L’attività agonistica e la produzione di serie della Casa di Borgo Panigale sono sempre andate di pari passo. Un travaso costante che è sempre stato fonte di successi e mosse strategiche fortunate da parte del marchio, anche quando, sotto la gestione Cagiva dei fratelli Castiglioni, e all’alba del nascituro campionato del mondo Superbike, fu presa la decisione di realizzare la prima Ducati con motore bicilindrico Desmo a quattro valvole.
Le caratteristiche che questo motore doveva avere erano, oltre alle quattro valvole per cilindro, il raffreddamento a liquido e, preferibilmente, la distribuzione desmodromica. Con l’Ingegner Taglioni, padre di numerosi progetti di successo, in aria di pensionamento, i Castiglioni incaricarono l’Ingegner Massimo Bordi di coordinare lo studio di questo nuovo motore.
IL PROTOTIPO DELLA DUCATI 851
Bordi era approdato in Ducati proprio grazie a una tesi di laurea in ingegneria che aveva per oggetto la testa di un motore a quattro valvole con distribuzione desmodromica, anche se in quel caso il raffreddamento era ad aria.
Inoltre, era ben noto che Taglioni non aveva simpatia per la distribuzione a quattro valvole: fu così che Bordi consultò la Cosworth in più occasioni, dal settembre del 1985 fino al gennaio del 1986, per la definizione della sua testata a quattro valvole.
A quel punto, la Cosworth si dichiarò disponibile a produrre il prototipo di un motore privo, però, della distribuzione desmodromica, per la modica cifra di un miliardo e mezzo di lire!
Ovviamente, a fronte di tale richiesta, fu deciso di risolvere la questione internamente, affidando, già all’inizio del 1986, a Gianluigi Mengoli la realizzazione dei disegni tecnici, completati poi verso la metà di aprile dello stesso anno.
Fu così allestito un prototipo su ciclistica F1 e con cilindrata di 748 cc (dovuta a un alesaggio di 88 mm e una corsa di 61,5 mm) portato in gara da Lucchinelli, Ferrari e Garriga al Bol d’Or del 1986, che però si fermò alla tredicesima ora di gara per la rottura di una biella: il motore, con un rapporto di compressione pari a 11:1, era capace di sviluppare circa 100 Cv alla ruota.
A parità di cilindrata, il motore di Bordi si dimostrò quindi immediatamente più performante rispetto al due valvole di Taglioni: era la prima volta che un motore Ducati raggiungeva la soglia dei 100 Cv.
Il futuro del Desmoquattro era dunque assicurato.
Nel marzo del 1987, il Desmoquattro fu portato a Daytona nella Battle of the Twins e Marco Lucchinelli si aggiudicò la gara davanti alla 750 F1 a due valvole guidata da Stefano Caracchi: insomma, il simbolo di un ideale passaggio di consegne, l’inizio di una nuova era.
STORIA E SVILUPPO DELL’851
A metà giugno 1987 furono effettuati i collaudi dei primi prototipi con faro e targa, mentre nel novembre del 1987 fu iniziata la produzione dei primi sette esemplari di 851 Superbike (dato pari alla nuova cilindrata, con alesaggio 92 mm e corsa 64 mm).
La Ducati 851 S venne presentata nel dicembre del 1987 al Salone di Milano e commercializzata in Italia dal giugno successivo al prezzo di 19.596.000 lire.
Per accaparrarsi l’esclusiva bicilindrica bolognese occorreva quindi spendere alcuni milioni in più rispetto a quelli necessari per l’acquisto delle coeve concorrenti giapponesi.
Visto poi che Ducati produceva meno di 50.000 moto all’anno, i regolamenti del campionato Superbike le imposero una produzione, entro il 1988, di almeno 200 unità stradali della moto con la quale intendeva partecipare a tale prestigioso appuntamento: così, per l’utenza privata, nel 1988, la 851 si diversificò nelle versioni S e Superbike Kit, che appunto dava la possibilità alla Ducati di iscriversi al Mondiale Superbike.
Il bicilindrico a L raffreddato a liquido con distribuzione desmodromica a quattro valvole erogava sulla versione S 102 Cv a 9000 giri all’albero, mentre quello della versione Kit era in grado di raggiungere i 125 Cv a 10.000 giri.
Entrambe impiegavano bielle Pankl, un sistema di iniezione elettronica Weber-Marelli con due iniettori per cilindro e valvole da 32 e 28 mm. Differivano invece per il cambio a sei rapporti, meno ravvicinati sulla S. La ciclistica di entrambe era incentrata su un telaio a traliccio in tubi di acciaio Cr-Mo operante con un forcellone in alluminio dalla sospensione progressiva.
I cerchi erano Marvic-Akront compositi da 16” per la S e Marvic da competizione in magnesio da 17” per la Kit. Comune a entrambe le versioni era l’impianto frenante della Brembo con i dischi anteriori flottanti da 280 mm e il posteriore da 260 mm.
Dal 1989, la S e la Kit accolsero rivisitazioni tecniche e stilistiche che conferirono loro una conseguente maturità. Per quanto concerne la S, fu abbandonata la livrea tricolore in favore del classico rosso, capace di valorizzare le linee dell’ammiraglia bolognese.
A livello di motore, il bicilindrico più evoluto e veloce del mondo cambiò il rapporto di compressione da 10,4:1 a 11:1, per una potenza massima di 105 Cv a 9000 giri all’albero, mentre scese a uno il numero degli iniettori per cilindro.
Sul telaio, il colore bianco subentrò all’argento e l’inclinazione del cannotto di sterzo, operante su cuscinetti a rulli conici, diminuì di 3°, da 27,5° a 24,5°, definendo un’avancorsa di 95 mm, per un interasse pari a 1430 mm.
I cerchi erano della Brembo, divenuti entrambi da 17” (scelta che migliorò radicalmente il comportamento su strada) con i dischi dei freni in acciaio con diametro maggiorato all’anteriore (320 mm) e diminuito al posteriore (245 mm).
Negli anni successivi, fu merito di Ducati affinare continuamente l’offerta della 851/888, procedendo con graduali perfezionamenti che la condussero a una qualità globale di assoluto rilievo, tanto da farla rimpiangere a qualche appassionato, nonostante il fatto che la sua erede fosse niente meno che quel capolavoro motociclistico che ha nome Ducati 916.
LA CARRIERA AGONISTICA
Ducati schierò Marco Lucchinelli, ex campione del mondo della classe 500, nella prima gara del Mondiale Superbike, che prese il via il 3 aprile 1988, sul circuito di Donington Park, in Gran Bretagna: il binomio ottenne in tutto il campionato ben due successi di manche, uno proprio nell’appuntamento di apertura, l’altro a Zeltweg, il quarto dei nove previsti. La moto e il pilota italiano conclusero la stagione al quinto posto, a 33 lunghezze dal campione Fred Merkel su Honda.
L’anno successivo, Ducati schiera Raymond Roche e Baldassare Monti, con Lucchinelli direttore sportivo del team: le vittorie diventano molto più frequenti, tanto che solo ripetute noie elettriche impediscono al francese la conquista del titolo.
Nonostante la moto fosse ancora identificata come 851, la cilindrata era già passata a 888 cc.
Il successo arrivò puntuale nel 1990, grazie all’abilità di Roche, che quell’anno aveva come compagno di squadra un grande e sfortunato Giancarlo Falappa: ovviamente, molto del merito fu della 851, continuamente affinata e perfezionata, tanto da raggiungere prestazioni inarrivabili per le concorrenti, in forza dei suoi 135 Cv e 150 Kg di peso.
PREGI E DIFETTI DELLA DUCATI 851
La posizione in sella della 851 privilegia senz’altro i piloti di statura medio-bassa, rendendo penalizzante l’uso per i più alti, che restano fuori dalla carena e che, nelle frenate decise, accusano maggiormente il carico su polsi e avambracci, impossibilitati ad avvalersi dell’appoggio sul serbatoio. L’angolo di sterzo è veramente limitato, tanto da rendere seccante l’utilizzo della moto nel flusso del traffico cittadino.
Del resto, il terreno favorevole alla 851 sono i rettilinei che si alternano a curve dal raggio più o meno ampio: un percorso misto veloce dove il motore elargisce agevolmente le sue caratteristiche per una guida divertente e gratificante.
Una moto che va guidata davvero
Tutto questo è tuttavia vero al di sopra dei 3500 giri: finché non si supera tale regime il propulsore è piuttosto scorbutico, se non addirittura fastidioso. Dai 3500 giri in poi, invece, l’erogazione si fa fluida e piacevole, con una spinta costante che offre il meglio di sé tra i 7000 e i 10.000 giri.
Come stile di guida, la 851 va guidata di forza, per averne la piena padronanza e sfruttarne così l’avantreno granitico e rigoroso.
Nei curvoni veloci, l’ottima ciclistica permette senza problemi la correzione della traiettoria e tollera le aperture e le chiusure della manopola dell’acceleratore, unitamente a notevoli angoli di inclinazione. Discrete le vibrazioni, costantemente presenti nell’intero arco di utilizzo del propulsore, tanto da obbligare al controllo del serraggio della bulloneria ogni 5000-7000 Km.
La resistente e modulabile frizione svolge onestamente il suo compito, benché la leva d’azionamento risulti dura a dispetto del comando idraulico. Il cambio è decisamente preciso e rapido negli innesti e ben spaziato, mentre ridotta al minimo è la corsa della leva.
I freni concedono spazi d’arresto ottimali e risultano affidabili perfino se sollecitati ripetutamente.
Siamo comunque di fronte a una moto di grande fascino e ricca di storia, il primo Desmoquattro della storia Ducati: di tutto ciò risentono positivamente le quotazioni sul mercato dell’usato che, soprattutto per la versione tricolore, possono raggiungere valori molto importanti.
SBK a Jerez: avanti tutta!
A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.
Prova in pista della Ducati 888 di Doug Polen
Prova in pista della 888 di Doug Polen, la moto con cui il pilota americano replicò la vittoria nel mondiale SBK 1992, dopo il titolo dell’anno precedente.