“Ducati Meccanica è da tempo impegnata nel settore dei motoveicoli da trasporto, ormai pilastro della nostra industria. Il mercato però diventa sempre più esigente con i suoi settori commerciali. L’azienda di Borgo Panigale vuole quindi acquisire sempre maggiore visibilità, offrendo veicoli destinati anche al mondo commerciale e del lavoro”.
Recitava così un comunicato degli anni Sessanta, che ci descrive i presupposti attraverso i quali Ducati si impegnava nella produzione di modelli che di ruote ne avevano una in più rispetto al solito: un impegno che la Casa bolognese abbandonerà poi alla fine del 1970 per dedicarsi, per nostra fortuna potremmo aggiungere, alle motociclette di grossa cilindrata.
In pratica, Ducati tentò di fare la stessa cosa che fecero anche la Moto Guzzi con l’Ercole e la Piaggio con l’Ape, anche se solo quest’ultima ebbe successo.
Così, questo esemplare del 1966, che Enea Entati è riuscito ad acquistare dopo una lunga ricerca che lo ha portato fino a Desenzano sul Garda, in provincia di Brescia, diventa particolarmente interessante per raccontare una storia che forse non molti sanno.
Il Fattorino vanta infatti caratteristiche tecniche del tutto atipiche per i canoni Ducati che si sarebbero affermati in seguito, a cominciare dalla motorizzazione a due tempi. Il monocilindrico raffreddato ad aria è infatti lo stesso che equipaggiava il Brio, con alesaggio e corsa rispettivamente di 38 e 49 mm, per una cilindrata effettiva di 47,6 cc e una potenza massima pari a 1,27 Cv a 4300 giri al minuto: davvero pochi se consideriamo l’uso talvolta gravoso al quale era destinato questo tipo di veicolo, nonché il peso tutt’altro che trascurabile.
Le prestazioni, infatti, erano alquanto modeste: 15,3 Km/h in prima, 24,9 Km/h in seconda e 35 Km/h in terza. Per contro, alla velocità di crociera di 25 Km/h, il Fattorino percorreva in media 30 Km con un litro di miscela al 5%, cosa che gli garantiva un’autonomia di circa 150 Km grazie ai 5 litri di capacità offerti dal serbatoio del carburante.
Proseguendo con le caratteristiche tecniche, troviamo il cambio a tre marce con comando al manubrio, sul lato sinistro, come sull’Ape e sulla Vespa tanto per intenderci, mentre l’alimentazione è affidata a un carburatore Dell’Orto con diffusore da 12 mm di diametro e la messa in moto è a kickstarter, con il pedale sul lato destro del motore.
La trasmissione finale, invece, è a doppia catena: un primo tratto determina una prima riduzione del rapporto finale e un secondo tratto, con tanto di tendicatena, trasmette il moto direttamente al semiasse posteriore; in realtà, la ruota motrice è una soltanto, perché il semiasse è privo di differenziale, pertanto quando si dà gas gira solo la ruota posteriore destra. Probabilmente, questa scelta tecnica fu applicata per risparmiare sui costi di produzione.
Del resto, come dice il nome stesso, il Fattorino era destinato all’impiego commerciale delle piccole imprese e nell’Italia di quegli anni le possibilità economiche dei cittadini erano ancora assai limitate.
Singola ruota motrice e trasmissione a catena:due scelte penalizzanti
“La singola ruota motrice – spiega Entati – è probabilmente una delle caratteristiche che penalizzò maggiormente la diffusione di questo modello, soprattutto tenendo in considerazione lo stato in cui vertevano le strade dell’epoca, e lo stesso vale per la trasmissione a catena, che necessitava di una manutenzione nettamente superiore rispetto a quella ad albero vista la polvere che c’era in giro a quel tempo”.
La sospensione anteriore è costituita da una forcella telescopica di buona fattura, mentre quella posteriore è a balestra e nella parte anteriore delle balestre è presente una staffa asolata che serve a mettere perfettamente in linea il semiasse posteriore.
Anche l’impianto frenante è abbastanza “parsimonioso”: tre freni a tamburo a doppia ganascia, con l’anteriore da 118 mm di diametro e i posteriori da 123 mm. L’impianto anteriore si aziona tramite la classica leva sul manubrio, come sulle moto tradizionali, mentre il posteriore è a pedale ed è inoltre dotato di un dispositivo a dente di sega che lo trasforma in freno di stazionamento.
Tra gli accessori a richiesta, all’epoca era disponibile la ruota di scorta completa di pneumatico; a proposito di coperture, le gomme hanno tutte la stessa misura di 3,00-12”.
L’altezza minima da terra è 140 mm, la sella è a 770 mm da terra, la larghezza massima è pari a 1210 mm e la carreggiata misura 1100 mm. Il cassone, invece, ha le seguenti dimensioni: 950 mm di lunghezza, 1160 mm di larghezza e 240 mm di altezza.
Tra i particolari dal sapore nostalgico, poi, come non segnalare il tergicristallo comandato a mano con molla di ritorno, segno di un’epoca dove la praticità lasciava spesso a desiderare a causa della carenza di mezzi tecnici!
Va anche precisato che quello che Entati si è ritrovato davanti agli occhi era un mezzo ben lontano dal perfetto stato di conservazione, per questo egli stesso ci tiene a sottolineare che alcuni elementi protagonisti del restauro si sono rivelati praticamente introvabili, al punto che Enea è stato costretto a replicarli, seppur con la massima fedeltà, come ad esempio il lunotto posteriore.
Allo stesso modo, gli indicatori di direzione non sono originali, visto che all’epoca non venivano montati, ma per esigenze di collaudo (come si vede dalle immagini il mezzo è stato ritargato) Enea è stato costretto ad alterare la dotazione di serie.
Entati ha anche deciso di ricostruire il cassone posteriore in legno, anziché in metallo, sia per motivi di peso che per la notevole differenza a livello economico in favore della prima soluzione.
Restaurare questo esemplare, infatti, si è rivelata un’operazione tutt’altro che a buon mercato, come ci racconta Enea, che per ricostruire tutta la cabina di comando ha dovuto far fronte a spese di carrozzeria decisamente superiori alle aspettative.
La sella era monoposto, mentre l’esemplare di Entati ne prevede una in grado di accogliere due persone. In questo caso, però, il motivo è legato non tanto a motivi tecnici o storici, ma al fatto che lo specialista di Bondanello di Moglia ama portare con sé i suoi nipotini durante le eventuali escursioni con il Fattorino. La sella in questione è anche ribaltabile, in modo da permettere un più agevole accesso al serbatoio del carburante in caso di rifornimento.
Di fianco alla postazione di guida, sul lato destro, c’è un piccolo contenitore cilindrico che funge da porta attrezzi, soluzione che prevede una dotazione ridotta ai minimi termini: giusto una chiave da 21 per smontare la candela e un cacciavite!
L’impianto di scarico è originale e Entati ha dovuto penare non poco per rimetterlo nelle migliori condizioni possibili. Il tappetino che arricchisce la cabina, invece, è stato aggiunto di sua iniziativa, visto che l’allestimento di serie prevedeva che i piedi andassero ad appoggiare direttamente sulla lamiera. Si trattava dunque di un mezzo essenziale, poco performante e prodotto in relativa economia: un insieme di caratteristiche che, probabilmente, fecero percepire ai potenziali clienti una scarsa convinzione nel progetto da parte della stessa casa costruttrice.
Tra l’altro, quello in possesso di Enea è la versione RL, con il cassone allungato, mentre la R aveva il cassone normale e la RG era la versione giardinetta, dedicata a chi aveva la necessità di trasportare le merci al chiuso.
Come testimonia il fatto che molti di voi non lo avevano mai sentito nominare prima di adesso, il Fattorino Ducati ottenne un riscontro commerciale davvero scarso, nonostante il segmento di mercato al quale puntava fosse viceversa ricco di potenzialità, con Piaggio e la sua Ape a cavalcare un successo che perdura ancora oggi.