Sono ormai dieci anni che Ducati è sotto la guida di Federico Minoli, Presidente e Amministratore Delegato. Dieci anni che hanno scandito profondi cambiamenti all’interno della fabbrica di Borgo Panigale.
Non che al marchio bolognese, nella sua lunga storia, siano mancate rivoluzioni più o meno importanti, ma questa, oltre ad essere la più recente, ha senza dubbio segnato un ciclo. Dopo un lasso di tempo del genere, infatti, è lecito fare dei bilanci, guardarsi indietro e vedere il percorso fatto.
Di passi in avanti, dal 1997 ad oggi, ne sono stati compiuti tanti, è evidente. Da azienda con ottimi prodotti ma poche risorse quale era la Ducati di fine anni Novanta, si è passati a una realtà dove, oltre alle moto, si pensa anche a tutto il mondo che le circonda.
Minoli è legittimamente orgoglioso di questo e, alla nostra richiesta di comparare due istantanee relative rispettivamente al momento del suo ingresso in azienda e al giorno d’oggi, si esprime in questi termini: “Innanzitutto vorrei precisare che la mia amministrazione compie un po’ meno di dieci anni, visto che dal 2001 al 2003 c’è stata una parentesi in cui l’azienda era stata affidata a Carlo Di Biagio. Ad ogni modo, quando sono arrivato qua per la prima volta, nel 1996, ho trovato una struttura composta da ottimi ingegneri ed eccellenti designer, ovvero Massimo Tamburini e Miguel Galluzzi, anche se quest’ultimi hanno poi seguito Claudio Castiglioni alla MV Agusta. Il prodotto che questo gruppo di persone avevano sviluppato era molto forte, ma mancava tutto ciò che doveva stargli attorno. Mancava, dunque, un vero e proprio tessuto aziendale. A questo, poi, si aggiungeva una grave carenza a livello di risorse finanziarie. Con il nostro ingresso, oltre ai capitali necessari per rimettere di nuovo in moto la produzione, sono arrivate le idee per costruire intorno ai prodotti un intero universo. Mi riferisco alla community Ducati, che io paragono spesso a una sorta di vera e propria tribù. Questo impegno ha significato ristrutturare la catena distributiva, con l’introduzione del concetto di Ducati Store, ma anche valorizzare i tifosi e gli appassionati attraverso i Desmo Owners Club e le numerose attività collettive come il WDW, i corsi di guida DRE, le visite in fabbrica e al Museo. Abbiamo cercato di promuovere tutte quelle iniziative che facessero sentire le persone che amano la Ducati parte di una famiglia. Questa è stata ed è tuttora l’essenza del nostro marketing. Oltre a questo, comunque, non bisogna dimenticare che una delle nostre prime preoccupazioni è stata quella di dotare il reparto di Ricerca e Sviluppo degli strumenti e della tecnologia necessari per lo sviluppo dei prodotti, cosa che in precedenza, viste le difficoltà economiche, non accadeva.”
Molto onestamente, Minoli riconosce che, in questa prima fase di rilancio, si è lavorato su progetti che erano già stati avviati dalla gestione Castiglioni, ma sottolinea anche il fatto che questi stessi progetti sono stati fin da subito oggetto di una profonda opera di aggiornamento grazie agli investimenti operati sotto la sua guida: “Se confrontiamo la 998 con motore Testastretta con la prima 916 ci si accorge come gli elementi in comune siano davvero pochi, così come se si paragonano un Monster del 1993 con, ad esempio, la versione S2R di adesso. Grazie a questi interventi, nel giro di poco tempo l’azienda è cresciuta in un modo straordinario, con profitti estremamente soddisfacenti, coronati dalla quotazione in borsa, che in un certo senso ha chiuso la prima fase del rilancio, ribattezzata la Vittoria.”
Si arriva così al 2001, anno in cui, sull’onda di questo momento estremamente positivo, Minoli decide di assentarsi dalla poltrona di Amministratore Delegato, lasciando il posto a Carlo Di Biagio. Anche in questo caso, è ammirevole l’onestà intellettuale di Minoli quando arriva a parlare della fase discendente che Ducati ha imboccato proprio a partire dalla sua uscita di scena: “Dopo questo turnaround di grande successo, l’azienda si è, diciamo così, un po’ incartata. In particolar modo, parlo del biennio 2002-2003. Questa situazione è venuta a crearsi indipendentemente dal fatto che io non ci fossi. Sarebbe infatti successo esattamente lo stesso anche in mia presenza. I motivi di questo periodo di flessione sono principalmente dovuti alle difficoltà incontrate nella realizzazione di nuovi prodotti. Al di là del loro successo a livello commerciale, c’è stato un momento in cui, all’interno della fabbrica, è venuta a mancare la coordinazione tra la parte ingegneristica e quella relativa al design. Non essendoci più Tamburini e Castiglioni, ovviamente, è stato più difficile confrontarsi con nuove realtà. Ecco dunque modelli come la nuova Supersport, la 999 e la Multistrada, che hanno segnato una certa discontinuità con il passato. Mi preme sottolineare che questa discontinuità non ha a che vedere con la bontà dei prodotti stessi. Ritengo infatti che la Multistrada sia un’ottima moto e lo stesso vale per la 999. Dove c’è stata rottura rispetto ai precedenti modelli, se vogliamo, è stato soprattutto a livello di linee e di forme, cosa che non ha incontrato il favore del pubblico. In realtà, il nostro ragionamento è stato abbastanza preciso e non frutto del caso. Ci siamo detti: se è vero che la 916 è paragonabile a un’opera di Michelangelo, difficile da migliorare, perché non fare un Picasso, diverso ma altrettanto bello? A questo si è poi aggiunta, come dicevamo, una difficile integrazione tra il centro design e l’area tecnica, per cui sono uscite delle moto, come la prima 999, un po’ in debito di cavalli rispetto alla concorrenza.”
Questa serie di fattori ha messo dunque in difficoltà l’azienda e, al ritorno di Minoli, nel 2003, si è dunque pianificato il secondo rilancio di Ducati, incentrato sulla riconquista della cosiddetta supremazia di prodotto, pur mantenendo tutte le iniziative di successo della precedente “stagione”.
Questa nuova fase ha coinciso con la promozione di Claudio Domenicali a Responsabile del Prodotto. Domenicali ha infatti ristrutturato a sua volta la parte relativa allo sviluppo decidendo, in accordo con Minoli, di inserire sotto la propria supervisione anche il Centro Design, che prima aveva una struttura indipendente. Non solo, la stessa Area Design è stata divisa in due sezioni: una nella quale vengono portati avanti i progetti basati sulla continuità del marchio, come quello relativo alla 1098 (opera di Gianni Fabbro), in sintonia con la tradizione, ma al tempo stesso frutto di scelte prettamente tecniche. Stiamo parlando, dunque, di prodotti molto importanti a livello di mercato, mentre nell’altra sezione vengono portati avanti studi maggiormente svincolati dalle logiche commerciali, ed è in quest’ultima che, attualmente, lavora Pierre Terblanche, autore sia di modelli che hanno riscosso grandissimo successo, come il Supermono, che di altri meno apprezzati, come appunto la 999. “Abbiamo pensato che un talento con degli sprazzi di genialità come quello di Terblanche – spiega Minoli – andasse comunque valorizzato, mettendolo nelle migliori condizioni per potersi esprimere. Per questo è stato messo in questa area dove può dar libero sfogo alla sua creatività, in attesa che crei l’opera d’arte, l’oggetto del desiderio, pur non ottimale dal punto di vista ingegneristico, ma comunque utile a integrare la gamma delle nostre moto. E’ così che è nata l’Hypermotard.”
Al momento, in Ducati, si stanno dunque portando avanti due modi completamente diversi di concepire lo sviluppo dei prodotti: uno che va per intuizione, che è quello di Terblanche, e un altro viceversa molto strutturato, che ha dato vita, ad esempio, alla 1098. “Se in futuro riusciremo a bilanciare queste due anime in modo non conflittuale – prosegue Minoli – credo che l’azienda non potrà che trarne vantaggio.”
Prima di parlare di futuro, però, Minoli ripercorre cronologicamente le tappe che hanno portato al secondo rilancio del marchio, o meglio dei suoi prodotti: “Tra il 2004 e il 2006 abbiamo passato anni di vera sofferenza, dove Ducati ha dovuto tirare la cinghia. Tutte le risorse disponibili sono state infatti dedicate al prodotto.”
In un momento, dunque, in cui il mercato stesso determinava una diminuzione delle vendite e, di conseguenza, dei profitti per l’azienda, tutti si sono concentrati nell’alimentare gli investimenti del processo di ricerca e sviluppo, perché c’era la certezza che solo attraverso quest’ultimo si sarebbe andati a costruire il futuro dell’azienda. Questa fase di transizione si è conclusa nel 2006, con il lancio della nuova 1098 e la conferma relativa alla produzione di Hypermotard e Desmosedici RR. “Sono estremamente soddisfatto di come sono andate le cose – prosegue Minoli – perché questa è appunto la seconda volta che siamo riusciti a superare un momento di difficoltà. A pochi, infatti, capita di effettuare due turnaround all’interno della stessa azienda: il primo all’insegna del marketing e il secondo all’insegna del prodotto.”
La missione è dunque compiuta, come dimostrano i primi dati relativi al 2007. Secondo Minoli, Ducati ha addirittura davanti a sé due anni di grande crescita, ma non per questo è arrivato il momento per gli uomini che lavorano a Borgo Panigale di sedersi sugli allori. “Direi che il 2007 e 2008, a meno di eventi straordinari, sono già scritti per noi, ovviamente in termini positivi. E’ chiaro che, poi, dovremmo essere bravi a continuare su questa strada. Da noi lavorano molte persone giovani che hanno senza dubbio le energie per spingere il marchio. La struttura, adesso, ha tutto quello che le serve: sia il prodotto che ciò che gli ruota attorno.”
C’è tuttavia un piccolo sogno nel cassetto che, in questi dieci anni di attività in Ducati, Minoli non è riuscito a realizzare. Sentiamo il perché: “Mi sarebbe piaciuto che a Ducati venissero affiancati altri marchi motociclistici – spiega Minoli – Il nostro limite, infatti, è quello di avere una scala relativamente troppo piccola. Avrei voluto quindi che Ducati diventasse parte di un gruppo più grande, capace di un fatturato attorno agli 800 milioni di Euro, ovvero più o meno il doppio rispetto a quanto facciamo adesso. Solo in questo modo, infatti, avremmo le capacità finanziarie per concederci il lusso di sbagliare un prodotto, perché tanto, prima o poi, è inevitabile che questo avvenga… Nonostante Ducati stia andando molto bene, infatti, resta il fatto che la ricerca e lo sviluppo di nuovi modelli comporta costi troppo elevati per i volumi di vendita che realizziamo. Quindi, se noi avessimo la possibilità di mettere a frutto questi investimenti su un volume più grande, o con i nostri prodotti o con quelli di altre marche, sarebbe senza dubbio vantaggioso, perché potremmo utilizzare meglio la nostra rete di distribuzione e le nostre filiali. Se avessimo più moto da vendere, in pratica, tutto l’impianto di strutture fisse che abbiamo sarebbe sfruttato in modo più conveniente. Come molti sanno, ci abbiamo provato prima con Guzzi e poi con Husqvarna, ma purtroppo le trattative non sono andate a buon fine e questo è l’unico rammarico che ho.”
Continuando a parlare di numeri, Minoli entra nello specifico del periodo che va dalla chiusura del 2006 ai primi mesi del 2007: “Come dicevo, finalmente c’è stato un ritorno al profitto operativo della Ducati. La cosa interessante, però, è che siamo messi in una posizione di assoluta tranquillità finanziaria, dal momento che abbiamo linee di credito per 260 milioni di Euro, un debito netto di 54 milioni di Euro, che non è debito bancario ma di cartolarizzazione, e 191 miliardi di equity, il che, tradotto in parole povere, significa che dal punto di vista economico siamo in una botte di ferro! Questo, ovviamente, ci permette di guardare al futuro con una grande serenità.”
Le previsioni sono dunque molto positive, con una crescita dei volumi di vendita che si annuncia a doppia cifra. Il principale responsabile di questo slancio è, com’è facile immaginare, proprio la 1098. “Abbiamo già raccolto ordini che occuperanno la produzione fino a tutto il mese di luglio – spiega Minoli – Siamo intorno alle 9000 prenotazioni, un numero davvero impressionante se si pensa che, fino ad oggi, le nostre supersportive di grossa cilindrata sono state vendute al massimo in 6000 esemplari. Come se non bastasse, abbiamo una grandissima aspettativa per l’Hypermotard, che esce a maggio, oltre ad altri 1300 ordini per la Desmosedici RR. Lo stesso vale per gli accessori, che stanno andando letteralmente alle stelle, trascinati dai sistemi di scarico per la 1098, e per l’abbigliamento, che continua a crescere di anno in anno. Praticamente, il piano che noi abbiamo promesso alle banche quando abbiamo fatto l’aumento di capitale è tutto anticipato di anno.”
Dopo la presentazione ufficiale in occasione del Gran Premio d’Italia 2006, sul circuito del Mugello, molti hanno sperato che Ducati mettesse in produzione anche una versione meno esclusiva e, di conseguenza, più economica della Desmosedici RR. Minoli ci spiega perché ciò, purtroppo, non accadrà: “Così come è stata concepita, questa replica della Desmosedici con cui corriamo in MotoGP non può essere economica. Il quattro cilindri desmo nasce infatti con una serie di caratterizzazioni che lo rendono estremamente costoso da produrre e, dunque, da vendere. Pertanto, il nostro futuro commerciale è saldamente ancorato al bicilindrico, perché riteniamo che questa architettura abbia ancora moltissimo da dire, che rappresenti un forte elemento di differenziazione di Ducati rispetto ai nostri concorrenti e che debba far necessariamente parte della nostra storia, oggi come ieri. Il quattro cilindri rimane dunque una sfida ingegneristica, piuttosto che commerciale, e non sono previste applicazioni di questa unità su altri modelli o famiglie della nostra gamma. Anche se così non fosse, comunque, il nostro V4 andrebbe sempre a equipaggiare veicoli esoterici prodotti in pochi esemplari.”
Spostiamo l’argomento dalla produzione di serie alle competizioni, altro fattore chiave per un’azienda come Ducati. Anche in questo caso, infatti, Minoli dimostra di avere le idee ben chiare: “La nostra strategia è quella di competere ovunque, purché ce lo permettano…” Il riferimento di Minoli è all’eventuale cambio di regolamenti in Superbike, ancora in fase di definizione da parte della Federazione Motociclistica Internazionale. “In MotoGP, il nostro obiettivo è quello di fare meglio dello scorso anno e siccome nel 2006 siamo arrivati terzi ci sono soltanto due possibili soluzioni… Chiaramente, si tratta di un campionato molto difficile, dunque bisognerà fare i conti anche con gli altri. Ad ogni modo, anche noi abbiamo già dimostrato di sapere il fatto nostro, quindi, come si dice, staremo a vedere. In Superbike, invece, abbiamo una carenza regolamentare pesante, visto che questa categoria presenta una grande importanza strategica per noi. E’ evidente che non ha molto senso correre con la 999, come facciamo quest’anno, mentre nelle concessionarie vendiamo la 1098. Pertanto abbiamo chiesto un cambio dei regolamenti che ci consenta di aumentare la cilindrata della nostra moto, chiarendo anche che, se questo cambiamento non ci sarà, probabilmente non correremo più nel 2008…”
A proposito di MotoGP, si dice che questa possa essere l’ultima stagione agonistica di Loris Capirossi, futuro papà e portabandiera del progetto Desmosedici. Nell’immaginario di tutti i tifosi italiani, il sostituto ideale di Loris sarebbe Valentino Rossi, che però ha già rinnovato l’accordo con Yamaha anche per il 2008. Le possibilità di poter vedere Valentino su una Ducati sono dunque definitivamente sfumate o solo rimandate? Ecco il Minoli pensiero: “Farebbe piacere a tutti vedere Valentino sulla Desmosedici. Ci sono però molte contingenze, che vanno da quelle di tipo economico a quelle relative all’ingaggio, passando per la reale volontà di Valentino ad imbarcarsi in una simile avventura che, almeno fino a questo momento, non hanno reso possibile questa operazione. Oltretutto, io non sono così convinto che Capirossi abbia voglia di ritirarsi a fine stagione, o almeno, a me non l’ha mai detto, quindi non darei per scontato il fatto che Loris non possa essere con noi anche nel 2008!”
Parlando di corse, ci viene in mente una considerazione che, a suo tempo, abbiamo sottoposto al curatore del Museo Ducati, Livio Lodi, e che giriamo direttamente a Minoli. In pratica, pur essendo stato ben strutturato al momento della sua costruzione, il Museo Ducati presenta oggi un grosso limite di spazio, della serie: o la Casa di Borgo Panigale smette di vincere nelle competizioni o bisognerà allargare il Museo: “Allargheremo senz’altro il Museo! Non abbiamo nessuna intenzione di smettere di vincere… In realtà, quando è nato il Museo, forse neanche noi ci aspettavamo che avremmo continuato a raccogliere successi con una frequenza così alta, ma è un errore al quale rimedieremo volentieri!”
In conclusione, Minoli fa una constatazione interessante, che riprende in parte il discorso fatto all’inizio: “Oggi, Ducati rappresenta un’azienda avviata bene. Abbiamo recuperato il focus sul prodotto e tutto ciò che gli sta intorno sta andando come si deve. Adesso, probabilmente, è arrivato il momento giusto per inventarsi delle cose nuove…”
Parliamo, dunque, di queste cose. Minoli focalizza un grosso margine di miglioramento in questi termini: “Ci siamo accorti di possedere una cosiddetta quota di sogno, nella mente delle persone, nettamente più alta rispetto alla nostra quota di mercato. Mi spiego meglio: da una parte abbiamo 12 milioni di unique visitors sul nostro sito internet e dall’altra deteniamo un parco circolante di circa 400 mila moto. La prossima sfida, sarà dunque quella di creare un ponte fra chi sogna di possedere una Ducati e chi la compra realmente. Per fare questo, probabilmente, ci serviranno nuove idee…”