Senza respiro: il campionato mondiale MotoGP impone il fiato corto. Il livello di esasperazione tecnica raggiunto impone a tutte le squadre ritmi al limite della soglia aerobica. Così, è curioso che colossi dell’industria mondiale, quali Suzuki e Kawasaki, si ritrovino alla perenne ricerca di quel mezzo secondo al giro che manca loro per stare con i primi.
Le considerazioni da fare sono due e vengono fuori da due verità spietate come fendenti di sciabola: la prima è che nella MotoGP di adesso nessuno può rilassarsi. La seconda, ancora più interessante, è che per limare mezzo secondo al giro non basta tirar fuori vagoni di soldi e questo è il bello di tutta la storia.
Se prima, ancora ai tempi del Motomondiale a due tempi, l’impegno di messa a punto e la ricerca della miglior competitività gravavano per lo più sulle squadre direttamente impegnate nelle corse e una moto rimaneva pressoché uguale a se stessa per anni (vengono in mente i cicli della Suzuki RGV o, ancora di più, la longevità agonistica della Honda NSR), adesso assistiamo a un aumento esponenziale delle risorse da dover impiegare, soprattutto a livello umano.
Bastava un collaudatore, mentre adesso i test team sono delle vere e proprie squadre e, soprattutto, la fase progettuale e quella che segue, di sviluppo, non presentano soluzione di continuità. Una volta i test invernali non rivestivano tutta l’importanza che hanno adesso, piaccia o no.
Ci vuole gente, quindi, che lavora a ritmo serrato soprattutto “a casa”. Occorre lavorare sempre, occorre inventare sempre una soluzione nuova, un colpo di genio che spiazzi gli avversari, che li costringa a loro volta a doversi sempre guardare le spalle.
La Ducati ha costruito da subito, già dai tempi del primissimo impegno in MotoGP, una strategia mirata all’esplorazione di soluzioni tutt’altro che appiattite su uno standard, in modo da essere inseguita, anche e soprattutto a livello tecnico, piuttosto che dover inseguire.
Le soluzioni che hanno caratterizzato la Desmosedici già dall’inizio sono state tali da permettere agli uomini di Borgo Panigale un cammino alternativo, alla ricerca, strategicamente basilare, di quel vantaggio d’esperienza che ha costretto gli avversari a rincorrere e, soprattutto, a lavorare. Così, spinti da questa vitale ricerca del vantaggio tecnico, anche in termini puramente temporali, la Ducati Desmosedici GP9 ha mosso i primi passi.
Il fatto nuovo non è tanto che una moto da impiegare l’anno prossimo calchi già le piste, quanto quello – sicuramente inusuale – che ad aver accompagnato le prime uscite della nuova moto sia stata un’atmosfera di clamore mediatico prima di adesso sconosciuta. L’eco che ha accompagnato le prime uscite della GP9 non ha precedenti, in una logica storica che, prima di adesso, ha semmai teso a mascherare eventuali novità.
Certo, non è che della moto sia stata sbandierata ai quattro venti la scheda tecnica dettagliata, ma rimane comunque curioso il fatto che alcune circostanze abbiano contribuito a rivelarne le caratteristiche.
Innanzitutto, oltre all’insostituibile Vittoriano Guareschi, hanno già impugnato i manubri della nuova moto anche i piloti ufficiali, Stoner e Melandri, il giovane Niccolò Canepa e Sete Gibernau. L’invito rivolto al pilota spagnolo ha diversi fattori rilevanti.
Il primo, che sembra essere il più importante, è quello di far uscire questa nuova Ducati dal circolo, che poteva a un certo punto diventar vizioso, di quel club di piloti assuefatti alle caratteristiche delle varie versioni che hanno caratterizzato la Desmosedici.
Si è cercato un parere “esterno”, nonostante il fatto che Sete sia stato un pilota Ducati.
Non dimentichiamo poi che lo spagnolo aveva portato in gara una delle migliori versioni della Ducati da MotoGp, la Desmosedici GP6, con la quale solo circostanze sfortunate gli avevano impedito di mettersi in luce.
Gibernau aveva un’ottima moto, l’ultima versione prima che si portasse la cilindrata a 800 cc. Mettere Sete a cavallo della GP9 è stato come poter usufruire di un parere tecnico su una moto appena ultimata, cancellando in qualche maniera Stoner, la GP7 e i trionfi dell’anno scorso.
Il secondo fattore importante è legato a quello che si diceva prima: associare il debutto della Desmosedici GP9 a un certo clamore, forse per costringere gli avversari ad avere paura e, quindi, ad andare in confusione tecnica.
Del resto, prima dell’avvento della Ducati nel massimo campionato a due ruote su pista, la tendenza verso un certo stallo tecnico delle giapponesi era evidente, mentre adesso tutti sono alla ricerca frenetica della classica soluzione jolly.
Della nuova moto sono trapelate poche indiscrezioni, la più importante delle quali è senz’altro quella legata all’adozione di un telaio in fibra di carbonio.
Questo fattore, già di per sé importante, ne presenta un altro implicito: verrà abbandonata la struttura a traliccio, mentre la funzione portante del motore è stata ulteriormente esasperata.
La domanda che viene da farsi è spontanea: qual è l’obiettivo di questa radicale innovazione? In fin dei conti, anche prima delle splendide e schiaccianti vittorie di Stoner a Donington e ad Assen, la Ducati era lì, a giocarsela comunque con le migliori.
Risponde a questo interrogativo Vitto Guareschi: “Si è andati alla ricerca di un’ulteriore rigidità e abbiamo capito subito che quella era la direzione giusta. Sulla GP9, l’anteriore è più preciso. Si può girare più forte e farlo più facilmente. Era un passo che dovevamo fare. – prosegue ribadendo il concetto espresso – La differenza grossa è data dalla precisione di guida, che rimane pressoché inalterata anche quando le gomme si deteriorano. Prima, a gomme finite, la moto si muoveva troppo.”
Poi, Vittoriano si ricorda che sta paragonando la nuova moto a quella che comunque è vincente quest’anno e che l’anno scorso ha dominato a mani basse e aggiunge: “Non è che prima andasse male: è che adesso va molto meglio, può essere guidata in modo più rilassato!”
C’è da sospettare che tutte le indicazioni derivanti dai collaudi della GP9, unitamente ai nuovi settaggi che sono intervenuti sulla gestione elettronica, abbiano permesso alla squadra di poter intervenire anche sul telaio della moto di quest’anno, per poter avere quel “pelino” in più che ha permesso a Stoner di tornare a mettere di nuovo paura.
Eravamo partiti proprio con quella ricerca del “pelino” in più, all’inizio di questo articolo. Un’inezia, quella che ti fa stare davanti, quella che per la Ducati non valeva certo mezzo secondo. Claudio Domenicali, incontrato dopo la tappa di Assen, conferma le premesse iniziali di queste considerazioni, facendoci capire l’entità del lavoro che si è svolto per permettere a Casey di tornare così prepotentemente a dettar legge.Poi, si apre, sorride e dice: “E’ anche comunque merito di Casey, tornato in forma strepitosa!”
Già, tanto da dominare e recuperare badilate di punti sulle piste che, storicamente, vedevano Valentino come favorito, e costringendo il pesarese all’errore ad Assen, nell’università del motociclismo.
Foto Ducati Corse
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