Bruno Spaggiari: c’era una volta a Imola

Bruno Spaggiari: c’era una volta a Imola

Le straordinarie doti sportive e di collaudatore di Bruno Spaggiari e la famosa 200 Miglia di Imola del 1972 con la Doppietta Ducati.

Un giorno, all’inizio degli anni Cinquanta, il concessionario Ducati di Reggio Emilia ricevette una circolare da parte della Casa Madre. Il senso della lettera era questo: chiunque fosse a conoscenza di giovani talenti motociclistici era caldamente invitato a segnalarne il nome al reparto corse di Borgo Panigale. Si cercavano piloti per partecipare al Giro d’Italia. Erano gli anni in cui le corse di gran fondo rappresentavano la migliore vetrina per esibire la propria produzione di fronte alle migliaia di spettatori appassionati che popolavano i cigli delle strade.

La televisione era ben lontana, in quegli anni, dall’essere l’elettrodomestico più diffuso e più prepotentemente invadente nelle case degli italiani. Il Motogiro d’Italia e la Milano-Taranto, principalmente, ma anche gli altri giri regionali, rappresentavano il miglior modo per esibire, di fronte a una platea trasversale quanto a estrazione sociale e culturale, le moto che ognuno, potenzialmente, avrebbe potuto comprarsi il giorno dopo.

Era questa la forza di quel tipo di competizioni, contrapposta a quella – oseremmo dire – mediaticamente ben più fievole di un campionato del mondo giovane e non supportato dalla televisione che, lo ricordiamo per i più “piccoli”, lo porterà all’attenzione del grande pubblico solo nella seconda metà degli anni Settanta.

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Bruno Spaggiari ci mostra il suo gioiello. È la moto avuta in premio dalla Ducati per il secondo posto alla 200 Miglia del 1973: la splendida 750 Corsa Corta.

La Ducati puntava tutto su queste gare: ne valeva il prestigio, l’immagine e forse anche la sopravvivenza. I quotidiani sportivi erano molto meno ostaggio di “Re Calcio” e alle gare di gran fondo venivano tributati ampi spazi, riconquistati solo di recente, con l’avvento dell’era Valentino.

In questo contesto, il destino della Casa di Borgo Panigale si incrociò con quello di molti giovani piloti di belle speranze. Alcuni sarebbero poi tornati con i piedi per terra, per altri si sarebbe trattato del lancio verso la notorietà e i traguardi luminosi, altri ancora avrebbero avuto la sorte di iniziare una specie di simbiosi con la Ducati.

Franco Farné e Bruno Spaggiari appartengono a quest’ultima categoria.

Eravamo dunque a Reggio Emilia, dal concessionario Ducati, con una circolare in mano, per mezzo della quale si cercavano giovani piloti. In un angolo dell’officina, un giovane meccanico stava lavorando su una moto.

Un tipo “leggero, secco e nervoso” che si trovò, nel giro di poco, a sostenere una sorta di provino alla presenza dei dirigenti della Ducati Meccanica, capeggiati dall’Ingegner Taglioni. Duecentocinquanta aspiranti: certamente molti, ma Bruno riuscì ad emergere.

Si trovò a far parte di quelli ai quali non era richiesto di vincere o di avere ambizioni di classifica, ma semmai di portare la moto a Bologna, traguardo finale. Sì, vincere era certamente importante, ma anche imprimere nell’immaginario della gente un’idea di affidabilità delle moto non era di valore secondario: partire in tanti e arrivare in tanti, in modo da popolare il più possibile le classifiche finali.

I piloti ufficiali, per il momento, erano su un altro pianeta, che comunque Bruno raggiunse a suon di prestazioni onorevoli, entrando ben presto in quella ristretta cerchia di sei o sette piloti di punta: al 4° Motogiro d’Italia, nel 1956, poi, si impose nella terza e nella sesta tappa.

Bruno era pronto: si dimostrò portato anche per le gare in circuito. Veloce, tattico e, soprattutto, un fine collaudatore. Nel 1957 vinse a Riccione, a Pesaro, a Vigevano, a Camerino, a Macerata e a Gallarate.

Era nata una stella, che avrebbe oltremodo brillato l’anno successivo.

Nel 1958, infatti, Bruno si laureò campione italiano Seniores con la 125 GP, suonandole, talvolta di santa ragione, a Ubbiali e alla sua MV Agusta. A Marina Romea, Bruno riuscì a far andare l’Ingegner Taglioni su tutte le furie: vinse doppiando le MV di Ubbiali e Provini, svelando alla concorrenza l’enorme potenziale della 125 Desmo.

La voglia di emergere e la volontà di non essere relegato al ruolo di spalla del suo compagno di colori Gandossi furono tali da indurlo a tirare talmente tanto da rivelare gli assi che la Ducati aveva in mano. L’altro episodio chiave ebbe come palcoscenico il circuito di Alessandria, dove si correva l’ultimo atto del campionato italiano. Davanti a tutti, Spaggiari cadde. Riprese la moto, riacciuffò Provini e Ubbiali e li batté in volata, conquistando il titolo e arrivando al traguardo con la clavicola rotta.

A settembre ci fu la gara mondiale a Monza, il Gran Premio delle Nazioni. Gandossi e la Ducati avevano già visto sfumare le ambizioni iridate sulle quali si erano cullati a lungo. Per Bruno fu la prima ribalta importante.

Al via, dopo un dritto, riuscì a involarsi seguito dai rivali di sempre: Ubbiali, Provini e le loro MV. Il ritmo del pilota di Reggio Emilia fu di un altro pianeta: gli alfieri di Cascina Costa si ritirarono, dando luogo a un piccolo giallo, come potete leggere nel box a fine articolo.

Al traguardo, dopo il vincitore, la Ducati piazzò altri quattro piloti: Gandossi, Villa, Chadwick e Taveri.

Il 1959 fu l’anno del progressivo disimpegno della Casa di Borgo Panigale dal mondiale 125; Spaggiari ottenne come miglior risultato un secondo posto alle spalle di Ubbiali in Olanda e fu sesto in classifica finale.

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I dominatori della 200 Miglia del 1972, in una rimpatriata qualche anno dopo: Paul Smart e Bruno Spaggiari.

Nel 1960, approdò alla MV; fu secondo a Monza, dietro Ubbiali, e quarto in campionato. Spaggiari, nonostante la parentesi MV, tornò a impersonare l’uomo di riferimento della Ducati, quando si decise che correre in Spagna era importante, sotto la spinta dell’importante filiale iberica, la Mototrans, e quando si trattò di testare progetti nuovi.

Nel decennio dal 1960 al 1970, Bruno fu impiegato, al pari di Francesco Villa e Franco Farné, in Spagna e colse nuove vittorie con la 125 Desmo: a La Coruña, a Bilbao e a Valladolid, nel 1965.

Corse anche con la Ducati derivata dalla Mach 1, curata da Renato Armaroli, con la cilindrata aumentata a 285 cc, vincendo la 24 Horas de Montjuich, in coppia con Mandolini, nel 1964. Sulla scia di queste ultime splendide vittorie fu chiamato a tenere a battesimo, nel 1971, la 500 GP. Il debutto in gara avvenne a Modena, nel campionato italiano. Bruno ed Ermanno Giuliano si misero in luce alla testa degli inseguitori delle imprendibili MV di Agostini e Bergamonti. Furono solo problemi tecnici di gioventù a rallentarli e a privarli di un risultato di spessore, che arrivò per mano, anzi per la “manetta” di Giuliano: secondo a Cesenatico e a Imola.

Per contro, Bruno, che si sentiva di non dover dimostrare niente a nessuno, cercò sempre la prestazione assoluta, spremendo al massimo il bicilindrico a L di Taglioni e incorse per questo in problemi tecnici che lo costrinsero alla resa in più di un’occasione.

Per lui, il risultato di prestigio arrivò comunque al Gran Premio delle Nazioni, a Imola, gara valida per il mondiale, dove fu terzo, seppure distanziato di un giro, dietro alle solite MV di Agostini e Pagani. La 500 GP aveva un buon potenziale ma, per dirla in maniera lapidaria, così come ebbe modo di raccontare Phil Read pochi anni fa, mancarono i soldi per supportarne un adeguato sviluppo.

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Spaggiari in azione a Imola, nel 1972, dove la sua Ducati numero 9 finì anzitempo la benzina, privandolo di una vittoria certa.

Il 1972 era dietro l’angolo: la 200 Miglia di Imola, creatura di Checco Costa, gara atipica, modellata sullo stile delle competizioni americane, si sarebbe corsa il 23 aprile. Anche alla Ducati fu proposto di partecipare e, a fronte degli indugi dei dirigenti di Borgo Panigale, Taglioni compì un sopralluogo a proprie spese alla 200 Miglia di Daytona. Bisognava valutare la situazione… Eravamo in marzo.

Al rientro in Italia, più che mai convinto che ci fosse la possibilità di ben figurare, riuscì a strappare l’assenso alla partecipazione.

I tempi erano stretti: circa cinque settimane per mettere su la moto e organizzare la squadra. Bruno Spaggiari, allora concessionario Peugeot nella sua Reggio, godeva ancora di credito come collaudatore presso Taglioni e fu tirato in ballo perché si occupasse dello sviluppo della moto, che sarebbe derivata dalla 750 GT di serie.

Bruno si ritrovò di nuovo nella mischia: la concessionaria poteva aspettarlo, la 200 Miglia no!

Come andarono le cose lo sappiamo: le Ducati 750 affidate a Paul Smart e a Spaggiari fecero il vuoto, battendo anche Agostini, che ruppe la sua mitica MV nel tentativo di tenere il ritmo dei due scatenati ducatisti.

Bruno giunse al traguardo senza benzina e non ebbe la possibilità di disputare la volata. “Dopo circa 200 chilometri eravamo davanti io e Smart, – racconta Bruno – con Agostini distanziato di una decina di secondi. L’andatura la faceva Smart. Quando vedevo che Ago si faceva sotto, allora andavo davanti io, per un giro o due al massimo, allo scopo di dare una scossa che permettesse di riguadagnare quel paio di secondi di sicurezza.

Poi la moto di Agostini si ruppe e… “…con Smart davanti mi preparavo per la volata. Ultimo giro: il Tamburello lo facevamo in pieno entrambi, ma era alla staccata della Tosa che avevo visto Paul più debole di me. Lo passai proprio in quella curva, come previsto, passando alla Piratella e scendendo giù verso le Acque Minerali. Qui lui riusciva a prendermi quei tre o quattro metri, per cui mi dissi che, se vi fossi arrivato con cinque o sei metri di vantaggio, ce l’avrei probabilmente fatta. Dunque, dopo le Acque Minerali mi girai indietro e vidi che avevo una ventina di metri di vantaggio. A quel punto ero tranquillo! Ma subito dopo la Rivazza il motore cominciò a perdere i colpi. Smart si riportò sotto, mi affiancò, tolse il gas, ci guardammo un attimo e poi lui, giustamente, andò a vincere: lo avrei fatto anch’io…”.

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Spaggiari e Taglioni a colloquio prima del via della 200 Miglia di Imola del 1974 (foto archivio Taglioni)

Comunque, fu doppietta trionfale per la Ducati con il bicilindrico a “L”.

I patti prevedevano che qualora Bruno o Paul avessero vinto, il primo al traguardo avrebbe avuto in premio la moto. Spaggiari sentiva di averla comunque meritata, ma non ci furono storie: solo Paul poté tenersi la sua e il reggiano ci rimase molto male.

La 200 Miglia che si corse l’anno dopo fu preceduta da un grido d’allarme: la moto c’era (la splendida “Corsa Corta”), aveva sette o otto cavalli in più, ma a Modena girava circa tre secondi più piano della moto dell’anno prima.

Taglioni si rivolse di nuovo a Bruno, ma questi, sentendosi vittima di un’ingiustizia, non avendo avuto la moto in regalo, non voleva correre.

C’era anche stata, qualche mese prima, una cena offerta dalla Ducati in occasione del suo ritiro ufficiale dalle gare. Un modo senz’altro adeguato per premiare un pilota che alla Casa aveva dato tanto. Spaggiari era stato un precursore di ciò che succede oggi: voleva provare sempre, era meticoloso e pretendeva il massimo dai meccanici che lo assistevano.

Adesso, però, Taglioni aveva di nuovo bisogno di lui. Disse di no una volta, due volte, finché alla fine si lasciò convincere, grazie anche a una telefonata di Norina, la moglie di Taglioni, alla signora Spaggiari, perché lo convincesse.

Bruno accettò di collaborare alla messa a punto della moto e riuscì ad abbassare il record di Agostini di un secondo e mezzo. Il suo compito appariva finito, la moto era a posto… senza aver preso una lira, costringendo i meccanici alle ore piccole come ai vecchi tempi. “Eh, no! – disse Taglioni – Adesso devi correre!

Un conto era fare delle sessioni di prova, un altro erano 200 Miglia! Bruno, un po’ a corto di allenamento, non seppe tuttavia resistere alle lusinghe della 750 Corsa Corta:restava da sanare una vecchia ferita.

Va bene, corro, ma mi dovete regalare la moto, comunque vada a finire!” Taglioni, di solito restio a occuparsi di premi e ingaggi, pur di vedere Bruno sulla sua creatura, si recò personalmente dal Direttore Generale Calcagnile, affinché il suo pilota venisse accontentato. La gara, divisa in due manches, fu vinta da Jarno Saarinen, con la Yamaha con motore a due tempi, e Spaggiari arrivò di nuovo secondo.

La Ducati 750 Corsa Corta fu meritatamente sua, ma non la mise nell’atrio di casa, dove adesso fa bella mostra di sé: vi corse anche la 200 Miglia del 1974, terminando onorevolmente ottavo nella prima manche.

Per Bruno, tuttavia, non era abbastanza: chiese di poter ritirare la sua moto, tra una manche e l’altra, per partecipare alla gara di intermezzo per 500 e 750 GP.

Costa, convinto anche dall’insistenza di Taglioni, lo accontentò e Bruno ebbe l’onore del podio classificandosi terzo dopo Read (MV 500) e Gallina (Yamaha 750).

Quel giorno a Monza, nel 1958…

Bruno aveva vinto il Campionato Italiano con la 125 Desmo, alla sua prima stagione da Senior. Come avete potuto leggere nell’articolo, era reduce dalla frattura della clavicola nell’ultima prova, ad Alessandria. Aveva vinto lo stesso gara e titolo, ma era dovuto star fermo un mese e mezzo per le complicazioni della ferita, a rischio di cancrena.

Fu Taglioni a dirgli di prepararsi per il Gran Premio delle Nazioni, perché il reparto corse aveva una moto che avrebbe potuto usare: una 125 Desmo a sei marce con qualche problema allo spinterogeno.

Bruno, con l’aiuto di Armaroli, mise a punto la moto: si poteva correre. Nelle prove fu costantemente il migliore e, alla vigilia della gara, andò a letto tranquillo, forte della promessa strappata a Renato Armaroli che non avrebbe toccato la moto.

Quando al mattino arrivò ai box gli venne il batticuore, perché nella notte il suo tecnico aveva smontato il mezzo, nonostante la promessa. La gara si corse al mattino presto, verso le 10. Era una bella giornata e c’era nell’aria e sull’asfalto una certa umidità. Sulla linea di partenza, Bruno andò comunque tranquillo: era la sua quarta gara tra i campioni, contando anche quelle dell’italiano, ma i risultati delle prove lo rendevano consapevole che avrebbe potuto fare una bella gara.

Ne era convinto anche Taglioni, che si avvicinò al suo pilota e gli disse di stare davanti se se la fosse sentita, ma che non avrebbe dovuto dimenticare di ragionare. E così fu, nonostante un dritto all’inizio, che lo portò al contatto con le balle di paglia.

Bruno se la sentì eccome di stare davanti. Vinse, le MV di Provini e Ubbiali si ritirarono, alimentando una piccola trama dai contorni del giallo. Infatti, non si seppe mai se i piloti furono fermati per evitare l’onta della sconfitta davanti al pubblico di casa, oppure se si trattò davvero di noie meccaniche.

Sta di fatto che la Ducati dominò, piazzando cinque moto ai primi cinque posti, ma è anche vero che, finché le due MV furono in gara, solo Bruno Spaggiari seppe mettersele alle spalle. Fu una giornata indimenticabile, terminata a pranzo con tutta la dirigenza in un ristorante di Milano, con la stampa sportiva che, il giorno dopo, ebbe per Bruno e la Ducati titoli a caratteri cubitali e ampi spazi.

SBK a Jerez: avanti tutta!

A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.

Andrea Tessieri

Andrea Tessieri, da sempre appassionato di motociclismo sportivo, segue le tappe italiane del WorldSBK e del mondiale GP professionalmente dalla fine degli anni novanta. Collaboratore di Mondo Ducati come fotografo e giornalista fin dai primi numeri, la propensione alla studio della storia del motociclismo sportivo lo porta alla pubblicazione di Ducati Racing, nel 1999, e del più recente Ducati Legends, uscito alla fine del 2021.

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