Il Diavel nasce con il preciso obiettivo di esagerare, sia in senso estetico che dal punto di vista prestazionale, senza la paura di risultare “eccessivo”.
I suoi 162 Cv di potenza massima e la sua gomma posteriore da 240/45 montata su canale da 8″ parlano chiaro: più ce n’è e meglio è!
Eppure, osservando attentamente la moto di serie, non si può certo dire di essere al cospetto di una moto “tamarra”, anzi. “E’ una sorta di sportiva in guanti bianchi!“, ebbe a commentare Claudio Domenicali, Amministratore Delegato della Casa di Borgo Panigale, in occasione della sua presentazione ufficiale.
Ecco, se ci passate il paragone, l’esemplare allestito dalla bolognese Ducabike ha in pratica tolto l’abito da maggiordomo per indossare il giubbotto di pelle!
E’ chiaro che a prima vista si capisce subito di quale modello si tratta, ma il dinamismo che trasmette rispetto alla configurazione originale è tutta un’altra cosa.
Responsabile di questo risultato è in primo luogo la colorazione, che ha abbandonato la livrea monocromatica per sfoggiare una grafica decisamente più elaborata, con la bandiera a scacchi quale tema principale.
Se il modello di serie è una sportiva in guanti bianchi, questo è un dragster pronto a scattare al semaforo!
“E’ stata realizzata dalla Artemoto di Bologna su nostre specifiche. – spiega Claudio Gandolfi, titolare della Ducabike – Si tratta di una realtà piuttosto conosciuta nel settore, visto che ha collaborato con diverse aziende importanti. L’input iniziale è stato quello di proporre i nostri colori sociali, vale a dire il bianco, il nero e il rosso, con quest’ultimo che, già in accordo con la colorazione del telaio, doveva necessariamente caratterizzare anche i cerchi, in modo da mettere maggiormente in risalto la larghezza della ruota posteriore a sbalzo. Da lì è venuta anche l’idea della bandiera a scacchi, che in qualche modo richiama i concetti della gara e della velocità, andando a trasformare questo Diavel in una specie di dragster pronto a scattare davanti al semaforo.“
La scacchiera, riprodotta sia sul serbatoio che sul codone e sul copriradiatore, ha la particolarità di essere glitterata, oltre che sfumata, nell’intento di creare un effetto che in foto forse non rende al 100%, ma che dal vivo valorizza ancora di più il lavoro effettuato in carrozzeria.
L’altra cosa che balza subito agli occhi è la frizione, ben diversa dall’unità presente nella dotazione di serie, come racconta lo stesso Gandolfi: “Ci abbiamo lavorato veramente tanto. Tutto nasce dal fatto che molti ducatisti sono rimasti affezionati al concetto della frizione a secco, ormai scomparsa dall’intera gamma. Così, abbiamo pensato di realizzare un kit che, pur mantenendo la configurazione in bagno d’olio, proponesse un impatto estetico simile al vecchio sistema e devo dire che siamo molto soddisfatti del risultato ottenuto.“
In pratica, in Ducabike hanno riprogettato l’intero semicarter, che adesso è in alluminio ricavato dal pieno e integra un bellissimo e scenografico oblò attraverso il quale è possibile vedere gli organi in movimento al suo interno: il kit (che stando alle prime anticipazioni verrà proposto a un prezzo molto interessante) è stato sviluppato sulla falsa riga di quanto fatto sulla Panigale, solo che nel caso del Diavel le cose si sono rivelate ben più difficili: “La 1199 è stata progetta in modo che la frizione, seppur in bagno d’olio, sia già dotata di un coperchio, – prosegue Gandolfi – mentre in questo caso si trattava di un pezzo unico, che viene ricavato a partire da un blocco di alluminio grande come tre risme di fogli A4! Grazie a questa modifica, però, è possibile sostituire i dischi senza dover smontare tutto il carter.“
Qualcuno si starà domandando se tutta questa fatica possa essere vanificata dal fatto che, una volta acceso il motore, l’olio vada a imbrattare la “finestra” di policarbonato, rendendo inutile la sua funzione estetica, impreziosita peraltro dalla presenza di uno spingimolle dedicato, ma in Ducabike hanno studiato bene anche questo aspetto: “E’ una cosa che ci chiedono quasi tutti! – ironizza divertito Claudio – In realtà, durante il funzionamento si forma un semplice velo di lubrificante che, grazie alla sua uniformità, non crea problemi di visibilità. Sarebbe stato davvero il colmo se dopo tre mesi di lavoro ci fossimo accorti che l’olio oscurava l’oblò!“
Per rassicurare gli eventuali clienti su questo particolare aspetto, Gandolfi ha addirittura pubblicato dei video su Youtube che evidenziano quanto appena spiegato, a dimostrazione di come i ducatisti siano morbosamente attaccati all’immagine della loro moto!
Del resto, è proprio grazie all’attenzione per i particolari che aziende come la Ducabike hanno riscosso l’apprezzamento da parte degli appassionati: particolari come i tappi del telaio, quelli per il serbatoio dei freni e della frizione, le leve al manubrio (regolabili e snodate), il coperchio di ispezione della fase, la protezione per la pompa dell’impianto di raffreddamento, il pomello per la regolazione del precarico molla della sospensione posteriore, il fondello del silenziatore di scarico sdoppiato e il tappo di carico dell’olio (che va bene sia per il kit frizione che per il carter originale) sono tutti frutto di lavorazioni con macchine a controllo numerico, oltre che di una progettazione condotta con un occhio di riguardo al design: “Una volta, i pezzi in ergal venivano adottati soprattutto per il risparmio che garantivano in termini di peso. – ammette Gandolfi – Su una moto come il Diavel, però, questo non avrebbe molto senso, pertanto abbiamo puntato soprattutto sull’esclusività estetica, oltre che sulla resistenza dal punto di vista strutturale.“
Una filosofia che ritroviamo anche sulle pedane arretrate, regolabili su tre posizioni, in modo da garantire la necessaria luce a terra agli smanettoni, e caratterizzate da una dentatura di tipo enduristico che assicura una presa più aggressiva rispetto a quelle rivestite in gomma previste dall’allestimento di serie, anche se all’occorrenza è possibile scegliere tra altri due tipi di poggiapiedi: uno a sezione circolare godronato, di derivazione racing, e uno a mezza luna un po’ più turistico.
“Su una moto così imponente, – è sempre Claudio a parlare – c’era il rischio che delle pedane da pista risultassero troppo piccole, così ci siamo orientati sul mondo del fuoristrada.“
Sarà un caso (o forse no), ma sembra che a Borgo Panigale siano diventati maestri nel proporre dettagli che poi verranno inevitabilmente sostituiti dai legittimi proprietari.
Del resto, il Monster ha fatto scuola.
Foto Enrico Schiavi
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