Ci sono tanti tipi di viaggiatori in moto: quelli supertecnologici, iperconnessi, maniaci di Facebook, di navigatori satellitari e incapaci di mettersi in viaggio per il mondo senza un’adeguata assistenza tecnica; poi, ci sono quelli un po’ più romantici, che preferiscono un approccio meno tecnologico, lasciandosi coinvolgere dalle emozioni che solo un viaggio meno organizzato, più avventuroso, può regalare.
Infine, c’è Paolo Pirozzi, che sfugge da qualsiasi tipologia di viaggiatore, costituendo di fatto una categoria a sé: non sapremmo infatti come catalogarlo, anche per quella sua mania di guidare solo e unicamente Ducati.
Il suo punto di riferimento, quindi, è quello di un motociclismo eroico, quando si partiva con poche certezze, ma molto spirito di avventura e forza di volontà, dove era l’uomo, molto più del mezzo meccanico, a stabilire se l’obiettivo potesse essere portato a termine.
In questa ottica, Pirozzi si è imbarcato recentemente in una nuova avventura, con l’obiettivo di realizzare il giro del mondo in moto più veloce di sempre, battendo quindi il record attuale.
Per farlo, questa volta si è affidato a Sofia, ovvero a una Ducati dotata del bicilindrico due valvole e preparata in stile Cafe Racer: in estrema sintesi, la moto meno adatta che ci sia per raggiungere la meta che si era prefissata!
Non ne siete convinti? Provate voi allora a fare 1800 Km al giorno di media su una moto dotata di semimanubri e di una bella sella costituita da un sottile strato di neoprene!
La prima cosa che abbiamo chiesto a Paolo, ovviamente, era come gli fosse venuta l’ispirazione di affrontare una simile avventura: “L’idea è nata perché sono molto nazionalista: avevo sentito dire che questo record era stato fatto una volta da una coppia di australiani e poi da un inglese. Allora mi sono detto: proviamo a mettere una nostra bandierina su questo record! Poi, ho voluto rendere la cosa ancora più difficile, usando una Cafe Racer, caratterizzata da un design che ricorda un po’ la Mike Hailwood Replica. Questo perché ci tengo molto a rappresentare il motociclismo di una volta: tutto il viaggio è stato fatto senza navigatore satellitare, senza dormire in albergo, con una moto che appunto richiama la storia di Ducati. Mi è piaciuto farlo come si faceva una volta, quando si puzzava di olio e benzina!”.
In realtà, una piccola concessione alla modernità, Pirozzi ha dovuto farla: aveva infatti sul braccio un piccolo apparecchio che inviava un segnale al satellite ogni due minuti e mezzo: così, chiunque ha potuto seguirlo in tempo reale, durante il viaggio.
Globetrotter
L’evento Ducati Globetrotter si è concluso il 15 dicembre scorso, lì dove era partito, a Borgo Panigale, dopo 30.000 chilometri intorno al mondo. Timo Schäfer è stato l’ultimo dei sette motociclisti che, dallo scorso 4 luglio, si sono avvicendati alla guida della Multistrada 1200 Enduro.
Nei cinque mesi di questo speciale viaggio dedicato ai 90 anni della Ducati, i protagonisti sono stati l’indiano Vir Nakai e poi il francese Laurent Cochet, la belga Jessica Leyne, il brasiliano Eduardo Generali, l’australiano Steve Fraser e l’inglese Hugo Wilson.
Timo Schäfer è partito lo scorso 2 dicembre dall’Isola di Man, in Inghilterra, per fare poi tappa a Maidstone, dove ha incontrato il pilota Paul Smart. Attraversata la Francia, il Belgio e buona parte della Germania, sempre con temperatura sotto i zero gradi, Schäfer ha poi raggiunto Ingolstadt, in Baviera, sede dell’Audi Museum Mobil, che, fino al 30 aprile 2017, ospita la mostra “More Than Red – Passione Ducati” dedicata ai 90 anni della Casa motociclistica bolognese.
A seguire, ha attraversato il valico delle Alpi per tornare in Italia e arrivare al Circuito di Monza: qui, nel 1958, la Ducati Siluro 100 cc stabilì in una sola giornata ben 44 record mondiali di velocità.
Uno degli eroi di quell’impresa fu Santo Ciceri e il globetrotter Timo Schäfer ha vissuto l’indescrivibile emozione di incontrarlo proprio su quella stessa pista, come testimonia la foto qui sopra (Ciceri è al centro dell’immagine).
Del resto, quando ci si avventura in un qualcosa che appare assurdo, com’è appunto nel suo caso il fare 1800 Km al giorno, diventa fondamentale farlo alla luce del sole: in questo modo, i suoi spostamenti sono stati sempre visibili e controllabili da chiunque.
Bastava andare su un apposito sito internet e vedere il suo puntino che si spostava sulla mappa, aggiornato appunto ogni pochi minuti, seguendolo così nel suo tragitto, ma anche nelle soste, nei problemi doganali, in qualsiasi aspetto del viaggio. Zoomando con Google Maps si poteva addirittura vedere anche dove si fermava a dormire, fra le montagne o in un’area di servizio.
Tutto ciò ovviamente serve anche ai giudici che certificano il record per controllare ogni fase del viaggio.
Un’altra domanda sorge spontanea: come si organizza un viaggio del genere? “Vi dico la verità: ho preso e sono partito! In realtà, la preparazione è molto burocratica: ci sono i visti, il carnet per la moto, mentre è inutile prenotare i trasferimenti aerei, perché non sai mai come va a finire con la burocrazia doganale. In più, una volta arrivato a Vladivostok, ho dovuto comprare la legna, chiodi e martello e farmi da solo il box per la spedizione aerea fino a Seattle! Là funziona così, perché nessuno si vuole assumere la men che minima responsabilità: bisogna avere molta lucidità, perché è facile perdere tantissimo tempo inutilmente. Ad esempio, la moto deve essere pulitissima, basta un solo moscerino sulle carene e negli Stati Uniti non ti fanno uscire dalla frontiera! In più, bisogna svuotare completamente la moto di tutti i liquidi, quindi quando arrivi dall’altra parte del mondo, ti ritrovi non solo a rimontare la moto, ma anche a cercare olio e benzina, liquidi non proprio facilmente rintracciabili in un aeroporto!”.
La cosa che stupisce di più noi motociclisti è che Paolo al giorno ha guidato una media di 21 ore no stop, in qualunque condizione atmosferica; sapete però cosa ha più sconvolto i visitatori della sua pagina Facebook? Il fatto che avesse fatto il viaggio senza utilizzare un navigatore GPS, questo per sottolineare come stiamo frequentando un mondo che ormai si è perso!
Ma piuttosto che occuparci di loro, lasciamo che sia Paolo a farci emozionare con il suo racconto: “La maggiore difficoltà che ho incontrato sono stati gli oltre 3000 Km della Siberia, dove scompare l’asfalto, che regalano sempre un bel po’ di emozioni e adrenalina: ci sono delle buche immense, manca la segnaletica, zero illuminazione e poi ci sono gli animali. Però è anche un luogo ricco di fascino, un’immensa foresta che regala albe e tramonti spettacolari”.
Bene, lo ammettiamo, siamo poco romantici, perché al seguito di questa risposta ci è venuto spontaneo chiedere come si finanzi e si sostenga un impegno del genere: “Per finanziare i miei viaggi ho creato un team che si chiama «Pirozzi 25», che si occupa proprio di trovare il sostegno economico per queste iniziative (tramite sponsor veri e propri, ma anche con corsi di guida o presenze a vari eventi motociclistici, come cene, inaugurazioni, ecc.), visto che io personalmente non ho le finanze sufficienti per sostenere questi viaggi”.
La nostra attenzione, però, non si deve distogliere dalla piccola Sofia, la Ducati che ha accompagnato Pirozzi nel suo tour de force: “La moto è andata benissimo, ma il segreto è nel suo motore, il 1000 due valvole, di cui sono stato sempre innamorato: è molto affidabile! L’unico problema meccanico serio che ho avuto è capitato negli Stati Uniti, a causa della loro benzina che contiene molto alcool: una caratteristica che ha il difetto di corrodere letteralmente il serbatoio di vetroresina, tanto che i pezzetti di questo materiale, piano piano, andavano ad accumularsi nella pompa della benzina, che perdeva così la sua efficienza. La soluzione, per fortuna, era abbastanza semplice, con la frequente sostituzione del filtro”.
Ha attirato la nostra attenzione la foto presente come copertina in questa pagina, in quanto, a parte un piccolo zaino, non vediamo altre borse o valigie sulla moto: “Il mio unico bagaglio è quello zaino, che porto con me in tutti i viaggi, perché è molto comodo. Dietro non avevo neanche la tenda, perché dormendo così poco non volevo perdere tempo: così mi sdraiavo accanto alla moto, con lo zaino sotto la testa: qualche volta ho dormito anche con il casco perché faceva freddo!”.
Va bene Paolo, abbiamo capito: siamo certi che Giorgio Monetti, dopo aver letto questo articolo e la tua testimonianza, avrà senza dubbio la voglia e il piacere di stringerti la mano ancora un’altra volta; e non solo lui.
Come si suol dire, rimaniamo in attesa di scoprire quale sarà la prossima avventura, sicuri che anche questa si svolgerà, qualunque sia il suo tema e obiettivo, sulla falsariga del modo di vivere il motociclismo che contraddistingue Paolo Pirozzi e i suoi viaggi.
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