Se gli andate a chiedere quanti anni ha, Giuliano Maoggi, vi risponderà diciotto, divertendosi a scambiare le cifre.
Un bel carattere, da toscanaccio verace, pronto alla battuta come alle lacrime agli occhi quando ti racconta di sé, con il coraggio di chi non nasconde le proprie emozioni. Parlare con lui e con la moglie Anna è stato un piacere, divagando anche fuori tema.
Classe 1926, ottantuno anni compiuti, con un fisico ancora imponente, Maoggi non esita a partecipare con la sua Ducati 175 alle rievocazioni del Giro Motociclistico d’Italia.
Sempre festeggiato alle rievocazioni, sfoggia con orgoglio la maglietta che un club di appassionati canadesi ha creato con la sua immagine più famosa: quella con la sigaretta in bocca.
Giuliano Maoggi è stato uno dei migliori interpreti delle corse di gran fondo in voga negli anni Cinquanta e uno dei migliori piloti in sella alla celeberrima Ducati Marianna.
La sua carriera ha avuto inizio nel 1946, vincendo alla prima gara, la Vecchia Fiesole, in sella a una Matchless 350, residuato bellico, comprata a pezzi e rimessa in sesto con l’aiuto del fratello Alvaro.
I fratelli Maoggi lavoravano sulle moto già da prima della guerra e correvano entrambi, prima che un’ideale lancio della monetina ponesse fine alla carriera di Alvaro per far proseguire quella di Giuliano.
Vennero dapprima i circuiti cittadini, dove spesso era impegnato in due classi e altrettanto spesso vinceva in entrambe, alternandosi sulla Gilera 500 Saturno, quella con la forcella a parallelogramma, e sulla MV 125.
Le grandi corse che contraddistinsero il panorama agonistico degli anni Cinquanta, rappresentando la massima vetrina per le Case impegnate, furono un richiamo irresistibile per un pilota veloce e resistente quale era Maoggi.
La Milano-Taranto e il Motogiro furono il suo principale terreno di caccia. La Milano-Taranto era la corsa più massacrante: circa 1300 chilometri da bersi tutti in un fiato; il Motogiro, invece, era strutturato a tappe.
E’ con orgoglio che adesso ci racconta che ha partecipato a tutte e cinque le edizioni del Motogiro, vincendo quella del 1956 in sella alla Ducati 125 Gran Sport, dopo aver corso la prima edizione del 1953 con il Neptune 160.
Nel 1954, invece, arrivò secondo di categoria con la Laverda, Casa per la quale, in quel periodo, ricopriva il ruolo di collaudatore.
Fu ancora secondo con la Ducati 100 Gran Sport nel 1955 e, in sella alla Mondial 175, nell’ultima edizione del 1957, dietro alla MV di Remo Venturi. Il Bottone d’Oro: di questo si poteva fregiare chi partecipò a tutte le edizioni.
Le vittorie di Giuliano Maoggi alla Milano-Taranto furono tre, ottenute partecipando in tutte le edizioni del dopoguerra fino a che la corsa non fu bandita.
Nell’edizione del 1955 si impose con la Ducati 125 Gran Sport, detta Marianna. Della lunga striscia di successi ottenuti da questa moto, la vittoria di Maoggi al Motogiro del 1956 è l’unica ottenuta nella classifica assoluta.
Giuliano Maoggi e la sua sigaretta
E’ l’immagine più famosa di Giuliano Maoggi: gambe a spingere la moto alla partenza, mani che serrano il manubrio dando l’impressione di poterlo troncare, sigaretta in bocca e sguardo spiritato. “Eravamo alla partenza dell’ultima tappa del Motogiro del 1956, da Montecatini a Bologna. – racconta Giuliano – Ero passato dal parco chiuso un quarto d’ora prima ed era tutto a posto. Quando fu il mio turno di partire, trovai la gomma a terra! Avevo avuto dalla Ducati il via libera per fare la gara, dato che quello che mi precedeva in classifica fino a quel momento si era dovuto ritirare e, diventato primo per questo, avrei dovuto essere scortato da Paolo Maranghi fino a Bologna. Lui aveva avuto l’ordine dalla Ducati di procedere con un passo regolare per tagliare il traguardo assieme a me. Il sospetto è che un meccanico privato di Paolo mi abbia voluto sabotare.”
I solerti meccanici della Ducati cambiarono la ruota a tempo di record, ma Giuliano partì con un po’ di ritardo “Invece di aspettarmi, Maranghi era partito a spron battuto e io, per scaldare bene la moto, attraversai tutta Montecatini in terza marcia. Mi dissi: prima della Futa lo voglio aver ripreso! Lo raggiunsi sulle ultime due curve del passo della Futa. Rallentai, e gli dissi: ma non avresti dovuto aspettarmi? Mi rispose facendo il finto tonto, spiegandomi che non mi vedeva arrivare e quindi… e da lì arrivammo insieme a Bologna, dove io vinsi e dividemmo il premio a metà.” A quei tempi Giuliano fumava molto, tanto da dare consegna ai meccanici di fargli sempre trovare all’assistenza del caffè e una sigaretta già accesa: “Ero così teso per quell’inconveniente che se non fosse stata cattiva, quella sigaretta l’avrei mangiata!”
E’ nel 1955 che Giuliano venne contattato dalla Ducati, tramite il concessionario di Firenze. Fu l’ultimo chiamato tra quelli che sarebbero dovuti stare lì per rendere folta la classifica finale, quelli ai quali veniva dato l’imperativo di portare la moto al traguardo. Una volata a Borgo Panigale per mettersi d’accordo con il Direttore Sportivo e con l’Ingegner Taglioni e Giuliano si ritrovò a essere pilota Ducati a tutti gli effetti.
Nacque un rapporto di amicizia con l’Ingegnere, che spesso si intratteneva con lui nel suo ufficio e che trovava in lui un ottimo interlocutore per questioni anche tecniche. Fabio Taglioni aveva trovato in Giuliano Maoggi il pilota perfetto per le gare di gran fondo, mentre non volle mai impiegarlo in circuito per la sua irruenza, per paura che potesse cadere.
La fiducia, come abbiamo visto, fu ben riposta, ed ebbe il suo picco con la vittoria al Motogiro del 1956. In quell’occasione, vinse la coppa d’oro che veniva tributata al primo, e che, su pressione dei dirigenti di Borgo Panigale, fu invitato a regalare al Vescovo di Bologna dopo la messa in cattedrale per celebrare la vittoria.
“Sarai ricompensato“, gli dissero, e lui accettò di privarsi – un po’ a malincuore – della coppa, ricevendo in cambio la moto che lo aveva portato primo al traguardo. Maoggi ci fa vivere con i suoi ricordi l’atmosfera di quelle lunghe galoppate attraverso la Penisola.
Durante lo svolgimento di queste gare le strade erano chiuse, ma il pericolo maggiore era l’attraversamento delle strade di campagna, dove all’improvviso qualunque sprovveduto poteva attraversare la strada.
L’organizzazione messa su da Taglioni era impeccabile: su una tappa di 500 chilometri, tanto per dire, come minimo c’erano 50 meccanici, alcuni con una cassetta per le riparazioni leggere, altri avevano tutto quanto servisse per riparare una moto.
Le Gran Sport ebbero la giusta fama di moto affidabili, tanto è che Giuliano ci racconta di non aver mai avuto bisogno di niente. L’unico difetto, se così vogliamo chiamarlo, è che la moto andava scaldata bene, altrimenti non andava forte.
“Pensa, – dice Maoggi – che se trovavi il bagnato dovevi mettere un piccolo carter sotto il motore per non farlo raffreddare! Questo piccolo espediente, già predisposto, bastava a farti ripartire tranquillo.”
Solo a un’edizione della Milano-Taranto alla moto di Giuliano si ruppe un bilanciere: “Come sia andata non si sa. Io cercai di rimediare perché ne avevo con me uno di scorta e l’avevo legato al telaio, assieme a una coppia di molle. A quei tempi, in quelle corse, bisognava saper lavorare, non come adesso che il corridore fa il signorino!”
Sta di fatto che non aveva gli attrezzi e dovette dar fondo a tutto il suo ingegno: fermò la Polizia Stradale e in fondo alla cassetta tutta piena di ruggine della vecchia Guzzi dell’agente non riuscì a trovare altro che una chiave inglese a rulli, che lavò con la benzina e gli servì per riparare il danno.
Gare massacranti che volevano i piloti pronti a risolvere piccoli guai tecnici e, soprattutto, preparati fisicamente: c’era l’allenamento in pista, il ritiro, dove veniva fatta fare loro ginnastica, e l’allenamento tutto speciale di Giuliano Maoggi…
“Io stavo alla Ducati l’ultima settimana prima della gara – racconta il suo segreto – perché dovevo mandare avanti l’officina a casa. La mia preparazione era differente da quella che facevano tutti gli altri. In pratica, il mio allenamento personale era questo: prendevo la mia Matchless e ne bloccavo le sospensioni, rendendola rigida. Mi piaceva uscire soprattutto quando pioveva, quando tirava vento oppure andavo a cercare le strade sconnesse. Bloccavo la moto e andavo a Bologna passando per il Passo della Futa, dove mi fermavo a prendere un caffè, oppure tiravo dritto per Milano e poi tornavo indietro. Quando mi trovavo in gara, con la motocicletta molleggiata, non la sentivo molto, mi sembrava di avere una bicicletta! Il peso della gara non lo sentivo nemmeno! Penso che questo segreto non lo abbia mai scoperto nessuno, dato che a fine tappa gli altri erano tutti ciondoloni… Poi mangiavo poco, come adesso alle rievocazioni, quando si vedono gli altri che si abbuffano con i panini e i dolci: io un po’ di macedonia, l’immancabile caffè e via, mentre allora addirittura mi bastavano un caffè e una sigaretta. Adesso la sigaretta non c’è più: ho smesso!”
Il seguito di pubblico per le gare di gran fondo era impressionante, tanto da indurre i piloti a rallentare in alcuni tratti. Maoggi racconta che Firenze viveva sul dualismo tra lui e Maranghi e che i due venivano festeggiati così calorosamente da riuscire a stento a passare tra le ali della folla assiepata ai lati della strada, come oggi sui circuiti.
Oggi Giuliano è un personaggio che non ha perso il gusto della moto, presente dalla prima edizione alla rievocazione del Motogiro, per partecipare alla quale si è comprato una Ducati 175, perché, ci spiega, se la moto con la quale corri è tua, hai più gusto e meno preoccupazioni nell’adoperarla.
Adesso come allora, se vi capita di vedere scendere dalla moto un giovanotto di diciotto anni rovesciati e di trovarlo fresco come quando c’è salito non c’è dubbio: è Giuliano.
Fatevi fare l’autografo ma non gli chiedete di posare per una foto con la sigaretta in bocca perché non lo farà.
La moto, il caffè, lo stesso sguardo vivace, il casco a strisce bianche e rosse, ma mai più la sigaretta in bocca.