Lo confesso: sulle prime, durante i chilometri iniziali dedicati alla conoscenza della moto, mi ha attraversato la mente, con un’ombra di nostalgia, il pensiero: “Beati i giovani motociclisti in erba che si godranno questo gioiellino che è stato pensato e realizzato proprio per loro”. Quando poi, invece, con lo scorrere dei chilometri e delle curve, la confidenza con il mezzo si è fatta più “intima”, ho realizzato che l’avere sulle spalle qualche anno in più (di esperienza motociclistica, naturalmente) dà modo di scoprire ancora più a fondo, frugando sapientemente tra i risvolti del comportamento dinamico, l’indole divertente e disinvolta del prodotto del nuovo brand di casa Ducati.
In effetti, la gamma delle quattro versioni dello Scrambler intende catturare l’interesse di una tipologia differenziata di potenziali acquirenti, a partire, appunto, dal giovane che si avvicina per la prima volta alle cilindrate superiori, passando dal metropolitano che intende essere libero dalla schiavitù del solito scooterone, affascinando il nostalgico, non trascurando il funambolo del misto stretto ma senza dimenticare l’utenza femminile, dato che le misure (altezza sella da 77 a 79 cm), il peso (186 kg in ordine di marcia) e la potenza in gioco (75 cv) sono perfettamente gestibili anche dal meno muscoloso gentil sesso.
Riguardo all’approccio estetico, il carattere delle quattro sorelle è talmente variegato che è difficile non trovare l’allestimento con le caratteristiche che soddisfino le proprie esigenze di stile.
Si spazia, intanto, dai colori più classici ispirati allo storico progenitore (giallo per Icon e arancione per Classic) alle verniciature, invece, più arroganti (nero opaco per Full Throttle e verde militare per Urban Enduro), fermo restando l’immancabile rosso Ducati proposto su Icon. I parafanghi si mostrano dal minimalista estremo al rialzato da fuoristrada per tornare al tradizionale in alluminio. Anche le selle sono di quattro differenti fattezze dedicate; i cerchi possono essere in lega o a raggi e il manubrio è più alto, più basso o con il traversino di rinforzo; e ancora, il silenziatore può variare tra l’originale e il Termignoni omologato e addirittura appare anche un paracoppa e una griglia che protegge il faro.
Se poi non si è trovato il mix più appagante, si può attingere dalla lista dei componenti specifici e accessori dedicati (borse, cupolino, allarme antifurto, telo coprimoto, scarichi racing, ma anche abbigliamento, orologi, ecc.) creando così la propria migliore combinazione personale.
Nell’insieme ne deriva un’idea di moto sbarazzina ma efficace, semplice ma tecnologica, essenziale ma completa.
E terribilmente fascinosa.
Con la sua coda corta, il Full Throttle ricorda le moto che corrono sugli ovali statunitensi.
In sella allo Scrambler Full Throttle
Ma se l’approccio visivo è di forte impatto emozionale, le qualità dinamiche non danno adito ad alcun dubbio riguardo alla facilità di guida, l’immediatezza di approccio e il massimo divertimento di guida. In realtà, durante i primi metri i superdotati pneumatici semitassellati sembrano non trasmettere un subitaneo feeling: niente di più sbagliato! Il grip è da paura: che ci crediate o no, si riescono a strisciare sull’asfalto le pedanine.
Una menzione speciale la merita il superlativo impianto frenante marchiato Brembo – provvisto di un moderno sistema ABS – composto da monodisco da 330 mm servito da pinza radiale monoblocco a 4 pistoncini (c’è qualcosa che ricorda la Panigale): verrebbe da pensare che un unico disco così potente possa procurare un’azione di svergolamento delle forche nelle frenate più decise: niente! E da parte sua, il disco posteriore da 245 mm si rivela molto modulabile ed equilibrato.
Invece il reparto sospensioni, che si avvale di una dotazione Kayaba composta dalla forcella a steli rovesciati e il mono posteriore che prevede la regolazione solo sul precarico, riflette perfettamente la filosofia basic dello Scrambler: niente di superfluo, ma perfettamente funzionale e in sintonia con le necessità e le prestazioni del mezzo.
Anzi, l’assetto è ben sostenuto; forse manca appena un minimo di sensibilità sull’anteriore (complice il già citato pneumatico) e la risposta del mono sullo sconnesso breve è un po’ secca.
Nella lista delle soluzioni coerenti all’immagine essenziale – e al prezzo contenuto – del modello, rileviamo che la frizione (a bagno d’olio e dotata di sistema antisaltellamento APTC) è comandata tramite cavo ed è docile da azionare.
Anche il piccolo strumento digitale è in sintonia con la politica di “sobrietà”, ma con tecnologia evoluta, anche se un segnalatore di livello del carburante sarebbe stato quantomeno comodo (il disagio viene attenuato dall’attivazione del conto dei chilometri percorsi dal momento dell’entrata in riserva): questa peculiarità fa pensare all’evoluzione del buon vecchio rubinetto sotto al serbatoio. Sempre prestando attenzione allo strumento, la lettura del contagiri risulta poco intuitiva.
Il motore dello Scrambler Full Throttle
Riguardo al motore, ovvero l’unità da 803 cc della serie 796, c’è da sottolineare come gli alberi a camme siano stati modificati e l’angolo d’incrocio tra le valvole ridotto a 11° (come nei recenti Testastretta) al fine di addolcire l’erogazione: operazione perfettamente riuscita visto che in sesta da 2000 giri la progressione è molto dolce e lineare per diventare consistente alla soglia dei 4000 (effetto monocilindrico) fino ai 6000, dove si riscontra la coppia massima, quando dà il meglio di sé.
Oltre questo regime il crescendo si smorza un po’ ma, insistendo, l’allungo si protrae fino intorno agli 8000, in corrispondenza del tetto di potenza massima.
Tuttavia, in realtà non serve a molto spremerlo oltre il regime di coppia, il range ottimale è tra i 4 e i 6 mila giri: il rendimento è migliore e la guida più rilassata.
Fa riflettere l’evoluzione di cui hanno beneficiato i motori Ducati in questi ultimi anni, specialmente se ci si riferisce alle medie cilindrate: la trattabilità e la progressione da regimi un tempo improbabili è di immediata percezione, apprezzabile soprattutto in città e rappresenta indubbiamente uno dei punti di forza del progetto Scrambler.
La sinergia di questi componenti ci illustra perfettamente lo spirito dello Scrambler: un motore particolarmente generoso ai medi regimi, gomme performanti, tipico telaio a traliccio, sospensioni sostenute e impianto frenante eccellente, il tutto accompagnato dal peso contenuto, manubrio largo e posizione in sella confortevole: la piega è servita!
Per assurdo, il limite maggiore dello Scrambler è la difficoltà di scoprirne il limite, il raggiungere, cioè, delle inclinazioni importanti in maniera inaspettatamente naturale. Nondimeno ciò può essere interpretato come un livello di sicurezza e adattabilità superiore alla media, con un’indulgenza del mezzo nei confronti dell’errore di valutazione veramente elevata. Sorprendentemente, a differenza di molte creazioni più performanti di casa Ducati, in questa circostanza il motore non esprime da solo l’essenza dell’opera; lo Scrambler, infatti, esercita il suo appeal attraverso il look intrigante, il senso di evasione e creatività e le intrinseche promesse di divertimento di guida.
In base alle emozioni che suscita, il design azzeccato e la cura dei particolari c’è da prevedere che l’universo Scrambler possa diventare un vero must che avrà modo di andare a ripetere il successo planetario del Monster.
Per concludere, lo Scrambler ispira ricordi nostalgici solo a coloro che questo modello, in versione monocilindrica, l’hanno toccato con mano a cavallo tra gli anni ’60 e ’70.
In realtà è una moto assolutamente moderna e aggiornata che porta con sé non solo il grande fascino che deriva dal nome a cui è legata ma anche tanta sostanza e tecnologia.
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