visto che allora la loro produzione era ancora legata ai vecchi canoni progettuali e costruttivi.
Il merito di una progettazione così avanzata va all’Ing. Antonio Fessia, un progettista di grande valore che ha dato il meglio di sé in Fiat e Lancia dove ha dato vita alla linea F (Flaminia, Flavia, Fulvia), che aveva precedenti anche in campo aeronautico e quindi era molto sensibile alle innovazioni che giungevano dai paesi più evoluti meccanicamente, come gli Stati Uniti.
Prima di arrivare al suo aspetto definitivo furono realizzati numerosi prototipi, con soluzioni consigliate direttamente dai concessionari; questi prototipi circolarono per tutta Italia e furono mostrati anche ai concessionari stessi.
Linee ispirate dalle auto americane
Soluzioni estetiche però che erano abbastanza “pesanti” visivamente e che furono perciò scartate privilegiando una livrea filante, di lusso, come era stato consigliato da Ghia che si rifaceva alle auto allora in voga negli Stati Uniti.
Le fiancate si potevano aprire per alloggiare ruota di scorta e altri particolari che erano a vista invece sui modelli della concorrenza.
Il richiamo agli Stati Uniti è evidente anche per la scelta di applicare un sistema di trasmissione limitato fino ad allora alle berline di lusso statunitensi: anche il peso che sfiorava il quintale (30 Kg in più di Vespa e Lambretta) era in linea coi concetti statunitensi.
Le innovazioni del Cruiser erano molteplici anche sul piano prettamente meccanico: si puntò, infatti, su un mezzo affidabile e al tempo stesso raffinato, che faceva della semplicità di manovra una delle sue armi vincenti; erano stati eliminati, ad esempio, i comandi della frizione e del cambio.
Il guidatore doveva semplicemente sedersi, agire sul pedale della messa in marcia e aprire il gas; il Cruiser partiva immediatamente grazie all’avviamento elettrico e il motore automaticamente adeguava il regime alle resistenze di avanzamento, ovviamente sfruttando la quantità di gas erogata.
Un dispositivo posizionato sul manubrio assicurava inoltre il blocco della trasmissione e, cosa mai vista ai quei tempi su uno scooter, l’uso del freno motore (la frenata era assicurata anche da due freni a tamburo). Con lo stesso principio si poteva mettere in moto il mezzo senza ricorrere all’avviamento elettrico.
Il Cruiser era spinto da un monocilindrico a 4 tempi, a valvole in testa, montato trasversalmente sul fianco destro. Il motore era raffreddato ad aria ed erogava 8 cavalli.
In realtà era stato progettato per averne 12, ma in alcuni paesi non era consentita una potenza del genere per gli scooter, così la si limitò a 8 per non superare gli 80 Km/h. Il consumo era di circa 3 litri di benzina per 100 chilometri.
Il Cruiser era stato studiato anche per una clientela femminile e a questo scopo presentava idee interessanti come l’avviamento elettrico, cestello porta bagagli-attrezzi e secondo sellino per i bambini.
Fu anche il primo ad alloggiare sotto la carrozzeria la ruota di scorta, oltre che a porre la massima attenzione alla sicurezza di marcia: i cambi di direzione si potevano infatti segnalare accendendo i fanalini posteriori sistemati sopra la targa, quindi molto ben visibili da chi seguiva. In sostanza, fu un veicolo innovativo per moltissimi aspetti, non ultimi quelli meccanici con particolari addirittura singolari come il complesso idrodinamico che lo muoveva, derivato direttamente da quello in uso sui carri armati americani, garanzia quindi di robustezza e affidabilità.
Del Cruiser, a fine 1953, furono costruiti circa 2000 esemplari. Uno dei punti deboli del Cruiser fu il prezzo: un modello così di alta gamma, raffinato e particolare, veniva venduto a un prezzo triplo (circa 300 mila lire) rispetto a quello della Vespa. Il motore del Cruiser, portato da 175 a 200 cc, fu poi usato dalla Ducati sul motocarro Muletto.
BRIO 48 (1963)
Il Brio 48 era un monocilindrico a due tempi raffreddato ad aria con lubrificazione a miscela al 5 per cento, con una capacità del serbatoio di 4 litri. I pregi più evidenti del Brio 48 erano quelli di non avere targa e di poter essere guidato quindi senza patente a partire dai 14 anni. Altri interessanti punti-qualità, l’estrema maneggevolezza, il motore centrale dai consumi contenutissimi e una potenza limitata, ma che consentiva di superare ugualmente ogni pendenza.
BRIO 100 (1965)
Il Brio 100, 2 tempi e tre marce, presentato ufficialmente alla stampa nel marzo 1965, aveva come scopo primario quello di consentire il trasporto di due persone, mantenendo nella quasi totalità le caratteristiche del Brio 48, il fratello minore che era stato presentato al Motosalone di Milano nel 1963 e che era l’unico prodotto Ducati in questa nicchia di mercato. Il 100 aveva una cilindrata di 94 cc e, grazie alla sella lunga, poteva trasportare due persone e raggiungere una velocità di 76 chilometri orari. Due i colori disponibili, biancospino e verdolino.
Il punto forte del Brio 100 era il consumo dichiarato in 2 litri (miscela al 5 per cento) per 100 chilometri che assicurava un’autonomia di circa 330 chilometri.
Le caratteristiche principali del 100 erano il motore a due tempi monocilindrico, disposto centralmente, la distribuzione a luci incrociate e il telaio a scocca portante.