Chi si ferma è perduto: è questo un concetto ben chiaro in Ducati quando, alla fine dello scorso secolo, decisero di mettere mano allo storico Desmoquattro con l’obiettivo di rendere più performante e leggero il propulsore a quattro valvole: nasce così il Testastretta che ha la sua prima applicazione proprio sulla Ducati 996 R oggetto di questo articolo, presentata alla stampa nel 2001 in quel di Valencia.
Più che di un’innovazione, si trattò di una vera rivoluzione: il nuovo propulsore venne completamente riprogettato, tant’è che non rimase niente di intercambiabile, a livello di motore, fra questa versione e quella installata sulla precedente 996 SPS, ovvero la moto che fino ad allora era il top del listino Ducati.
Dopo che nel campionato del mondo SBK del 2000, anche a fronte dell’incidente che causò il ritiro dalle gare di Carl Fogarty, la Ducati 996 aveva mostrato i suoi limiti, soprattutto nei confronti della bicilindrica Honda VTR1000 SP, condotta alla vittoria finale da Colin Edwards, si decise di porre fine agli indugi e di realizzare un motore che avesse caratteristiche tali da ribadire, ancora per molti anni, il dominio di Ducati nelle competizioni dedicate alle derivate di serie: così nacque il nuovo Testastretta.
Ducati 996 R: rivoluzione tecnica radicale, stile immutato
Il cambiamento fu talmente radicale che in molti si chiesero se non fosse stato il caso di accompagnare tale evoluzione tecnica anche con una nuova estetica, invece che continuare con il seppur superbo stile della famiglia 916: la risposta che fu data dal management Ducati dell’epoca fu che la linea della 996 era ancora troppo attuale per doverla modificare. Con il senno di poi, difficile dargli torto, soprattutto considerato quello che successe qualche anno dopo con la 999.
Considerazioni estetiche a parte, il Testastretta era un propulsore completamente nuovo, a cominciare dalla configurazione dei carter, fusi in terra, immediatamente riconoscibili per il disegno della coppa dell’olio, più profonda, e per il diverso giro dei condotti esterni del circuito di lubrificazione delle teste.
Ma se l’obiettivo dei progettisti Ducati era quello di disporre di un motore più potente, ferma restando la cilindrata imposta dai regolamenti Superbike, era gioco forza incrementare il regime di rotazione massimo: la soluzione del problema la si trovò con la riduzione della corsa e il contemporaneo incremento dell’alesaggio; questa modifica permise inoltre di impiegare valvole di maggior diametro per una migliore efficienza termodinamica anche a regimi molto elevati (40 mm di diametro all’aspirazione, in luogo dei precedenti 36 mm, e 33 mm di diametro allo scarico in luogo dei precedenti 30): l’alesaggio quindi passò, dai 98 mm del 996, a 100 mm, mentre la corsa si ridusse da 66 a 63,5 mm.
Ovviamente, però, non era sufficiente che il nuovo motore girasse più in alto, era anche indispensabile che la camera di scoppio avesse un profilo quanto più raccolto possibile per ottimizzare il processo di combustione: tale risultato fu ottenuto grazie alla riduzione dell’angolo incluso delle valvole dai 40° del Desmoquattro originale a soli 25°.
Per ottenere un tale risultato, si rese necessaria la progettazione di un cinematismo completamente nuovo per il comando desmodromico delle valvole: tale nuova architettura permise anche di migliorare notevolmente l’accessibilità per le operazioni di messa a punto e manutenzione, anche in virtù del fatto che la sommità della testa del Testastretta era scomponibile.
Tale configurazione della camera di combustione consentì di ottenere un rapporto di compressione di 11,5:1 con cielo del pistone perfettamente piatto.
Altra importante innovazione fu la progettazione di condotti di aspirazione con andamento più rettilineo rispetto al passato e l’iniezione con un solo iniettore posto in posizione centrale, “a doccia”, così come era già stata impiegata nella 748 R.
Il risultato finale di questo intenso lavoro di ridefinizione dei parametri fondamentali del bicilindrico quattro valvole comportò una potenza di 135 Cv a 10.200 giri (più 10% rispetto alla 996 SPS), con coppia massima di 10,3 kgm a 8000 giri, ma soprattutto con una progressione nettamente più vigorosa e gestibile della curva di erogazione, aspetti questi fondamentali per tornare subito competitivi nelle gare.
In questo senso, proprio in riferimento alla concorrenza di Honda nel Mondiale SBK è molto interessante rileggere il commento ufficiale Ducati con riferimento al vecchio Desmoquattro e alla sua gloriosa storia sportiva; “Nel corso degli stessi anni, i suoi più fieri e tenaci avversari (del motore Desmoquattro, ndr) gli hanno opposto due e anche tre generazioni di propulsori completamente nuovi. Inoltre, in qualche caso, sono arrivati anche a smentire sé stessi e le proprie tradizioni per imitarne la filosofia progettuale stessa, riprendendone l’architettura e perfino le misure di alesaggio e corsa. Era quindi tempo di ristabilire le distanze, facendo compiere al Desmoquattro un deciso balzo tecnologico che lo mettesse fuori dalla portata dei nuovi avversari”.
Nel 2001 Troy Bayliss e la 996 R rifilano 36 punti alla Honda di Edwards
In effetti, come la storia racconta, in Ducati videro giusto: nel 2001 il buon Troy Bayliss, proprio in sella alla 996 R, rifilò 36 punti a Edwards in sella alla “cugina” Honda VTR1000 SP!
Di questa sana competizione sportiva si avvantaggiò nel suo complesso la 996 R che, oltre al motore, aveva tante altre belle frecce nel suo arco, prima fra tutte la riduzione di peso: la nuova moto, oltre a essere più potente, pesava anche ben 7 Kg in meno, grazie ai 3 Kg risparmiati con il motore (74 Kg contro 71), al chilo in meno dell’impianto frenante, 1,5 con la nuova carenatura, 700 gr dalla centralina e 600 gr dal corpo farfallato.
La frenata era un altro punto di forza della R, gestita da un impianto frenante Brembo con due dischi anteriori semiflottanti da 320 mm e di pinze a quattro pistoncini e quattro pastiglie: la pinza P4-34 era riconoscibile per il ponticello di irrigidimento tra le due sezioni, sistema definito dalla Brembo “Triple Bridge”. Quest’impianto frenante, supportato da quello posteriore con disco da 220 mm e pinza a due pistoncini, era un vero e proprio riferimento sportivo per il periodo, tanto da costituire elemento di imbarazzo per il pilota meno esperto, considerata la sua esuberante potenza frenante.
Notevole, poi, la carena completamente in fibra di carbonio, modificata rispetto ai modelli precedenti in quanto priva degli estrattori d’aria laterali, aspetto che permise di migliorare il coefficiente aerodinamico così da ottenere circa 5 Km/h in più nella velocità di punta.
Tornando agli aspetti tecnici, un capitolo a parte lo meriterebbe la centralina elettronica Marelli 5.9M, di nuova concezione per l’epoca, molto più leggera e compatta, con una capacità di calcolo più elevata rispetto alla precedente versione.
Punto di forza della 996 R era poi la sua ciclistica: il telaio era in tubi di acciaio legato al cromo-molibdeno con spessore di 2 mm, con traliccio modificato tipo “Fogarty”; le sospensioni erano Öhlins Competizione, con forcella a steli rovesciati da 43 mm con riporto anti-frizione TIN e ammortizzatore posteriore multiregolabile; della stessa marca l’immancabile ammortizzatore di sterzo.
Il cannotto di sterzo consentiva di regolare l’angolo di caster dell’avantreno, una raffinatezza che rendeva Ducati esclusiva nel settore delle supersportive.
Chi ha avuto la fortuna di provarla è rimasto colpito dall’importante evoluzione imposta dai tecnici Ducati nel settore di riferimento: del nuovo propulsore, più che della potenza, colpiva la maggior silenziosità meccanica e la regolarità con cui metteva a terra i tanti cavalli.
La 996 R si dimostrava così più facile da guidare della SPS, di cui colpiva proprio la brutalità dell’erogazione: del resto, la curva di coppia del Testastretta presentava un andamento molto più regolare e progressivo rispetto al Desmoquattro, garantendo una progressione nettamente più vigorosa e gestibile della curva di erogazione, dai regimi intermedi fino a quelli di picco di potenza.
Insomma, una gran bella moto, infatti venne proposta sul mercato alla notevole cifra di 26.000 Euro: del resto, ne vennero prodotti solo 350 esemplari, più altri 150 che furono messi a disposizione dei piloti privati. Si può quindi senz’altro affermare che la 996 R rappresenta un must per qualsiasi collezionista Ducati, non solo per il numero esiguo di esemplari in circolazione, ma anche per l’importanza che riveste nella recente storia della Casa di Borgo Panigale.
E’ anche una moto bellissima, con una linea immortale, resa preziosa dalla stupenda carena in carbonio, da una dotazione tecnica che per l’epoca era il non plus ultra della sportività e della massima performance.
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