Ducati Apollo: l’unico esemplare è in Giappone

Ducati Apollo: l’unico esemplare è in Giappone

L’unico esemplare al mondo della Apollo “riposa” in un remoto angolo del Giappone, all’interno di una collezione-museo situata nell’isola di Kyushu.

Sono sempre stata appassionata di moto, ma quando sono entrata a far parte della redazione della rivista giapponese Ducati Magazine non sapevo molto della storia del marchio di Borgo Panigale. Certo, sapevo che da quasi cinquant’anni quasi tutte le sue moto utilizzano il bicilindrico a L longitudinale di 90° e che, per un lunghissimo periodo, erano tutte caratterizzate dalla bellezza del telaio a traliccio.

Poi, piano piano, dal 2010, anno in cui appunto sono entrata a far parte della redazione, ho cominciato a conoscere meglio la sua storia: ho così scoperto come, nella sua lunga storia, più precisamente negli anni Sessanta, Ducati avesse addirittura progettato e costruito una moto con un motore a quattro cilindri.

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Questa moto, come ben sanno gli appassionati, si chiama Apollo e mi ha sempre molto incuriosito: guardavo le foto di questo imponente modello e non riuscivo quasi a credere come, in un’epoca così lontana, Ducati fosse riuscita a realizzare un motore così complesso.

Ero anche piuttosto sorpresa per la storia di questo particolare modello, tanto che ho iniziato a informarmi al proposito; la mia curiosità è arrivata al massimo livello quando ho scoperto che l’Apollo non è mai stata commercializzata e che ne esiste solo un esemplare al mondo. Sapete dov’è quest’unico e rarissimo esempio di architettura a quattro cilindri realizzato a Borgo Panigale?

Esatto, in Giappone, proprio nel mio Paese! Il passo successivo è stato ovviamente quello di capire dove fosse questo unico esemplare; ben presto, grazie a un amico, ho scoperto che si trova in una collezione-museo situata nell’isola di Kyushu (la più sud delle 4 isole principali che formano il Giappone).

Sono così partita in direzione della città di Yufu e, devo essere sincera, mi batteva forte il cuore per l’emozione: tra poco l’avrei incontrata!

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L’autrice dell’articolo è qui in compagnia del proprietario del Museo.

Infatti, nonostante abbia visitato due volte il Museo Ducati, sia nel 2014 che nel 2016, della Apollo c’erano in esposizione soltanto il motore e qualche foto; la moto intera non c’era, ovviamente.

Strana sorte, qui in Giappone c’è l’unico esemplare di una moto italiana unica al mondo, mentre se visiti il Museo Ducati non la trovi!

E’ anche vero, però, che Ducati, nella persona di Livio Lodi, fece carte false (e anche un’offerta economica piuttosto sostanziosa!) per convincere il proprietario della moto a venderla; ma si sa, far cambiare idea a un giapponese non è certamente cosa semplice!

L’unica cosa che ottenne, in cambio di un restauro completo della moto, che poi fu anche testata dal giornalista inglese Alan Cathcart, fu quella di averla in prestito per tre mesi all’interno del Museo, dopo di che l’Apollo tornò in Giappone!

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Il biglietto inviato dall’Ing. Taglioni al proprietario della moto. A fianco, più stringato il messaggio inviato da Federico Minoli, allora AD di Ducati, al Sig. Iwashita: tradotto dal giapponese significa semplicemente “Rendici l’Apollo!!”.

L’attuale proprietario l’acquistò, per la non certo modica cifra di circa 17.000 dollari, dall’azienda americana che aveva rilevato l’intero magazzino dei Berliner, gli storici importatori Usa della Ducati, gli stessi che commissionarono la realizzazione di questa moto che, nelle loro intenzioni, doveva andare a scalfire il predominio degli storici marchi a stelle strisce.

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Il progetto Apollo fu interamente finanziato dall’importatore americano Berliner, ecco perché anche sui carter motore è riportato il loro nome. Il propulsore vantava una potenza di ben 80 Cv a 6000 giri, con cambio a 4 rapporti: una cavalleria imponente per l’epoca, tanto che in Ducati furono costretti a prevedere una doppia corona per la trasmissione finale!

A questo punto, dobbiamo senz’altro fare la conoscenza con Hiroki Iwashita, proprietario del modello in questione, nonché di uno stupefacente museo che ospita centinaia di moto che ha iniziato a collezionare fin da giovanissima età.

Hiroki Iwashita iniziò a lavorare quando era poco più di un ragazzino; dopo aver fatto l’esperienza necessaria, fondò una ditta che produceva pezzi di ricambio per automobili. Fin da subito, collezionò moto per hobby, ma, alla età di trenta anni, il suo obiettivo cambiò: voleva un suo e personale museo di motociclette e finalmente ci riuscì nel 2001.

Oggi, la sua collezione ospita più di 600 moto, ma, considerato che non c’è spazio sufficiente per esporle tutte, nel museo ne sono presenti soltanto 200. Il loro stato di conservazione è così buono che più della metà sarebbero pronte a mettersi in moto e fare un giretto!

Il progetto della sua esposizione, con il tempo, è diventato ancora più ambizioso: Iwashita ha voluto ricreare ambienti che ricordassero la vita quotidiana nel Giappone degli anni Cinquanta e Sessanta.

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Probabilmente è da molto tempo che vi chiedete come sarà stato un negozio giapponese di elettrodomestici negli anni Cinquanta: la foto qui sopra soddisfa la vostra curiosità! Scherzi a parte, il punto di forza di questa particolare collezione è quella di avere ambientato le moto esposte nello stesso contesto in cui furono prodotte e utilizzate: una sorta di viaggio nel tempo! 

Ha così realizzato un piccolo centro cittadino, con tanto di bar, pasticceria, barbiere, ospedale e stazione della polizia; il risultato è che ora il suo museo è diventato famoso e vengono a visitarlo tantissime persone, spesso addirittura con viaggi organizzati e pullman turistici.

Ma è ora di entrare, per fare la conoscenza diretta con questa particolare collezione: l’ingresso del museo è molto luminoso e spazioso, con un bar che colpisce piacevolmente per la sua atmosfera del tutto rétro.

La responsabile del museo, Kazuoko Tashiro, inizia a spiegarmi come sia stata pensata l’esposizione del piano terra e del bar, ispirandosi appunto alla vita in Giappone negli anni Cinquanta e Sessanta.

Pur non essendo vissuta in quell’epoca, sono comunque rimasta molto colpita dal design molto delicato e affascinante di diversi oggetti; i prodotti giapponesi di allora riflettono l’impegno di volersi affermare a livello internazionale, raggiungendo un ottimo livello qualitativo, con designer e progettisti che ce la mettevano tutta per raggiungere questi obiettivi. E’ grazie a loro se il Giappone è diventato uno dei paesi più industrializzati del mondo.

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Uno scorcio delle oltre 200 moto esposte, per lo più di produzione giapponese.

Salendo al primo piano, trattengo la voglia di andare subito alla ricerca della Apollo, ma proseguo con calma, ammirando le moto una per una, anche perché qui siamo di fronte a una vera e propria enciclopedia della moto giapponese!

Dietro un angolo, però, ecco la sorpresa: sono davanti all’Apollo, rimango senza fiato per un’attimo davanti a questa moto così diversa dalle altre Ducati.

Normalmente, davanti a questa creatura così preziosa c’è una rete di protezione, ma, grazie alla disponibilità di Tashiro, l’ho potuta guardare senza barriere.

Ho ammirato attentamente l’inedito motore a quattro cilindri! In quell’epoca, era una sfida piuttosto difficile, quasi impossibile, creare una moto cruiser per conquistare il mercato statunitense, soprattutto tenendo presente come Ducati non avesse nessuna esperienza relativa a questo mercato e soprattutto con i motori a quattro cilindri!

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Ecco il principale motivo per cui l’Apollo non superò mai lo stadio di prototipo. All’epoca, non esistevano pneumatici in grado di resistere alla potenza e alla coppia del quattro cilindri, come scoprì a sue spese il povero collaudatore Ducati. A fianco, purtroppo, dopo il perfetto restauro effettuato in Ducati, l’Apollo ha subito qualche danneggiamento a causa del terribile terremoto dell’aprile 2016.

Ovviamente, davanti all’Apollo, si fermano anche le persone che non sono appassionate di moto, incuriosite da un cartello che ne riporta il suo valore ipotetico che è di 2 miliardi di Yen (circa 1 milione e ottocentomila Euro).

A questo punto la domanda è inevitabile: “Come ha fatto ad arrivare fin qui una moto così preziosa?”.

Un giorno, un amico di Iwashita ha visitato la sede di quell’azienda americana di cui abbiamo parlato prima e si è imbattuto casualmente nell’Apollo: ha fatto una foto e l’ha mandata a lui: il suo istinto gli ha detto che doveva prenderla al volo, anche perché non ci sarebbe stata una seconda occasione.

Nonostante il suo prezzo fosse assai impegnativo, Iwashita riuscì a procurarsi i soldi necessari, seppur con tanta fatica: il suo obiettivo era stato raggiunto e, in seguito, nonostante l’offerta di Ducati fosse davvero alta, Iwashita decise di tenere la moto con sé, proprio per realizzare il suo sogno: lui vuole che il suo museo diventi una delle grandi attrazioni della regione, non solo per gli appassionati, ma anche per i turisti comuni.

Prima di venire qua pensavo che sarebbe stato sufficiente vedere l’Apollo per essere più che soddisfatta, ma ora sono stata colpita da questo museo molto particolare, la realizzazione del sogno di Iwashita.

Testo di Y. Izutani, traduzione di N. Aizawa
Per gentile concessione di Ducati Magazine

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