Il cavallino rampante su Ferrari e Ducati

Il cavallino rampante su Ferrari e Ducati

Il cavallino rampante: l’intreccio di storie e aneddoti riguardanti il grande aviatore Francesco Baracca, Enzo Ferrari e la Ducati.

É passato da poco il centesimo anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale. Una ricorrenza che non ha certo legami diretti con la storia della Casa bolognese, ma che in un certo senso ci fornisce lo spunto per parlare di una questione alla quale si è fatto magari cenno in circostanze occasionali, ma che non è mai stato approfondito del tutto.

Stiamo parlando di Francesco Baracca, colui al quale si deve il cavallino rampante che tuttora contraddistingue le Ferrari di Maranello e che, come alcuni forse sapranno, per un certo periodo è comparso anche sulle moto di Borgo Panigale.

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A sx: Francesco Baracca con il suo cavallino rampante. A dx: un’immagine d’epoca della 125 Desmo con i due cavallini.

Prima di analizzare i come e i perché di questa vicenda storica, è necessario capire meglio chi fosse il personaggio in questione.

Per farlo, abbiamo chiesto ancora una volta aiuto a Livio Lodi, curatore del Museo Ducati, il quale ha addirittura condotto delle ricerche personali sulla figura di Baracca.

Francesco Baracca è un famoso eroe della Prima Guerra Mondiale. – spiega Lodi – Dico famoso, anche se in realtà lo è soltanto per chi conosce la storia del nostro Paese, mentre mi rendo conto che le nuove generazioni non sanno effettivamente chi sia.

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Iniziamo, dunque, a capire meglio qual è il filo che collega questo personaggio, il celebre cavallino rampante, la Ferrari e, appunto, la Ducati. “E’ abbastanza curioso, secondo me, vedere come certi fatti vengono poi assimilati dalla gente. – prosegue Livio – Da un certo punto di vista, quindi, è un peccato che ormai quasi tutti associno il cavallino solo all’immagine Ferrari, immagine peraltro famosa in tutto il mondo, tanto da rappresentare il secondo brand più popolare dopo quello della Coca-Cola, senza sapere quali siano realmente le origini di questo simbolo. La prova di ciò si ha quando i visitatori del nostro Museo, indifferentemente dall’età, ci domandano come mai su alcune nostre moto vi sia lo stesso stemma.

E’ giusto, a questo punto, fare una divagazione storica per svelare l’involontario “trait d’union” che ha legato Ducati ai “cugini” di Maranello, nonostante le due tipologie di prodotto siano fondamentalmente diverse.

Tornando a Baracca, quest’ultimo era un brillante ufficiale di cavalleria, nato a Lugo di Romagna, che rimase letteralmente folgorato dal volo dei primi aerei. L’occasione fu a Roma, al termine di una gara di equitazione.

Bisogna immaginarsi che, all’epoca, questi velivoli erano considerati quasi miracolosi per la loro capacità di librarsi in aria, vista anche la loro tecnologia piuttosto rudimentale.

Erano insomma delle macchine volanti, frutto di intuizioni fortunate piuttosto che di veri e propri studi ingegneristici, che solo pochi coraggiosi sapevano domare nei cieli.

Già la prima trasvolata della Manica, all’inizio del Novecento, rappresentò un evento storico – spiega Lodi – e questo dà subito l’idea di quanto precario e difficile fosse il volo a quei tempi. Per Baracca, abituato a cavalcare con maestria il suo fedele destriero, il sogno di poter guidare quei prodigi della tecnica fu immediato. Ad ogni modo, come sappiamo, la Prima Guerra Mondiale scoppia nell’agosto del 1914, mentre l’Italia entra nel conflitto solo il 24 maggio del 1915, quasi un anno dopo dunque. All’epoca, Baracca aveva già preso il brevetto di pilota e viene quindi impiegato nei combattimenti aerei. La grande novità della Grande Guerra, infatti, è proprio relativa a questo nuovo strumento bellico, anche se in un primo momento, questi duelli vengono concepiti quasi con uno spirito cavalleresco, nel senso che era considerata una sorta di gara in cui il più bravo aveva la meglio e, viceversa, chi perdeva, ahimé, spesso non lo raccontava. Da questo contesto, quindi, venne fuori tutta una serie di eroi, come Manfred von Richthofen, meglio conosciuto con il soprannome di Barone Rosso, e anche l’Italia ebbe il suo, che altri non era che, appunto, il Maggior Francesco Baracca.

Baracca conseguì ben trentaquattro vittorie tra il 1915 e il 1918, anno in cui, tuttavia, fu abbattuto durante un conflitto aereo e morì.

A tal proposito è utile ricordare che, durante la Prima Guerra Mondiale, la vita media di un pilota era di appena due settimane!

Ad ogni modo, lo scoramento per la perdita di questo eroe fu grande, tanto che l’immagine che Baracca aveva dipinto sulla fusoliera del suo aereo come segno di riconoscimento, il famoso cavallino rampante (tuttora visibile all’interno del Museo Baracca a Lugo di Romagna), rimase a lungo impresso nella mente delle persone.

A guerra finita, ci furono quindi un bel po’ di celebrazioni in memoria del pilota scomparso. Furono eretti monumenti e intitolate manifestazioni, come quella durante la quale la madre di Baracca, la contessa Paolina Biancoli, donò a Enzo Ferrari il simbolo del figlio, dicendogli che gli avrebbe portato fortuna.

Era il 1923.

Ferrari prese, dunque, il cavallo rampante e lo inserì in uno scudo giallo, che poi è il colore della città di Modena, affiancandolo con le lettere S e F, vale a dire Scuderia Ferrari, e aggiungendo un tricolore nella parte alta. Ecco come nasce il marchio delle automobili italiane più famose del mondo, che compariva già sulle Alfa Romeo della Scuderia Ferrari con cui correva il grandissimo Tazio Nuvolari.

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Tra l’altro, c’è un aneddoto curioso che Lodi ha raccolto nel corso delle sue ricerche e che vale la pena di essere raccontato: “Pare che il cavallino riprodotto da Baracca sul suo aeroplano avesse la coda rivolta verso il basso, mentre quello della Ferrari la ha rivolta verso l’alto. Il motivo, anche se la mia è solo una supposizione, consiste nell’impossibilità di piazzare all’interno di uno scudetto l’immagine originale, che è stata pertanto modificata.

Detto questo, non resta che svelare l’ultimo tassello, ovvero il perché lo stesso simbolo sia andato a finire anche sulle moto da corsa della Casa di Borgo Panigale tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, dunque un bel po’ di tempo dopo gli eventi di cui abbiamo parlato fino a ora.

La persona che ha fatto da anello di congiunzione tra i due mondi, – è ancora Lodi a parlare – quello automobilistico e quello motociclistico, risponde al nome di Fabio Taglioni. Questo personaggio geniale non si fermava alla progettazione dei motori, ma aveva molto estro in tanti altri campi, dalla pittura alle piante e via dicendo. Nato anch’egli a Lugo di Romagna, Taglioni volle in pratica porre una sorta di firma autografa sulle moto che realizzava per Ducati. Fu così, dunque, che a partire dal 1956, anno in cui vennero realizzati i primi prototipi della 125 Desmo (tra cui il cosiddetto Barcone, ndr), sulle moto del reparto corse iniziò ad apparire regolarmente, sul serbatoio o sulla carenatura, l’effige di un cavallino rampante.

In questo modo, dunque, Taglioni volle rendere omaggio al suo celebre concittadino, oltre a porre un simbolo di grande spessore storico sui mezzi che poi andavano a correre in giro per l’Italia e fuori. Probabilmente, se l’Ingegnere padre del sistema desmodromico applicato in ambito motociclistico fosse nato a Bologna, sulle Ducati di quegli anni ci sarebbero state le torri del capoluogo emiliano.

Tra l’altro, Lodi ci svela anche alcuni retroscena estremamente interessanti che, pur non essendo avvalorati da una documentazione precisa, riguardano un rapporto di amicizia tra Taglioni e lo stesso Enzo Ferrari.

Di sicuro si conoscevano, – spiega Lodi – tanto che abbiamo nei nostri archivi un telegramma di congratulazioni inviato dal Drake in occasione della vittoria di Smart alla 200 Miglia di Imola del 1972. Norina Taglioni, moglie di Fabio, mi ha addirittura confermato che a volte Ferrari si recava a casa sua nel pieno della notte per parlare di tecnica con suo marito. L’incontro tra Ferrari e Taglioni è probabilmente avvenuto sul circuito di Modena, dove venivano collaudate sia le automobili di Maranello che le motociclette di Borgo Panigale. Inoltre, non è detto che dai loro scambi di vedute non siano nate intuizioni importanti, come l’applicazione del sistema desmodromico, che deriva appunto dalla Formula 1 a opera della Mercedes, o l’impiego del telaio a traliccio, sulla falsa riga delle scocche delle prime monoposto. Si tratta, è bene sottolinearlo, di semplici supposizioni, ma è bello e lecito pensare che ci sia stato un rapporto che andava oltre la semplice conoscenza.

Il cavallino rampante rimase sulle moto bolognesi fino ai primi anni Sessanta e l’esemplare più famoso in tal senso è senza dubbio il bicilindrico parallelo di 250 cc che fu realizzato appositamente per l’allora giovane Mike Hailwood dietro lauta “sponsorizzazione” da parte del padre Stan.

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Sopra: la 250 con bicilindrico parallelo di Mike Hailwood.

Ci sono, comunque, altri due modelli di produzione, sostanzialmente uguali, e sono il Bronco, destinato al mercato statunitense, e il Cavallino per l’appunto, venduto invece in Italia, che riportano ancora una volta la famosa sagoma, posta sul vano portaoggetti laterale, per volontà dello stesso Taglioni. E’ difficile stabilire se questo simbolo abbia portato fortuna alla Ducati così come alla Ferrari.

Di sicuro, le moto che lo portano impresso appartengono a un periodo fulgido della storia dell’azienda bolognese che, seppur per un periodo limitato, ha dunque condiviso la stessa immagine apparsa, manco a farlo apposta, in un ordine che sembra premeditato: prima su un aereo, poi su una macchina e, infine, su una moto.

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