Tra il 2016 e il 2017 la carriera di Andrea Dovizioso ha cambiato passo: infatti, il Dovi ha iniziato a ottenere ottimi risultati, ha stupito la maggioranza del pubblico e ha regalato conferme a chi invece conosceva le sue potenzialità, tant’è che si è giocato due titoli e ha ottenuto tre secondi posti consecutivi nei mondiali dal 2017 al 2019.
Una nuova fiducia in sé stesso, un feeling unico con la Desmosedici, una guida sempre efficace, un primato riconosciuto sui compagni Lorenzo e Petrucci. Una grinta inedita e tanti duelli vinti nientemeno che con Marc Marquez.
Quando l’interruttore passa da off a on non è mai casuale, ma quasi mai conosciamo le cause: in genere è una determinazione coltivata negli anni con scelte ben precise, che in un dato momento si armonizzano tra loro.
Una di queste scelte per Dovizioso è stata la richiesta, nel 2016, di avere come capotecnico Alberto Giribuola, allora 32enne, “Pigiamino” per tutti perché ai suoi esordi in Ducati, nel 2008, i suoi 25 anni dimostrati a stento suscitavano l’affetto dei veterani del box.
“Pigia”, come lo chiama Dovi, per lui aveva già fatto analisi dati nel 2013 e 2014. Adesso Giribuola ha 36 anni e lo abbiamo intervistato per chiedergli di queste stagioni, dei weekend di gara suoi e di Dovizioso, del loro rapporto, di come affrontano i test, di come guida il Dovi, di come lavorano assieme sulla Desmosedici.
“Il nostro rapporto è cresciuto nel tempo da quando ci siamo conosciuti nel 2013, mano a mano che siamo stati insieme. All’inizio lui era un po’ diffidente, chiuso. C’è voluto tempo per costruire la fiducia nei miei confronti, che poi ha dimostrato di avere quando ha chiesto a Ducati che facessi da caposquadra. Per lui è stata una sfida, perché era la mia prima esperienza come caposquadra in MotoGp, l’avevo fatta solo nel 2012, ma in Superbike. Da quando sono passato capotecnico il rapporto è stato diverso, dovevo prendere decisioni difficili per cercare di far andare più forte lui, e se non c’è completa fiducia è difficile che questo avvenga. Piano piano Andrea ha visto il lavoro nel box e il mio modo di organizzare le cose, mentre io ho conosciuto meglio lui anche dal punto di vista emotivo; è diventata più una relazione di amicizia che di lavoro. Questo è importante perché ci sono momenti difficili, si devono condividere emozioni forti, sia positive che negative; il rapporto di amicizia ti fa essere più aperto nel dire quello che pensi e quello che senti, ci si capisce meglio. Alle gare passiamo molto tempo insieme, più che con qualsiasi altra persona della squadra”.
Poi ci sono i test.
“Durante i test ancora di più, le giornate sono più lunghe, si gira per otto ore e bisogna organizzarci; lui è una persona molto schematica, gli piace sapere perfettamente quello che andremo a fare. Organizziamo il test praticamente il giorno prima, poi lui fa riferimento a me per tutta la giornata; vuol sapere cosa proviamo, il tempo che ci vuole, le gomme da scegliere, i tempi necessari ai ragazzi per fare le modifiche, e via così per otto ore. A volte magari può chiedere una pausa per riposarsi e poter così tornare dopo a sentire le modifiche nel modo giusto, io organizzo il lavoro di conseguenza. Bisogna essere molto legati per fare questo tipo di lavoro, non sempre succede nelle squadre, siamo fortunati perché ci siamo trovati bene caratterialmente”.
Quali sono i punti di forza del Dovi e quale magari un punto di debolezza?
“Durante questi quattro anni è migliorato molto. Soprattutto all’inizio del nostro rapporto abbiamo lavorato su quello che era uno dei punti più difficili del suo carattere: a volte perdeva la calma o non credeva del tutto in sé, magari aveva bisogno di fare una certa prestazione, ma si approcciava con stress e quindi non la otteneva. Oppure il primo anno, se il venerdì avevamo qualche difficoltà, faceva fatica a immaginare che la domenica avremmo fatto una bella gara; c’è voluto un po’, ma neanche troppo, per fargli capire che ero lì per quello e che avevamo una serie di turni di prove per cercare di risolvere il problema. Più si sta calmi e meglio il team risponde, anche i ragazzi vivono una situazione più tranquilla e si lavora meglio. Questo l’abbiamo migliorato, lui ha fatto tanto di suo a livello caratteriale e ha fatto un grande cambiamento che l’ha portato anche a giocarsi il campionato. Un suo lato positivo è che è molto razionale e difficilmente si fa sopraffare dalle emozioni; lo si è visto in gara quando ha dovuto lottare con Marc all’ultima curva e il più delle volte l’ha avuta vinta, perché è lucido, riesce a immaginare quello che succederà e agisce di conseguenza. Prepara tutto a tavolino ed è sempre molto pronto a ogni possibilità. Il mio lavoro come capotecnico ha invece la difficoltà di tradurre in modifiche tecniche le sensazioni del pilota e il suo feeling con la moto; anche io ho avuto bisogno di tempo per arrivare a capire e a conoscere Andrea, essere cresciuti insieme aiuta molto anche in questo. Adesso nelle gare va tutto in automatico e se succede qualcosa entrambi sappiamo subito cosa fare”.
E’ più cavallo bianco o cavallo nero? Sul casco il Dovi ha disegnato tutti e due gli animali, simboli della razionalità e dell’emotività.
“Di natura tende a essere cavallo bianco, ma nel momento in cui è convinto che ci sia la possibilità di poter sfruttare il cavallo nero lo utilizza”.
Sei la persona che in assoluto conosce meglio la sua guida, puoi descrivercela?
“Il suo maggior punto di forza è la frenata, è forse il migliore degli staccatori o comunque è molto vicino a esserlo. E’ necessario esaltare questo suo vantaggio, in ogni caso ogni stile va associato alla moto che si sta guidando. La nostra moto si sposa bene a questa sua caratteristica, perché ci porta a fare frenate incredibili con sorpassi abbastanza facili rispetto ad altri. Sulla percorrenza invece a volte paghiamo un po’. Dobbiamo quindi cercare sempre di sfruttare una moto che è stabile nella parte di frenata, in modo che lui possa fare una spazzolata con il posteriore e un po’ di sliding in ingresso per scaricare l’anteriore; in quei momenti lì, quando la moto è un po’ di traverso, lui può frenare forte col davanti e siamo molto efficaci. E’ il punto dove lui guadagna di più, assolutamente, la sua caratteristica principale è proprio questa, è uno staccatore, è quello che gli serve per andare forte”.
Riuscirete nella prossima stagione a portare più velocità in curva?
“E’ il punto su cui cerchiamo di lavorare di più, sono già state portate diverse cose nei primi test che abbiamo fatto e sembra che in qualcosa si stia migliorando. C’è poi la pausa invernale con altri test nei quali dovremmo provare altre novità. Sicuramente ci concentriamo su questo, anche perché vanno tenute in considerazione le caratteristiche delle gomme; le Michelin vanno guidate con un po’ di percorrenza in curva, mentre poteva essere diverso con le Bridgestone che andavano meno in crisi col davanti e consentivano di tenere i freni tiratissimi fino a centro curva. Michelin fa più fatica a garantire questo anteriore granitico e quindi porta a sfruttare la moto in un modo diverso. Con Andrea siamo stati bravi fin dall’inizio del periodo Michelin a capire quali erano i punti difficili di queste gomme e a cercare di sfruttarne al massimo i punti a favore. In ogni caso, cerchiamo di migliorare il pacchetto generale, perché il lavoro di sviluppo riguarda la moto nel suo complesso, magari con una concentrazione maggiore su quello che crediamo essere il nostro punto più difficile”.
E’ possibile che Ducati avesse un vantaggio per quanto riguarda l’elettronica e che sia stato ridotto dall’introduzione della piattaforma inerziale unica nel 2019?
“Onestamente non credo che ci sia stato un livellamento importante per l’elettronica nel 2019. Ducati probabilmente è sempre la migliore da questo punto di vista, gli elettronici fanno sempre un gran lavoro e le nostre strategie sono tra le migliori; per strategie si intende, ad esempio, controllo di trazione e freno motore. Riusciamo sempre ad adattarci ai cambi di regolamento e a sopperire ai problemi che queste variazioni ci impongono. Semplicemente, nel 2019 gli altri hanno lavorato e può darsi si siano un po’ avvicinati, ma la nostra elettronica è sempre un punto di riferimento”.
Tornando al Dovi, puoi parlarci del suo rapporto con i compagni di squadra con cui l’hai visto correre?
“Sicuramente, dal punto di vista umano, Petrucci quest’anno è stato il miglior compagno di squadra, perché si conoscevano ed erano amici già prima; Danilo è una persona molto rilassata, tranquilla, amichevole e come Andrea ha i piedi per terra. Hanno creato il miglior rapporto umano degli ultimi anni all’interno del box. Il compagno che sicuramente lo ha stimolato di più è stato Jorge, perché comunque ha uno stile di guida molto diverso da quello di Andrea: vedi un pilota fare cose decisamente diverse, ma allo stesso tempo essere veloce, a volte anche più di te, quindi cerchi di prendere spunti positivi per migliorarti. Invece quando c’era Iannone per Andrea è stato un po’ più difficile avere un rapporto con lui; ovviamente anche con lui guardavamo come riuscisse a fare determinate cose, ma come compagni identificherei Jorge a livello di stimolo e Danilo a livello umano”.
Cosa significa lavorare per Ducati a questi livelli?
“Mi ricordo perfettamente quando, nel 2008, sono andato a fare il colloquio. Le moto e le corse sono sempre state la mia passione, ma mi sembravano inarrivabili; studiavo, ne parlavo anche con i miei genitori e ci pareva qualcosa di troppo distante, non avevo contatti e non la valutavo una cosa possibile. Poi è accaduto tutto molto velocemente, le prime volte nel paddock ogni cosa era incredibile; sì, dopo ci fai l’abitudine e smetti di pensarci ogni istante, ma quando ti fermi un attimo realizzi: sei nel team ufficiale con un pilota che comunque negli ultimi tre anni ha fatto sempre secondo nel mondiale, poi sei con Ducati, rappresenti l’Italia e questa cosa ti crea sempre un grande orgoglio. E’ emozionante”.
C’è anche il tuo soprannome…
“Si può dire, si può dire, come no, ‘Pigiamino’. Andrea mi chiama ‘Pigia’, quindi anche per lui sono ‘Pigiamino’”.
Ci racconti come nasce?
“Quando sono entrato in Ducati avevo 25 anni, ma ne dimostravo anche meno; al tempo c’era Casey Stoner e una sera, uno dei meccanici del suo team, a cena per scherzo disse: ‘Vabbè, stasera ti mettiamo il pigiamino e a nanna presto’. Poi iniziò a chiedere a tutti: ‘Ma se ti dico Pigiamino tu a chi pensi?’, e gli altri: ‘Ah sì, a lui’. Insomma tutti hanno iniziato a chiamarmi così. Ci sono persone che mi conoscono solo come ‘Pigiamino’ e non sanno il mio vero nome, ma è simpatico, avere un soprannome vuol dire essere accettato dal gruppo, è bello”.
La vita e la carriera
“Originario di Collegno, in provincia di Torino, ho vissuto lì fino a 25 anni perché ho studiato al Politecnico di Torino Ingegneria elettronica i primi tre anni, con indirizzo Meccatronica per gli ultimi due anni di specialistica. Poi mi sono trasferito a Bologna perché ho iniziato a lavorare per Ducati, prima come elettronico al team Pramac, nelle stagioni 2009 con Niccolò Canepa, 2010 con Aleix Espargarò, 2011 con Randy De Puniet. Poi sono cambiate un po’ di cose, Ducati ha creduto in me e nel 2012 diventai il caposquadra in Superbike con il team Effenbert: quell’anno andò bene perché il pilota, Jakub Smrz, fu abbastanza veloce. Nel 2013 si è dovuto creare un team per Dovizioso in MotoGp, serviva una persona che facesse analisi dati e mostrasse ad Andrea le comparative con gli altri piloti per vedere dove guadagnava e dove perdeva; per due anni ho fatto questo tipo di lavoro, poi con l’arrivo di Gigi Dall’Igna sono stato spostato nuovamente in Pramac come responsabile tecnico, quindi ero il riferimento Ducati nel team: consigliavo i capotecnici su eventuali mosse di set up, controllavo anche il montaggio dei vari pezzi, indicavo le procedure di montaggio ai meccanici e così via. Dopo quell’anno, era il 2015, Andrea ha chiesto a Ducati se io potevo diventare il suo caposquadra, cosa che mi ha reso molto contento. Da allora lavoro per lui”.
Foto Ducati Corsede
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