L’assenza di Marquez e le incertezze derivanti da una gomma posteriore dal comportamento a volte imprevedibile e da un calendario anomalo a causa del COVID19 hanno indotto molti a ritenere quello di Mir un titolo di scarso valore o quantomeno fortunoso dovuto più ad una serie di concause che non a dei reali meriti del giovane pilota spagnolo.
A mente fredda allora cerchiamo di esaminare il mondiale di Mir per “pesarne” il valore rispetto ai precedenti 71 titoli (1949/2019) della classe regina.
Conquistando il titolo 2020 della MotoGP il 23enne Joan Mir è entrato nella storia diventando il settimo pilota più giovane Campione del Mondo della top class dopo Marc Márquez, Freddie Spencer, Casey Stoner, Mike Hailwood, John Surtees e Valentino Rossi, una bella compagnia, e contemporaneamente ha portato alla Suzuki il primo titolo della MotoGP dopo 16 anni di partecipazione della casa di Hamamatsu al mondiale nell’era 4 tempi (dal 2002 al 2011 con la GSV-R motore a V e dal 2015 al 2020 con la GSX-R motore in linea).
Mir ha stabilito anche un primato non proprio esaltante essendo il primo pilota della storia del Motomondiale laureatosi Campione del Mondo della classe regina con una sola vittoria, rischiando per poco di diventare il primo pilota a conquistare il titolo della top class senza vincere una sola gara.
Ricordiamo che nel Campionato 2020 altri piloti hanno vinto più di lui: Morbidelli e Quartaro 3 vittorie, Oliveira 2, ma è anche vero che, come lui, hanno vinto un solo Gran Premio anche Binder, Dovizioso, Petrucci, Rins e Vinales; ma lui ha fatto la differenza, in pratica, come è noto, ha vinto per la sua regolarità e costanza di risultati.
E’ probabilmente questo il motivo per cui la sua media di punteggio finale è la seconda più bassa in 72 anni di gran premi della classe regina. Nelle 14 gare disputate il 23enne spagnolo ha segnato 171 punti su un totale disponibile di 350, meno della metà per una percentuale di appena il 48,85%.
Solo un altro campione della classe regina ha conquistato il titolo segnando meno della metà dei punti disponibili, Umberto Masetti che nel 1952 con la Gilera 500/4 si laureò campione iridato con appena il 43,75% dei punti massimi.
Possiamo affermare che ci siano analogie tra il campionato del 1952 conquistato da Masetti e quello del 2020 di Mir?
No, riteniamo che sia impossibile perché in 70 anni lo scenario del Motomondiale è totalmente cambiato da tutti i punti di vista: affidabilità dei mezzi meccanici, numero di Gran Premi a calendario, layout e sicurezza delle piste, evoluzione del mezzo meccanico, numero di contendenti (piloti e costruttori).
A favore di Masetti dobbiamo dire che all’epoca le rotture del mezzo meccanico non erano un evento raro, la sicurezza era un concetto molto relativo per cui le conseguenze delle cadute spesso erano letali se non addirittura mortali, il ridotto numero di Gran Premi (otto, nel 1952) che non agevolava un recupero in caso di assenza in uno o due GP, circostanza che probabilmente giustificava l’adozione della regola degli scarti (ma è anche vero che il maggiore intervallo tra un GP ed il successivo consentiva una maggiore possibilità di recupero fisico).
Sulla sicurezza basti ricordare che mentre nella MotoGP non si è verificato un evento fatale da nove anni, quando perdemmo Simoncelli, nel solo 1952 morirono tre piloti della 500: Dave Bennett al GP di Svizzera (Bremgarten), Frank Fry al TT e Norman Stewart al GP dell’Ulster (Clady).
Al vertice di questa classifica troviamo solo due piloti che sono diventati Campioni vincendo tutte le gare in agenda conquistando di conseguenza il 100% dei punti disponibili: Surtees e Agostini.
Surtees fu il primo quando nel 1959 con la MV Agusta vinse tutti e sette i Gran Premi in agenda, un risultato impressionante anche se oggettivamente favorito dal fatto di avere come compagno di squadra Remo Venturi, certamente meno talentuoso del “figlio del vento” e come avversari piloti che cavalcavano le meno performanti Norton e Matchless monocilindriche.
L’impresa fu ripetuta nel 1968 Giacomo Agostini, anche lui alla guida di una MV Agusta, che vinse tutti e dieci i Gran Premi non avendo neanche un compagno di squadra con cui confrontarsi.
Ma, a prescindere dal valore della concorrenza, entrambe le prestazioni furono straordinarie perché a quel tempo le moto da Gran Premio erano alquanto inaffidabili, quindi stava alla sensibilità del pilota portarle integre al traguardo (erano i tempi in cui Enzo Ferrari affermava: “La macchina da corsa perfetta è quella che si rompe un attimo dopo il traguardo”).
Vero anche che entrambi avevano una dovizia di mezzi che metteva a loro disposizione il conte Agusta; basti pensare che il direttore tecnico, il grande ed indimenticato Arturo Magni, quando non c’era tempo tra una gara e l’altra per tornare in sede, poteva utilizzare l’aereo privato del conte Domenico per riportare i motori in officina, rigenerarli e poi volare verso la sede del successivo Gran Premio.
Nessun altro pilota ha ripetuto l’impresa; il solo Doohan ci si è avvicinato realizzando un 90,57% nel 1994 ed un 90,67% nel 1997.
In questa speciale classifica seguono due grandi dei nostri tempi: Valentino Rossi che, salendo sul podio in tutte le 16 gare del 2003, realizzò un ottimo 89,25% e Marc Marquez che ha ottenuto l’88,42% nel 2019, un dato “sporcato” dal solo ritiro ad Austin, quando era in testa alla gara, peraltro dovuto a cause tecniche .
Nell’ordine dell’80%, una performance comunque eccezionale, non a caso troviamo nomi prestigiosi come quelli di Mike Hailwood, Freddie Spencer, Wayne Rainey, Eddie Lawson, Casey Stoner, Jorge Lorenzo.
In fondo alla scala dei valori con circa il 50% troviamo Nicky Hayden, Franco Uncini, Les Graham e Barry Sheene (1976). Una buona compagnia per Mir che ha realizzato, come abbiamo visto, una percentuale prossima al 50%.
Abbiamo voluto ricordare in particolare l’annata di Sheene (andò meglio nel 1977) perché questa scarsa performance è giustificata dal fatto che non partecipò al TT ritenuto eccessivamente pericoloso e neanche alle ultime tre gare perché si era già assicurato il titolo (all’epoca era “consentito”). Di Hayden invece possiamo ricordare che è stato uno dei pochissimi piloti a conquistare il titolo con solo due vittorie.
Mir, in definitiva, a prescindere dai numeri ha dimostrato maturità, intelligenza, capacità di valutazione dei mezzi a sua disposizione, capacità di gestire l’usura delle gomme, efficacia nei sorpassi (limitando così l’handicap di qualifiche quasi mai brillanti).
E’ dunque un titolo immeritato o quantomeno fortunoso?
La risposta va forse trovata nell’assioma per il quale “un titolo mondiale non arriva mai per caso”.
E se comunque qualcuno volesse attribuire il merito di questo titolo più alla fortuna del pilota che non ai suoi meriti, voglio ancora una volta citare Enzo Ferrari quando con uno dei suoi famosi paradossi affermava “Meglio un pilota fortunato che uno bravo…”.
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