Famiglia Desmo: 350 Mark 3D, 350 Desmo prima e seconda serie

Famiglia Desmo: 350 Mark 3D, 350 Desmo prima e seconda serie

Una bella collezione che ci racconta una parte importante della storia Ducati con la Ducati 350 Mark 3D, la 350 Desmo prima serie e seconda serie conosciuta anche con l’appellativo di “Pallottola d’argento”

Per un attimo, gli occhi di Marcello Peruzzi brillano di una luce particolare mentre guarda le sue tre Ducati disposte una in fila all’altra; lui che, da buon toscano, ha sempre la battuta pronta e lo sguardo vispo, nonostante abbia da poco superato il traguardo delle ottanta candeline sulla torta, viene colto da un momento di tenerezza, come farebbe un padre mentre osserva le proprie figlie, perfettamente consapevole delle caratteristiche che le rendono una diversa dall’altra pur avendo una matrice comune.

Queste moto, per l’ex concessionario di Castelfiorentino, rappresentano esattamente la stessa cosa: al di là della cilindrata e del marchio che le accomuna, infatti, raccontano storie diverse, come diverso è il ruolo che hanno giocato all’interno della produzione dell’azienda bolognese. Metterle tutte e tre assieme, oggi che sono passati più di quarant’anni da quando sono state costruite, non è stato facile, anche perché il loro reperimento è avvenuto in tempi e con modalità differenti; ma procediamo con ordine.

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La Mark 3D fu la prima moto di serie a montare il desmo: la progenitrice, quindi, di una stirpe gloriosa. Proprio per questo motivo, il suo valore è tenuto in gran conto dai collezionisti del marchio di Borgo Panigale.

Gli esemplari in questione rispondono al nome di 350 Mark 3D, 350 Desmo prima serie (altrimenti detto “Pallottola d’Argento”) e 350 Desmo seconda serie: oltre a essere identificati da uno specifico colore, rispettivamente rosso, grigio e giallo, essi presentano condizioni che variano dal discreto stato di conservazione al perfetto restauro, ma la cosa ancora più importante è che, come si evince anche dalle loro sigle, sono tutti equipaggiati con il celebre sistema desmodromico della distribuzione.

All’epoca non era ancora di serie su tutte le Ducati, – racconta Peruzzi – ma rappresentava una sorta di optional particolarmente ambito e costoso! La Mark 3D è stata la prima a impiegarlo tra i modelli stradali e come tale era circondata da un alone di grande aspettativa. Fino a quel momento, infatti, il Desmo era stato usato solo nelle competizioni.

Tra le particolarità che caratterizzavano questa monocilindrica c’era senza dubbio il bellissimo serbatoio con doppio tappo di rifornimento, una soluzione dettata più da motivi estetici che da necessità pratiche, come conferma Marcello: “Non credo che qualcuno avesse pensato a una sua utilità durante i rifornimenti rapidi nelle gare di durata, come sarebbe viceversa accaduto in seguito, ma è innegabile che le sue forme così particolari conferissero alla moto un look immediatamente riconoscibile.

Proprio a proposito del serbatoio, Peruzzi ha un aneddoto interessante da raccontare: “Essendo molto ricercato, ma allo stesso tempo molto difficile da reperire come ricambio, ricordo che qualche tempo addietro ne feci realizzare una replica da un artigiano di Lazzeretto, – una frazione nel comune di Cerreto Guidi (FI), ndr – ottenendo peraltro un ottimo risultato. Inoltre, la Mark 3 si distingue anche per lo sfondo del celebre stemma alato che compare sul serbatoio stesso, di colore celeste anziché nero come sulle altre Ducati che lo possiedono.

Tornando alla Mark 3D, la sua commercializzazione fu avviata nel 1967 e affiancava quella della versione con distribuzione a molle: “Chi desiderava la testa desmodromica sulla Mark 3 e sui primi Scrambler – prosegue Marcello – doveva pagare un sovrapprezzo pari a 28.000 lire più il 4% di tasse. A qualcuno sembravano tanti, ma in realtà è quasi paradossale se pensiamo che oggi un solo bilanciere di quel sistema viene 150 Euro!” 

Pur essendo impreziosita da questo importante contenuto tecnico, tuttavia, non possiamo ancora parlare di una vera e propria moto sportiva secondo i canoni che, in seguito, avrebbero reso la Ducati famosa in tutto il mondo.

A confermare questa constatazione ci sono la sella biposto, il comando del cambio a bilanciere, le pedane avanzate, i parafanghi avvolgenti e tanti altri particolari che identificavano la Mark 3D come l’equivalente odierno di una pregevole, ma non esasperata, moto stradale.

La potenza sviluppata dall’elegante monocilindrico di 350 cc era di circa 28 Cv e a questo risultato contribuiva anche il carburatore Dell’Orto SS1 29D che, sebbene più difficile da mettere a punto rispetto ai VHB dei modelli successivi, mantiene un fascino e una quotazione decisamente più alti: “E’ come un quadro di Picasso! – ci scherza su Peruzzi – Solo che di quadri non ci capisco niente, mentre un simile capolavoro della meccanica può permettersi il lusso di costare 1000 Euro e di richiedere una messa a punto molto più complicata rispetto a quelli di generazione immediatamente successiva, che costano un quinto e vanno decisamente meglio!

All’occorrenza, la Casa di Borgo Panigale metteva a disposizione il contagiri meccanico Veglia a fondo bianco, che compare appunto nell’equipaggiamento di questo esemplare, e un kit di potenziamento che spostava “il target” nella direzione in cui Ducati si sarebbe mossa in seguito con il lancio della 350 Desmo prima serie, realizzata a partire dal 1971.

Con essa, il concetto di sportività è evidentemente più sviluppato, facendola apparire come una riproduzione in scala ridotta delle moto che trionfarono a Imola alla 200 Miglia del 1972, livrea argentata compresa.

Oltre alla veste estetica decisamente più evoluta, sottolineata dalla sella monoposto, dalle sovrastrutture in fibra di vetro e da altri particolari, la prima 350 Desmo poteva contare su un equipaggiamento tecnico ancora più efficace, a partire dall’impianto frenante Grimeca che, all’anteriore, prevedeva un tamburo a quattro ganasce, e proseguendo con la forcella idraulica Marzocchi. Una componentistica tipicamente racing, proprio perché utilizzata nelle gare in salita o in circuito, che per la prima volta veniva montata anche su una moto di serie.

In questo caso, la strumentazione prevedeva fin dall’inizio il tachimetro integrato nella calotta del faro e il contagiri su un apposito supporto di plastica vincolato al frenasterzo, mentre le pedane erano decisamente più arretrate, tanto da sfruttare gli attacchi che sul Mark 3D erano predisposti per quelle del passeggero, e il cambio non era più a bilanciere, ma di tipo tradizionale.

Questa 350, ribattezzata appunto “Pallottola d’Argento” in virtù della sua livrea e delle sue doti dinamiche, introduceva dei miglioramenti anche a livello di albero a camme, grazie a un diagramma leggermente più spinto che sarebbe stato ripreso anche dalla serie Scrambler in virtù del maggior spunto con cui permetteva di affrontare i tratti in salita.

La Mark 3D fu la prima moto di serie a montare il desmo: la progenitrice, quindi, di una stirpe gloriosa. Proprio per questo motivo, il suo valore è tenuto in gran conto dai collezionisti del marchio di Borgo Panigale.

Le quotazioni per un esemplare di questo tipo hanno raggiunto cifre davvero impensabili, che superano di slancio i 10.000 Euro! – racconta Marcello – E’ chiaro che stiamo parlando di moto in ordine, con tutti i pezzi che distinguono questo modello al posto giusto. Il portafaro, ad esempio, deve essere fatto in un certo modo e lo stesso vale per altri particolari specifici, come il manubrio. Ancor meglio, poi, è se la verniciatura risulta ancora quella originale, come in questo caso: veniva effettuata attraverso un procedimento che vedeva le varie parti inserite dentro ai corrispondenti stampi già verniciati al loro interno, generando così il caratteristico effetto ‘metal flake’, dopo di che venivano applicate le decal.

Anche i cerchi, Borrani in alluminio a profilo alto, fanno parte di quei particolari che elevavano la Pallottola d’Argento a uno status decisamente più incisivo rispetto a quello della Mark 3D e lo stesso salto concettuale sarebbe stato compiuto verso la fine del 1972, passando dalla prima alla seconda versione della serie Desmo, con la quale il monocilindrico Ducati di 350 cc trova la sua definitiva consacrazione.

La sigla che identifica il modello rimane la stessa, ma cambiano le forme delle sovrastrutture, soprattutto per il codino, che adesso risulta integrato con il parafango posteriore, e i fianchetti laterali, più piccoli e squadrati, mentre il faro ha la calotta meno allungata e può contare su nuovi supporti in gomma.

La 350 Desmo seconda serie, le cui forme più moderne e affilate si devono alle felice matita di Leopoldo Tartarini, che poi fonderà la Italjet.

I foderi della forcella guadagnano una colorazione nera che, insieme a quella del telaio, contrasta con il giallo della carrozzeria, lo stesso che caratterizzava la bellissima 750 Sport, prima vera sportiva Ducati di grossa cilindrata preceduta dall’uscita della più tranquilla GT.

Una delle particolarità più curiose di questo modello – sottolinea Peruzzi – è che la leva del cambio andava spesso a interferire con l’impianto di scarico. Per questo motivo, alcuni praticavano una piccola ammaccatura sul silenziatore, in modo da poter abbassare il comando, che altrimenti veniva a trovarsi in una posizione davvero scomoda. In alternativa, veniva sostituito tutto l’impianto, come è stato fatto in questo caso, in modo da poter montare un silenziatore conico invece che a sigaro.

La strumentazione prevede il tachimetro e il contagiri uno di fianco all’altro, sorretti da un unico supporto, sulla falsa riga di quanto succedeva già sulle varie versioni dello Scrambler, mentre il serbatoio è in lamiera, visto che quello in fibra di vetro, seppur vantaggioso sotto il profilo del peso, dava spesso luogo a fastidiosi trafilaggi di benzina.

Giunto al suo massimo livello di maturazione, il progetto 350 Desmo fu progressivamente messo da parte, non prima però di aver previsto, su richiesta, la possibilità di essere equipaggiato con il freno a disco anteriore e la carenatura integrale. Quale suo successore, la dirigenza Ducati ebbe la malaugurata idea di scegliere il 350 Sport Desmo, il bicilindrico parallelo che tanto avrebbe fatto rimpiangere i “mono” progettati dall’Ingegner Taglioni.

Tornando alle moto in questione, a Marcello piace pensare che questo “terzetto” possa andare in eredità a chi saprà aggiungere ulteriori capitoli alla già lunga tradizione di famiglia, iniziata con suo padre Ezio come costruttore artigianale di biciclette negli anni Venti e che prosegue felicemente con i suoi figli Alberto e Fausto, entrambi coinvolti nella gestione dell’officina di Castelfiorentino.

Tre generazioni diverse che potremmo idealmente associare a ognuna di queste bellissime 350, che insieme riassumono un percorso tecnico e storico di grande interesse, grazie al quale Ducati ha saputo sviluppare alcuni dei capisaldi nei quali si identifica ancora oggi.

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