Riguardando le pubblicità dell’epoca viene da sorridere. Immagini come quella di un baffuto signore che impenna senza casco con addosso un paio di jeans rimboccati in fondo e una t-shirt bianca, oppure quella di un cacciatore che ha appena parcheggiato la sua moto su un tappeto di foglie e, doppietta in mano, si appresta a una battuta scortato dal suo fidato cane.
Ce n’è una, poi, dove addirittura si vede una ragazza vestita da safari con un fucile sulla spalla e davanti a lei, sistemato su una pelle di tigre (!), c’è il suo ipotetico mezzo.
Il protagonista è sempre lui: lo Scrambler, uno dei modelli più importanti dell’intera storia della Casa di Borgo Panigale insieme al Cucciolo e al Monster.
Più che una moto, una vera e propria icona del motociclismo mondiale, visto che nacque proprio come trait-d’union tra i gusti europei e quelli statunitensi.
A volerlo furono infatti i fratelli Berliner di New York, gli importatori Ducati negli USA, che individuarono nel monocilindrico progettato dall’Ingegner Taglioni la base meccanica ideale per realizzare una tipologia di moto all’epoca molto popolare negli Stati Uniti ma assolutamente sconosciuta in Italia: quella degli Scrambler, appunto.
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L’avventura a stelle e strisce di Ducati
Storia dell’avventura americana di Ducati, concretizzatasi dopo la Seconda Guerra Mondiale, tra successi sportivi e strategie commerciali.
Non si trattava di una vera e propria moto da enduro, categoria che si sarebbe sviluppata qualche anno più tardi. Fondamentalmente, lo Scrambler si faceva apprezzare per l’impostazione con manubrio largo e sella spaziosa, simile in effetti a quella di una moto da fuoristrada, che rendeva più facile la guida anche su asfalto.
Il successo fu tale che, dal 1968, anno in cui fu presentato, alla sua uscita di produzione, avvenuta nel 1975, lo Scrambler Ducati fu realizzato in circa 50.000 esemplari.
Ducati Scrambler 450, il più venduto
La prima cilindrata a essere messa in commercio fu la 250, ma un anno più tardi fece la sua comparsa la versione di 450 cc, che ben presto diventerà la più venduta tra le tre disponibili, visto che nel frattempo era uscita anche la 350. L’impostazione della ciclistica era la stessa per tutti i modelli: telaio monoculla in tubi d’acciaio (che in seguito fu utilizzato anche per l’allestimento di efficaci moto da pista!), serbatoio a goccia con porzioni cromate sui lati, lunga forcella teleidraulica, doppi ammortizzatori, freni a tamburo (da 180 mm davanti e 160 mm dietro) e ruote a raggi rispettivamente da 18″ al retrotreno e 19″ (anziché 21″, come sulle moto da fuoristrada propriamente dette) all’avantreno.
Per quanto riguarda il motore, questo veniva allestito con distribuzione di tipo tradizionale, ma a richiesta, dietro l’esborso di 50.000 lire, era possibile avere la testata Desmo.
In ogni caso, tra gli esemplari venduti c’è una netta prevalenza della prima, cosa che, naturalmente, ha fatto salire negli anni le quotazioni degli esemplari conformi all’esclusività tecnica dell’attuale produzione Ducati.
Nella cilindrata di 250 e 350 cc lo Scrambler fu prodotto sia all’interno degli stabilimenti di Borgo Panigale che in quelli della Mototrans, l’azienda spagnola che a partire dai primissimi anni Sessanta fino alla fine dei Settanta produceva alcuni modelli Ducati su commissione.
In questo caso, la componentistica differiva dagli esemplari costruiti in Italia. Sugli Scrambler 250 “iberici”, infatti, il carburatore era Amal anziché Dell’Orto e la forcella Telesco invece di Marzocchi.
Altra importante differenza consisteva nella presenza, su questi ultimi, del motorino di avviamento.
La messa in moto, infatti, soprattutto sulla versione di maggior cilindrata, può creare non pochi problemi. Pur essendoci degli accorgimenti per migliorare la situazione (vedi la perfetta messa a punto delle puntine in merito all’anticipo), sono molti i proprietari di questo modello che, almeno una volta, hanno avuto a che fare con il doloroso “incontro” tra la pedivella d’accensione posta sul lato sinistro, che sul 450 era addirittura più lunga per offrire una leva maggiore, e la loro povera gamba!
Per facilitare questa operazione, sulle versioni a distribuzione tradizionale è presente un comando alzavalvola, mentre su quelle Desmo c’è un cosiddetto depressore.
Per quanto riguarda le prestazioni dichiarate, il 450 prevede una potenza di 27 Cv a 6500 giri, per una velocità massima di 130 Km/h, mentre il peso a secco è pari a 133 Kg.
Pur essendo identificato dalla sigla 450, in realtà la cubatura effettiva è di 436 cc, con alesaggio di 86 mm e corsa di 75 mm. Il carburatore ha un diametro di 29 mm e il cambio è a cinque marce, caratterizzato da una prima piuttosto lunga.
L’impianto elettrico a 6 Volt non garantisce una potenza sufficiente al faro per l’illuminazione notturna, perciò alcuni lo trasformano in uno a 12 Volt, cambiando il regolatore, la bobina e le varie lampadine (operazione non troppo difficile), lasciando peraltro il generatore originale.
Chi possiede oggi un esemplare e vuol procedere a un eventuale restauro deve essenzialmente porre attenzione al circuito di lubrificazione, fondamentale per assicurarsi la dovuta affidabilità. Spesso, la soluzione può essere quella di montare una pompa dell’olio maggiorata e di far passare esternamente i condotti che portano il lubrificante dal basamento alla testa e all’albero motore (sul lato sinistro), dopo essere passato attraverso un apposito filtro e un radiatore.
Grazie a questi e ad altri accorgimenti è possibile raggiungere percorrenze davvero elevate senza il minimo problema di affidabilità.
Infatti, la qualità dei materiali utilizzati all’epoca da Ducati per la produzione di questo motore era ottima, tra le migliori del panorama nazionale.
In merito alle colorazioni proposte nelle varie versioni e cilindrate, troviamo il giallo, l’arancio, il nero, il rosso, il blu, il bianco e il verde, sempre accoppiate a telaio e forcellone neri.
A livello di impianto di scarico ne sono stati realizzati due tipi diversi: uno lungo e uno corto.
Oggi, chi possiede un esemplare ben conservato ha in mano non solo una moto importante e quotata (dai 4500 ai 5500 Euro), ma anche un mezzo tuttora validissimo a livello di guida (pur con qualche vibrazione di troppo), per il quale fortunatamente è ancora possibile trovare una nutrita quantità di ricambi, originali e ottimamente replicati, come testimoniano i numerosi restauri in proposito.
Con la collaborazione di Lauro Micozzi
Foto Photoservice Electa, Alessio Barbanti
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