Quando ero ragazzino trascorrevo le estati con i miei genitori nella casa di campagna dei nonni; un bel giorno arrivò in paese una persona con un furgone Fiat, si fermò e, visto che non c’era mai molto da fare, io con i miei amici ci mettemmo a osservare cosa faceva; aprì il furgone, armeggiò un po all’interno e dopo poco uscì di lì un’astronave con due ruote! Non avevo mai visto una cosa simile! Fu un colpo di fulmine vero e proprio, come se ne raccontano mille volte e di mille tipi, ma per me fu davvero una cosa speciale.
Mi avvicinai finché non vidi che sul serbatoio c’era scritto “Ducati”, mentre sulle carene c’era la specifica “900 Supersport”: era azzurra, con un cupolino che sembrava preso pari pari da quello di un aereo; una sensazione confermata poi quando fu messa in moto, mai sentito nulla di simile, o forse era un razzo pronto per viaggiare in direzione della luna?
Da allora, tutti gli anni noi ragazzi si aspettava “Lo Spezzino”, così lo chiamavano: arrivava con il suo furgone, sempre ad agosto, dal quale scaricava le moto con le quali, poi, per il periodo in cui rimaneva in paese si faceva le sue belle scorrazzate. Negli anni ho visto scendere da quel furgone il fior fiore della produzione Ducati: 750 F1, 851, 888 e 916; a me non restava, purtroppo, che rimanere a guardare e sognare, sperando di riuscire ad assistere al momento in cui il motore prendeva vita, quando il rombo del bicilindrico desmo si liberava e si aggirava libero per il paese!
Da allora, per me, è stato un amore viscerale e indescrivibile per Ducati e in generale per tutto quello che aveva due ruote, bici comprese.
Appena ho potuto, con buona pace dei miei genitori, ho guidato un po’ tutto l’arco istituzionale del motociclismo, dal cinquantino alla 125, per frequentare tutte le moto e le cilindrate possibili, con una strana esclusione, considerato come era nata la mia passione: mai una Ducati era entrata nel mio garage, perché io sono un tipo molto razionale e mi sono fatto sempre condizionare da tutti i discorsi fra motociclisti inerenti la scarsa affidabilità delle moto di Borgo Panigale.
Finalmente, nel 2001 mi sono deciso, un bel vaffa ai potenziali problemi e acquisto il sogno della mia vita: una 900 SS nella colorazione Senna, bellissima! Grigia con i cerchi Marchesini rossi, freni Brembo serie oro e Öhlins: troppo bella da guidare, da vedere, da toccare; purtroppo però un giorno, tutti i discorsi che avevo sentito, come se fossero una maledizione, colpiscono: dopo solo 10.000 km un grippaggio! Il verdetto afferma: distacco del riporto sulla canna del cilindro orizzontale, con danneggiamento, nell’ordine, di pistone, biella e cuscinetti di banco. Amen!
Dopo averla riparata, la vendo subito per sostituirla con una Kawasaki Z 1000, color arancione: terribile!
Passano diversi anni e sublimata la delusione, decido per un altro bel vaffa e mi metto in caccia di un’altra Ducati, a carburatori e con la frizione rigorosamente a secco. Cosa di meglio di quella che è sempre stata una sportiva un po’ bistrattata dagli appassionati Ducati, ma anche forse l’ultima superstite delle sportive all’italiana, la 900 SS, meglio conosciuta come faro quadro, l’erede dell’astronave che avevo visto da ragazzetto uscire da quel furgone e versione precedente di quella che avevo acquistato nel 2001.
Dopo una lunga ricerca, sempre affiancato da inseparabili amici e consiglieri, trovo l’esemplare che fa al mio caso: un 900 con diversi proprietari e un po’ di chilometri sulle spalle, non è perfetto, ma è quello che volevo, questo anche per metterci le mani e prendere confidenza.
Motore di 904 cc di derivazione Pantah con i carter dell’851, raffreddato ad aria e olio, frizione a secco e 80 cv all’albero, un serbatoio derivato dalle corse e una carena aderente e aggraziata: in una parola, bella!
Ma a quanto pare non sono stato l’unico ad avere nostalgia del mondo supersport: anche in Ducati ci hanno pensato, e nel 2017 ecco che rientra in catalogo una moto che riporta sulla carena questa gloriosa scritta, che tanta importanza ha avuto nella storia del desmo.
A voi l’idea potrà sembrare bizzarra, ma appena l’ho vista mi è venuto spontaneo chiedermi se poi fosse rimasto qualche punto di contatto fra due modelli separati da quasi 25 anni, ma accomunati da uno stesso nome. In effetti, poi, anche la cilindrata è simile!
La curiosità è davvero tanta, perché non metterle a confronto?
Da fermo
La 900 SS, pur non essendo opera di Tamburini, ha linee ereditate direttamente dalla 851 e 888, il serbatoio poi è quasi uguale alla 888, le prese d’aria sono sotto al faro anziché laterali, ma si vede che la linea è quella. La nuova SuperSport (qui nella versione S), invece, miscela parte della carena e del cupolino con la Panigale pur in taglio meno corsaiolo.
La linea della 900 SS, pur se stilisticamente datata, è un esempio per pulizia e semplicità delle linee, e poi il telaio a traliccio in bella vista è troppo bello!
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A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.
Prova Ducati SuperSport S: in strada e al Mugello
La Ducati SuperSport è una moto dalla grande versatilità, utile per viaggi non lunghissimi, guida sportiva, ma anche per l’utilizzo quotidiano.
Le differenze estetiche si ritrovano anche al retrotreno: bellissima sospensione con monobraccio per la SuperSport e classico bibraccio in lega di alluminio spazzolato per la 900 SS, entrambi serviti da un mono, Showa per SS e Öhlins per SuperSport. Osservando le due moto si può cogliere la compattezza di entrambe, ma sulla più moderna l’ingegnerizzazione è tale che tutto è stato compattato o incastonato al fine di rendere l’idea della monolicità del mezzo
La strumentazione rispecchia il salto epocale: purtroppo da vero nostalgico apprezzo ancora l’immediatezza di lettura delle lancette, ancora meglio se poi gli strumenti sono annegati in una bella cornice di carbonio, cosa che i cruscotti TFT di oggi purtroppo, anche se sfavillanti nella lucentezza dei loro colori, non offrono. Si osserva anche la diversa impostazione dei semi manubri, più aperti e alti quelli della nuova, chiusi e bassi quelli della SS.
In sella
Posizione di guida abbastanza diverse: incastonati nella moto con la SS, quasi aggrappati al serbatoio, con i semi manubri bassi e chiusi e le pedane giustamente arretrate, un’impostazione perfetta per la guida sportiva su strada; la nuova, invece, offre una postura meno radicale, visto che ha, come già detto, i semi manubri più alti e aperti, pedane meno arretrate e si è soprattutto meno inseriti nella moto. Da ferma, la vecchietta è nettamente più leggera anche perché sulla bilancia ballano circa 25 Kg a suo favore, non poco.
Le selle delle due moto mostrano nette differenze: stretta, ma abbastanza imbottita per favorire gli spostamenti del corpo quella della 900 SS, larga e piatta quella del SuperSport, forse non ottimale per muovere il corpo sulla moto.
Da fermo le manovre con la prima sono improbabili a causa del ridotto angolo di sterzo, molto meglio con la seconda.
Prova dinamica
E’ bene dirlo subito: il passaggio degli anni ha lasciato i suoi segni, le differenze tra le due moto sono frutto di scelte concettuali, ispirate da filosofie abbastanza diverse; per la SS si era rimasti fedeli al concetto di sportiva stradale italiana, leggera, maneggevole, motore con potenza adatta per poter essere sfruttato su strada, ottimo telaio e ciclistica rigorosa, con guida alla vecchia maniera, di forza.
Per il nuovo SuperSport, invece, si è fatto riferimento al filone delle Sport Touring, moto che possono essere usate per il turismo, ma che offrono anche ottime prestazioni sportive, valide un po’ in tutte le occasioni, dall’aperitivo all’escursione fuori porta.
Oggi confrontare le due moto senza tener conto non solo dell’evoluzione della tecnica, ma anche dell’evoluzione della filosofia alla base delle due moto, può apparire fuorviante. Nei motori sta la sintesi di tutto questo: ignorante e appagante quello della due valvole e con un rumore che fa accapponare la pelle; docile e ampiamente sfruttabile ed educato nelle emissioni sonore quello della quattro valvole.
In viaggio, la SS riporta fedelmente sulle terga tutto quello che passa sotto le ruote, mentre la nuova ti porta ovunque, filtrando tutto con estrema efficienza; nella guida, nel primo caso ne è richiesta una di corpo, per evitare che sia la moto a portare in giro il pilota piuttosto che viceversa, mentre l’altra fa tutto assecondandoti al 100%, a 30 all’ora come a 250.
Nell’impostazione delle curva emergono differenze più sottili: entrambe entrano veloci, forse la SS un filo di più, ma mantengono entrambe la traiettoria impostata senza sbavature, anche alle alte velocità. Poi è giusto osservare che, se si dice di fare sul serio, non c’è storia per la nonnina: motore e ciclistica della nuova SuperSport permettono medie che con lei non è possibile mantenere.
C’è però anche da dire che, magari dopo un bel giro, quando ammiri la 900 SS ferma sul cavalletto pensi che il tempo trascorso non abbia lasciato segni su di lei, come una bella donna che conserva intatta tutta la sua bellezza.
La cosa migliore, allora, sarebbe averle entrambe nel proprio garage. Che dite, non siete d’accordo anche voi?
Foto di Ulisse Donnini
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