Abbiamo sorriso assieme, quando ho detto all’Ing. Massimo Bordi, principale esponente della dirigenza Ducati, che, dato il nostro pubblico, si sarebbe dovuto sentire un po’ come Bill Clinton quando pronuncia il discorso sullo stato dell’Unione. Ne è scaturita una cordiale chiacchierata su vari temi che saranno sviluppati dalla Casa di Borgo Panigale nell’immediato futuro. Temi che vanno dalla produzione all’impegno nelle competizioni, settori che in un azienda quale la Ducati Motor sono legati a doppio filo.
Gli chiedo se si sta lavorando a qualcosa di completamente nuovo (l’erede del Desmoquattro), oppure se si lavora scegliendo come sempre di rispettare la tradizione in fatto di scelte tecniche:
“La premessa è che io posso dare delle indicazioni – attacca Bordi – ma non posso andare nel dettaglio perché non possiamo svelare i nostri programmi di sviluppo e di evoluzione del prodotto; dal punto di vista dei veicoli, la Ducati oggi produce quattro famiglie di prodotti, la Hypersport, la Super-sport, la Monster e l’ST: le intenzioni della Ducati sono di consolidare, rafforzare e arricchire di ulteriori versioni queste quattro famiglie”.
Questo significa che la Ducati non ha intenzione di occupare altri segmenti del mercato?
“La Ducati non ha intenzione di fare concorrenza a tutti su tutto, faccio riferimento alla presenza in tutti i segmenti di mercato dei giapponesi, ma si rapporta a case come la BMW, che è caratterizzata da un certo tipo di modelli, alla Harley Davidson che ha comunque un’altra identità. La Ducati è sostanzialmente moto sportiva, moto tecnologica, moto di prestazione e questo vuole rimanere, perché ci teniamo a rispettare la nostra storia. Quindi rafforzeremo le famiglie esistenti e le arricchiremo cercando di rispondere quanto più si può alle esigenze dei clienti”.
Poi prosegue nel dettaglio delle motorizzazioni individuando una suddivisione in tre filoni:
“Ci sono dei punti fermi che non sono in discussione; i motori sono in definitiva tre: il due valvole piccolo, il due valvole grande e il quattro valvole. Tutti e tre sono bicilindrici e abbiamo dei piani per migliorarne le caratteristiche, ma nessuna intenzione di dimenticare quali sono i pilastri e i punti fondamentali di questi motori, perché crediamo di aver fatto in passato delle scelte importanti, che pensiamo di poter rafforzare con gli sviluppi e i miglioramenti che sono naturali nell’evoluzione del prodotto”.
Il dottor Bordi si addentra poi nello specifico dei vari motori:
“Il due valvole piccolo ha avuto una serie di sviluppi e miglioramenti nel tempo, ma è di fatto nei princìpi generali il motore che l’ingegner Taglioni ha progettato nel ‘78, quello che si chiamava Pantah. Sul due valvole grosso abbiamo fatto interventi importanti: nella versione SS c’è l’iniezione, abbiamo introdotto molte novità e continueremo su questa stessa strada.”
Per quello che concerne la punta di diamante della produzione?
“Il quattro valvole, da poco diventato 996, sta ottenendo un grande successo ed è chiaro che anche qui lavoriamo per ottenere dei miglioramenti. Questo motore è diventato il punto di riferimento per la concorrenza, giapponese e non, confermando la validità delle scelte che abbiamo fatto. Quindi non c’è nessuna fretta di fare interventi drastici perché le prestazioni ci sono e dimostrano chiaramente il valore di uno dei progetti più importanti nella storia della moto degli ultimi vent’anni”.
Sposto il discorso sulle competizioni e la filosofia non cambia: si è coscienti di essere i più forti…
“Per quanto riguarda le competizioni, dobbiamo far fronte ad una concorrenza sempre più agguerrita perché non c’è più il gap degli anni passati tra la nostra moto e la moto dei concorrenti. Sappiamo che la Honda è migliorata moltissimo, che probabilmente quest’anno la Suzuki sarà particolarmente aggressiva e che la Yamaha sta per uscire con una moto nuova”.
Poi adesso c’è l’Aprilia.
“L’Aprilia avrà un primo anno di transizione, ma poi sarà un concorrente particolarmente pericoloso, ma anche qui, fedeli agli schemi, fedeli ai princìpi, fedeli alle soluzioni adottate, si tratta di lavorare, affinare e migliorare. Quando si parla di superbike non si parla di prototipi, si parla di moto derivate dalla produzione e quindi si parla di evoluzioni, probabilmente importanti, però lente e continue e non di stravolgimenti dal punto di vista degli interventi tecnici”.
Ma come lavora il Reparto Corse e quali sono le priorità fra i piloti impegnati nei vari campionati?
“Per le moto clienti pronte per la gara, la Ducati, dal ‘90 fino ad oggi, ha fatto una scelta che è stata quella di mettere a disposizione dei privati delle moto che sono uguali a quella ufficiale dell’anno prima. Da allora ad oggi abbiamo fatto dalle venti alle trenta moto all’anno, che poi sono quelle che alimentano i campionati nazionali e quelle che permettono di avere una griglia più folta nel mondiale superbike, consentendo ai team minori di avere prodotti competitivi”.
Qual è l’impegno per le moto ufficiali?
“Di moto ufficiali, normalmente, ne facciamo due per pilota, più una o due che abbiamo in reparto per lo sviluppo. Poi ci sono tutti i ricambi necessari a mantenerle in vita per la stagione, tenendo conto anche delle possibili cadute, incidenti o rotture. Il veicolo viene rinnovato frequentemente, perché il motore ha un suo ciclo di vita. L’anno scorso c’erano tre piloti ufficiali e sei moto, più due in reparto per lo sviluppo e per i test fuori dal campionato”.
Vengono seguite direttamente anche le moto impegnate negli altri campionati?
“Per il campionato AMA, il campionato Supersport e i vari campionati nazionali, noi diamo il materiale, le moto, i ricambi: più o meno si parla sempre di due moto per pilota, perché in superbike sono due le manche ed è obbligatorio avere due moto, ma il discorso non cambia per la supersport”.
Quindi la Ducati si fa carico dello sviluppo delle moto dei piloti del mondiale e basta.
“Il reparto corse Ducati, fino ad oggi, si è preoccupato di mettere a punto le moto ufficiali e di seguire e supportare il team ufficiale, quindi quello di Virginio Ferrari e quello di Davide Tardozzi, ma da quest’anno abbiamo una sola squadra ufficiale in superbike. Quello che stiamo facendo adesso è dare un servizio più completo ai privati, fornendo, oltre alla moto e ai ricambi, anche assistenza tecnica e informazioni: in pratica vogliamo rendere il rapporto più completo, più organico e più rispondente alle esigenze di un campionato mondiale sempre più competitivo e di campionati nazionali sempre più importanti”.
Quali circostanze hanno portato alla fine del rapporto con Virginio Ferrari?
“A noi è dispiaciuto interrompere la collaborazione con Virginio Ferrari, con il quale abbiamo fatto grandi cose. La questione è che la Ducati investe sulle corse una quota molto importante e l’impegno di risorse della Ducati per le corse ha acquistato un peso talmente alto da giustificare una struttura permanente: quindi la Ducati ha creato una nuova società, la Ducati Corse, con risorse completamente dedicate a tutta l’attività delle competizioni”.
Questo permetterà davvero di lavorare meglio?
“Per fare meglio bisogna avere il controllo totale degli strumenti che si adoperano: il team è uno strumento fondamentale, quindi, soprattutto per quanto riguarda il mondiale superbike, abbiamo voluto cambiare la situazione precedente e non avere più un team ufficiale esterno. L’importanza delle competizioni per la Ducati è sempre più grande ed abbiamo voluto, come le altre Case, creare una struttura permanente e controllata completamente da noi”.
La rinuncia ad un pilota del calibro di Pierfrancesco Chili rientra in questo processo di rinnovamento?
“La rinuncia a Pierfrancesco Chili risponde alla seguente logica: noi l’anno scorso avevamo tre piloti, divisi in due team, quest’anno avremo un solo team gestito direttamente dalla Ducati; la scelta era avere due piloti e abbiamo preso, dei tre, i due che, alla fine, hanno fatto il risultato migliore. Ci dispiace per Pierfrancesco, perché ha fatto grandi cose e ci ha dato grandi soddisfazioni, però la Ducati aveva deciso per due piloti ed il terzo non l’abbiamo potuto confermare”.
Si ferma un attimo come per timore di aver dato una risposta troppo secca e poi aggiunge:
“L’avremmo aiutato volentieri se avesse accettato di correre con un team semiufficiale o esterno ma non abbiamo trovato un accordo in questo senso”.
Si parla di mondiale GP con motori a quattro tempi: ciò può interessare la Ducati, data anche l’esperienza accumulata con questi motori?
“Inevitabilmente i gran premi dovranno rivedere i regolamenti e alla fine adottare la soluzione dei motori quattro tempi; quando questo avverrà non è ancora stabilito. La formula che verrà scelta è ancora da definire: penso però che sarà inevitabile prendere questa decisione e ciò avverrà entro i primi anni del duemila: a quel punto, se si tratterà di prototipi, la Ducati valuterà l’opportunità di partecipare”.
A quali condizioni?
“L’unico modo perché la Ducati possa valutare una partecipazione – prosegue Bordi – è quello di darci la possibilità di partecipare con un bicilindrico. Se il regolamento prevedesse solo motori a quattro cilindri, noi non saremo della partita. Il regolamento è in evoluzione e sarà più facile dire quale sarà la nostra posizione una volta definiti i vari punti fermi”.
A questo proposito, sono in corso incontri degli organi federali con le Case?
“La Federazione sta cercando di avere il massimo di informazioni dalle Case, perché quale sarà la nuova classe Grand Prix ha un’importanza enorme sul futuro delle competizioni su due ruote. La nuova classe non va vista in maniera separata dalla superbike e dall’endurance, perché le Case in definitiva sono sempre quelle, i budget sono quelli e le persone sono sempre quelle, quindi la cosa va vista in maniera globale”.
Alla fine della lunga chiacchierata, congedandoci e parlando del più e del meno, Massimo Bordi ci parla dei suoi rapporti con Fogarty:
“Ho sempre sostenuto Carl fin da quando correva come privato, regalandogli, ad esempio, ogni tanto qualche motore. Così anche ad Assen, dopo la prima gara, quando tutto sembrava compromesso, ho voluto incoraggiarlo, ricordandogli che è un campione, e che poteva ancora vincere il mondiale”.
Un incoraggiamento che sicuramente gli ha portato fortuna, visto che il buon Carl ha dato una bella zampata finale, aggiudicandosi per la terza volta il mondiale SBK.