Creare una moto dalla A alla Z è, come spesso si sente dire, il sogno di ogni appassionato. Certo è che oggi non è più come all’epoca dei pionieri di questo settore, vedi i fratelli Davidson, che dettero vita ai primi esemplari del celebre marchio americano in un capanno di legno.
Quello che è possibile fare, semmai, è prendere un motore già fatto e preoccuparsi di realizzarvi attorno tutto il resto del veicolo: questo è esattamente quello che ha fatto Cesare Gobetti, ingegnere con la passione per le motociclette.
E’ lui stesso che ci racconta come è riuscito, in ben sei anni di lavoro, a costruire di sana pianta un mezzo a due ruote partendo da un bicilindrico Ducati a quattro valvole, lo stesso che equipaggia la Ducati 996. “Oltre al propulsore, – spiega Gobetti – ho impiegato anche un pezzo del telaio che apparteneva a una 748, mentre tutto il resto è stato progettato e realizzato ex novo.”
Essendo ingegnere, Gobetti ha infatti definito ogni singolo pezzo che compone la sua moto grazie all’ausilio del computer e in questo modo ha potuto sbizzarrirsi anche nella scelta delle geometrie e di alcune soluzioni tecniche particolari.
“Lo schema della sospensione posteriore – prosegue – è stato forse l’aspetto dove mi sono applicato maggiormente. Tutte le relative quote, infatti, sono frutto di attenti studi. Ad ogni modo, la parte che mi ha portato via più tempo è stata la realizzazione delle sovrastrutture. La carenatura e il serbatoio, infatti, hanno richiesto prima la creazione dei modelli, poi degli stampi e, infine, il pezzo finito. Per quanto mi riguarda, posso dire che questi particolari non sono venuti perfetti come speravo, ma alla fine credo che il risultato sia comunque accettabile.”
I pezzi che Gobetti ha progettato al CAD sono stati realizzati presso la ditta di un suo amico, che dispone di macchine utensili a controllo numerico come frese, torni ecc.
In pratica, una volta impostato il disegno in tre dimensioni come si deve, queste macchine sono in grado di effettuare tutta la lavorazione in maniera quasi del tutto autonoma.
Tutto ciò veniva portato avanti nei ritagli di tempo e con un budget che veniva reperito di volta in volta.
E’ anche questo il motivo per il quale c’è voluto così tanto tempo per arrivare alla fine dei lavori, senza contare che l’ingegnere, come già anticipato, ha dedicato moltissimo tempo alla definizione della sospensione posteriore, forcellone compreso.
“Senza esagerare, avrò rifatto i vari leveraggi che governano il cinematismo almeno una decina di volte! – ammette – Il problema principale consiste nel fatto che il bicilindrico Ducati a quattro valvole risulta essere un propulsore abbastanza lungo e di conseguenza si è portati a realizzare un forcellone piuttosto corto. Tuttavia, quest’ultima caratteristica determina problemi di stabilità su un veicolo a due ruote, soprattutto quando esso è dotato di una certa potenza, come in questo caso. L’obiettivo era pertanto quello di mantenere una discreta lunghezza del forcellone senza tuttavia aumentare l’interasse della moto stessa, cosa che avrebbe penalizzato la maneggevolezza. Inoltre, volevo che la sospensione posteriore fosse il più possibile centrata rispetto al veicolo, oltre che sensibilmente più bassa rispetto a come di solito viene disposta sui modelli di serie. Per ottenere questo risultato, però, ho dovuto lavorare non poco.”
Per l’avantreno il valore dell’avancorsa è stato mantenuto simile a quello della 996, visto che il cannotto di sterzo di questa special, essendo quello della Ducati 748, è dotato di un sistema di eccentrici che permette di regolare la sua inclinazione e, dunque, di variare questo valore.
Per quanto riguarda il comportamento dinamico, comunque, Gobetti ha delle dichiarazioni interessanti da fare: “Si tratta di una moto ancora da sviluppare. – spiega – Non è facile da usare e richiede ancora un discreto lavoro di sviluppo. Le sospensioni, poi, hanno una taratura particolarmente rigida che non facilita certo le cose. Inizialmente, infatti, avevo progettato il tutto prevedendo un ammortizzatore WP che possedevo già e che era stato realizzato per equipaggiare una Suzuki RGV 250. Alla fine, però, mi sono dovuto rivolgere ad Andreani per la messa a punto di un’unità ad hoc, visto che l’altra non riuscivo proprio ad adattarla. Adesso, infatti, c’è un ammortizzatore Öhlins che, a quanto mi hanno detto, è piuttosto simile a quello che viene montato sulla Honda Hornet, mentre davanti c’è una forcella White Power.”
Il forcellone è più lungo dell’originale di circa 30 mm. In questo modo, si è cercato di garantire maggior trazione al retrotreno in fase di accelerazione, mentre per quanto riguarda le piastre di sterzo, quella superiore era stata inizialmente prevista in modo tale che potesse ospitare i serbatoi del freno anteriore e della frizione, ma poi questa soluzione è stata abbandonata perché, secondo il suo stesso artefice, creava più problemi che vantaggi.
Nella definizione delle sovrastrutture, invece, l’intento era quello di abbassare e contemporaneamente arretrare la posizione del serbatoio del carburante, in modo da migliorare il bilanciamento del veicolo.
Questo layout ha imposto anche una diversa struttura dell’airbox, che è stato realizzato in modo che la parte anteriore costituisse, come si vede anche osservando la moto lateralmente, il prolungamento ideale rispetto al serbatoio del carburante stesso.
Quest’ultimo, invece, si estende in parte fin sotto la sella del pilota, come accade ormai praticamente su tutte le odierne MotoGP. La sua capacità dovrebbe essere intorno ai 15 litri, anche se Gobetti non l’ha mai misurata accuratamente.
Ovviamente, si tratta di un valore limitato per un’eventuale moto di produzione, ma qui stiamo parlando di un prototipo destinato all’utilizzo in pista, dunque non si è badato più di tanto a questo aspetto.
L’impianto di scarico è opera di Ivan Curotti, specialista di Pompiano (in provincia di Brescia), che secondo Gobetti ha fatto davvero un ottimo lavoro. I collettori hanno diametro variabile, oltre che uno sviluppo molto particolare proprio in prossimità dell’ammortizzatore posteriore, mentre il terminale è stato realizzato dall’ingegnere, che ha fatto fresare i fondelli e ha realizzato il rivestimento esterno in fibra di carbonio trattata con resine epossidiche partendo da un modello in polistirolo. Tornando a parlare del motore, l’erogazione del bicilindrico Ducati a quattro valvole sembra non essere particolarmente gentile ai bassi regimi, come su una vera moto da corsa.
Superata una certa soglia, invece, il Desmoquattro spinge che è una bellezza, come ben sanno gli estimatori di questo propulsore.
Abbiamo infine chiesto a Gobetti come mai abbia scelto di caratterizzare il telaio della sua moto con delle piastre laterali in alluminio ricavato dal pieno, anziché mantenere il classico traliccio Ducati.
“Anche questa scelta tecnica è legata allo sviluppo della sospensione posteriore. – spiega – Volevo che l’ammortizzatore sfruttasse il parallelogramma deformabile che poi ho realizzato e per far questo i punti di attacco del telaio della 748 non andavano bene. Così, ho reputato più conveniente rifarli utilizzando una struttura in alluminio lavorato piuttosto che modificare quella in tubi d’acciaio al cromo.”
I componenti della ciclistica sono sovradimensionati, tanto che il peso non scende sotto
I componenti della ciclistica sono sovradimensionati, tanto che il peso non scende sotto i 180 Kg. Della serie: meglio aver paura che rischiare…
Un’idea concettualmente simile a quella utilizzata anche da Bimota sulla DB7. “Sì, però loro ci sono arrivati dopo! – ci tiene a sottolineare l’ingegnere, visto che i suoi studi sono iniziati, appunto, sei anni or sono – Comunque sono contento perché ciò dimostra che l’intuizione è valida. Per quanto mi riguarda avrei senz’altro potuto alleggerire di più la struttura ciclistica, visto che la moto pesa adesso circa 180 Kg, dunque non è particolarmente leggera, proprio perché non volevo correre rischi a livello di solidità dell’insieme.”
I cerchi sono della Marchesini in lega di magnesio mentre, ad esempio, la corona e il portacorona sono realizzati artigianalmente, sempre su specifiche di Gobetti, e lo stesso vale per il piccolo disco freno posteriore, caratterizzato da un profilo a margherita.
A dir la verità, Gobetti aveva inizialmente fatto realizzare su suo disegno anche i dischi anteriori, ma questi ultimi avevano evidenziato qualche problema di vibrazioni nell’uso intenso e dunque, ha preferito ripiegare, diciamo così, su delle unità commerciali, in questo caso dei Braking modello Wave da 320 mm, abbinati a delle pinze Brembo ad attacco radiale di derivazione GP.
Queste ultime sono fissate a dei piedini in alluminio ricavato dal pieno ancora una volta frutto del lavoro al computer di Cesare Gobetti e alla macchina CNC dell’officina alla quale si è appoggiato per le lavorazioni meccaniche, come testimonia la sigla riportata direttamente sull’alluminio.
Vista la qualità del risultato, e il fatto che questo non sia frutto di un lavoro di pura manodopera, bensì di file e dati elaborati da un calcolatore, viene immediatamente da pensare alla possibilità di replicare i vari pezzi che compongono questa moto.
Ci sono voluti sei anni perché la moto dell’Ingegner Cesare Gobetti prendesse forma. Un’attesa più che giustificata, a giudicare dal risultato finale.
A tal proposito, però, Gobetti non sembra prendere in considerazione questa ipotesi: “Ho impiegato talmente tanto tempo e mi è costata talmente tanta fatica la realizzazione di questo primo prototipo, nelle varie versioni che ha conosciuto, che non penso assolutamente né a ulteriori sviluppi né a un’eventuale produzione in, seppur piccola, serie. Del resto, questa moto non è stata realizzata perseguendo alcun obiettivo commerciale, ma solo grazie alla passione di costruire un mezzo unico. Quando è nato mio figlio, infatti, ho venduto tutte le moto che avevo. Tuttavia, la soddisfazione di costruirne una mi è sempre mancata e, alla fine, quando ci sono riuscito, tutto ciò si è trasformato anche in un’ottima scusa per tornare in pista!”
L’elaborazione del motore è stata affidata allo specialista bresciano Ezio Piceni, vecchia conoscenza di Mondo Ducati, il quale ha alleggerito e ribilanciato l’albero motore, inserendo anche un radiatore dell’acqua maggiorato prelevato da una superbike di qualche anno fa.
Quello dell’olio, invece, apparteneva a un Monster ed è praticamente a contatto con il collettore di scarico del cilindro orizzontale.
La strumentazione è costituita da un bellissimo cruscotto digitale della Aim che, oltre alla funzione di semplice indicatore, svolge anche quella di data logger, vale a dire registra i principali parametri del veicolo (ad esempio giri motore, velocità e apertura dell’acceleratore) su una memoria interna che, poi, può essere collegata a un PC per l’eventuale elaborazione dei dati.
Naturalmente, ci sono delle persone alle quali Cesare Gobetti deve un ringraziamento per l’aiuto che gli è stato fornito durante la lunga realizzazione di questa moto: la concessionaria di scooter Gobetti & C di Manerbio (di proprietà di suo padre e suo zio) per la disponibilità dell’officina e delle attrezzature necessarie ai lavori, la ditta Malco di Manerbio per le lavorazioni a controllo numerico CNC e gli amici Mauro Bonvini e Gabriele Capuzzi per l’aiuto fornito nella realizzazione di alcuni particolari.
Noi, invece, facciamo i complimenti a lui per la bravura e la pazienza che ha avuto nel realizzare una moto così bella e particolare!
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