Varcare la porta che divide gli uffici di Ducati Corse dal resto della fabbrica di Borgo Panigale mette un po’ in soggezione. Qui, oltre alla solita maniglia da girare, c’è anche una scheda magnetica da inserire in un apposito lettore che, se non “riconosce” la tessera, blocca la serratura. Insomma, una volta dentro, ti aspetteresti di trovare volti tesi e un’atmosfera tutt’altro che rilassata. Sarebbe del tutto normale, considerando che all’interno di questo reparto c’è gente che lavora a un progetto, o meglio, a una sfida che ha dell’incredibile: battere i colossi giapponesi nella massima espressione del motociclismo agonistico con risorse quantitative, sia umane che economiche, inferiori di qualche ordine di grandezza…
Roba che richiede concentrazione, impegno, sacrificio e scelte strategiche importanti. Come quella, piuttosto recente, relativa al passaggio dai 990 cc di cilindrata massima agli attuali 800 imposti dai regolamenti. Insomma, “rubare” anche solo pochi minuti al lavoro delle persone che prendono parte a questa impresa ci sembra un fastidio che il nostro mestiere di giornalisti quasi non giustifica.
Se a questo si aggiunge che la persona oggetto del nostro disturbo è il coordinatore tecnico di tutto quanto, vale a dire colui che, insieme a questo staff di tecnici, ingegneri, meccanici e quant’altro, ha dato vita a quel miracolo italiano che risponde al nome di Ducati Desmosedici, capirete come il timore di essere “di troppo” in un ambiente del genere si faccia sentire, eccome.
SBK a Jerez: avanti tutta!
A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.
Come nasce la Ducati Desmosedici da MotoGp
Ripercorriamo insieme la nascita della Desmosedici: la moto con la quale, in soli cinque anni, Ducati ha conquistato il tetto del mondo.
Invece, appena ci accomodiamo nella sala di attesa, veniamo rassicurati dal sorriso gentile di Federica De Zottis, dell’ufficio stampa, che dopo pochi minuti ci conduce nell’ufficio di Filippo Preziosi, Direttore Tecnico di Ducati Corse. A colpirci è l’atmosfera rilassata che aleggia nelle varie stanze. Non si percepisce la tensione che avevamo immaginato all’inizio, ma solo grande tranquillità.
Preziosi è lì che ci aspetta alla scrivania, con un blocco e una penna davanti, come se fosse lui a voler prendere appunti sulle domande che stiamo per fargli. Da parte nostra, invece, il timore è quello di andare a finire su cose che gli sono già state chieste centinaia di volte, sentendosi rifilare la solita risposta preconfezionata.
Tuttavia, sono sufficienti pochi secondi per capire che Filippo non è un tipo capace di annoiarsi quando si parla di moto. Basta infatti accennare a due momenti chiave nella storia del progetto Desmosedici, vale a dire quello del suo debutto, nel 2003, e quello di stretta attualità, relativo alle limitazioni di cilindrata e capacità del serbatoio previste dai nuovi regolamenti, per rompere piacevolmente il ghiaccio.
In particolare, abbiamo chiesto a colui che ha contribuito significativamente alla creazione della Ducati più veloce del mondo se sia stato più difficile, a livello filosofico-progettuale, decidere le specifiche della GP3, partendo dal cosiddetto foglio bianco, oppure stabilire quelle della GP7, vincolata a una cubatura di “soli” 800 cc (rispetto ai precedenti 990 cc) e 21 litri di carburante.
“Sono due problemi diversi – inizia con grande calma Preziosi – Partire da zero, dovendo decidere tutto, dall’inizio alla fine, è senz’altro più coinvolgente a livello progettuale, oltre a rappresentare un’attività più completa. D’altra parte, fare una moto nuova sulla base di una precedente esperienza comporta l’analisi di ogni singolo componente per decidere cosa tenere e cosa cambiare. In questo caso, è importante capire gli elementi fondamentali su cui concentrarsi per ottenere il miglior risultato. Questa è un’attività che riguarda sia noi che i nostri concorrenti, dunque chi è più bravo a interpretare questa filosofia ha un vantaggio in termini di competitività. Per tutti, la MotoGP da 990 cc rappresentava una moto completamente nuova, ma allo stesso tempo la 800 cc rappresenta una scelta su cosa tenere e cosa abbandonare rispetto alla prima.”
Preziosi fa anche una doverosa precisazione in merito al fatto che per Ducati, all’inizio dell’era MotoGP, il foglio era ancora “più bianco” che per gli altri, visto che, a differenza dei suoi competitor, la Casa di Borgo Panigale non aveva nessun tipo di esperienza nel Gran Premi, ma “solo” un gran numero di successi con le derivate di serie.
Allora come adesso, dunque, Ducati Corse si è trovata a dover fare i conti con scelte tecniche davvero importanti e, per certi versi, rischiose. Molti si sono infatti domandati se la decisione di costruire una moto da corsa con caratteristiche simili al prodotto di serie Ducati, come il telaio a traliccio, la distribuzione desmodromica e il motore a L, non sia stata più un’imposizione, pur se indiretta, che una reale necessità.
A tal proposito, Preziosi non ha il minimo dubbio: “Non c’è stato nessun vincolo tecnico nel decidere le specifiche del progetto Desmosedici, né quando è nato, né adesso con il cambio di regolamenti. Dal punto di vista concettuale, all’inizio sono state prese in considerazione tutte le possibili soluzioni. Se però, dal punto di vista pratico e organizzativo, non sono stati realizzati vari prototipi con soluzioni diverse per vedere quale andasse meglio, è a causa delle dimensioni e delle risorse economiche della nostra azienda. Sembra che Honda, infatti, in vista della stagione 2007, abbia realizzato anche una moto a tre cilindri, per poi scartarla in favore della quattro cilindri con la quale correrà quest’anno. Noi, semplicemente, una cosa del genere non ce la possiamo permettere. Non abbiamo mai realizzato un motore con un layout diverso dal quattro cilindri a V di 90°, perché reputiamo che, con delle risorse come le nostre, sia più opportuno concentrarsi nel cercare di realizzare al meglio un solo progetto, piuttosto che portarne avanti due in modo meno accurato.”
Filippo pone l’accento sull’estrema selettività delle corse odierne. La MotoGP, anche se dall’esterno può sembrare un mondo scintillante, in realtà sul piano della competizione propone uno scontro durissimo. Tutto viene portato all’esasperazione, al limite del maniacale, tanto che alcuni considerarono una vera e propria follia l’ingresso di Ducati in questa categoria. La Casa di Borgo Panigale è infatti l’unico costruttore Europeo a competere nella classe regina e questo la dice lunga sull’impegno richiesto…
Sarebbe stato inaccettabile, dunque, in un ambiente dove la vita è già difficile di per sé, complicare ulteriormente le cose con delle scelte tecniche fatte a tavolino, eppure la Desmosedici è nata con caratteristiche che rispecchiano in larga parte il “biglietto da visita” che ogni Ducati deve avere.
“Conoscendo approfonditamente alcune soluzioni tecniche, che abbiamo analizzato e sviluppato in tanti anni della nostra storia, – prosegue Preziosi – e non conoscendone viceversa altre, ci siamo trovati in una condizione diversa, a livello di opportunità di utilizzo, rispetto a quella dei nostri concorrenti. In poche parole, se fossi stato un costruttore diverso da Ducati mi sarei ben guardato dal fare un motore con sistema desmodromico! Questo perché un propulsore desmo ha un comando delle valvole diverso da tutti gli altri milioni di motori in circolazione nel mondo. La distribuzione con le molle, invece, è presente dappertutto e non solo su auto e moto, ma anche su motori agricoli, marini e industriali, perciò esiste una bibliografia ricchissima da poter studiare, esistono software sviluppati appositamente e fornitori specializzati nella produzione dei vari particolari. Se vogliamo, anche le valvole con sistema pneumatico, che sembrano così esotiche, rappresentano un prodotto estremamente più commerciale del desmo. Esistono cioè delle aziende in grado di supplire la tecnologia necessaria per far funzionare correttamente un motore con valvole pneumatiche. Nel nostro caso, invece, abbiamo dovuto portare avanti tutto da soli, perché non esistono pubblicazioni a livello di letteratura scientifica che aiutino in tal senso. Abbiamo pertanto dovuto sviluppare internamente dei sistemi di calcolo, progettazione e sperimentazione che, adesso, ci teniamo ben stretti. Ritengo infatti che la distribuzione a comando desmodromico così come l’abbiamo messa a punto noi sia un sistema eccellente per un motore ad altissime prestazioni da MotoGP, soprattutto adesso che il limite sui consumi impone la massima efficienza meccanica e termodinamica.”
Lo stesso discorso, secondo le argomentazioni di Preziosi, vale anche per il telaio a traliccio. Con questa struttura, infatti, Ducati ha “giocato” per anni grazie all’esperienza in Superbike, ben sapendo che al variare del diametro, dello spessore e della disposizione dei tubi si ottengono combinazioni di rigidezza flessionale e torsionale particolari. Chi non ha quest’esperienza incontrerebbe viceversa una barriera piuttosto che un vantaggio tecnico immediato.
Alla fine, dunque, le scelte tecniche sono state prima valutate e poi portate avanti, tenendo in considerazione un know how che altre aziende non hanno. “Se le stesse persone che lavorano in Ducati avessero dovuto fare delle scelte tecniche all’interno di un engineering costruito ex-novo, probabilmente queste scelte sarebbero state diverse, perché diverso sarebbe stato il contesto tecnico. L’importante, comunque, è che tutto venga sempre fatto nell’ottica della massima prestazione ottenibile…”
Sarà, ma secondo noi, la cosa stupefacente è che una moto non convenzionale come la Desmosedici abbia dimostrato di poter vincere in tempi a dir poco brevissimi in una categoria, lo ripetiamo per l’ennesima volta, dove gli avversari non stanno certo a guardare.
Non importa ricordare la pole position di Capirossi ai test Irta del 2003, o il suo terzo posto nella gara di apertura a Suzuka, cinque round prima della clamorosa vittoria di Barcellona, la prima delle sette conquistate in quattro anni di attività (6 per Loris e una per l’australiano Troy Bayliss).
“La prestazione della moto – prosegue Preziosi – rappresentano il risultato del pacchetto moto, gomme e pilota. L’insieme di questi tre elementi si deve amalgamare perfettamente per poter ottenere il massimo risultato. Inoltre, la moto in sé è un ulteriore amalgama di una serie di elementi, che comprendono motore, telaio, elettronica ecc… Una singola scelta tecnica, se non è clamorosamente sbagliata, non decreta né il successo né l’insuccesso. E’ l’orchestra che deve suonare perfettamente accordata. Se guardiamo ai dati oggettivi, il campionato MotoGP è stato vinto sia con una moto a quattro cilindri in linea che con una con cinque cilindri a V. Qualcuno potrebbe dire che il fattore pilota, in questo caso Valentino Rossi, ha influito molto su questi risultati, ma l’anno scorso ha vinto Hayden, dunque anche il pilota è cambiato. Per quanto mi riguarda, infatti, potrebbe vincere anche una moto a tre cilindri: non ci vedrei nulla di particolarmente strano. Ciò che conta non è la singola scelta tecnica, ma il fatto che tutte le scelte tecniche vengano operate con una coerenza tale per cui il prodotto finale sia competitivo.”
Prima di intervistare Preziosi ci siamo concessi un piccolo “sopralluogo” nel Museo Ducati, dove vengono custoditi tre esemplari di Desmosedici: quella vittoriosa con Capirossi a Barcellona nel 2003, la versione del 2005 e quella che ha partecipato al GP del Mugello nel 2006, caratterizzata da una bellissima livrea tricolore solcata da una striscia argento sui lati.
Pur nella sua bellezza, propria delle moto da corsa, la creatura di Ducati Corse appare comunque “grezza”, rude, contraddistinta da un livello di artigianalità decisamente superiore alla media, anche senza scomodare la fantascientifica Honda RC212 V, più simile a un razzo progettato dalla Nasa che a una motocicletta da Gran Premio.
Insomma, perché la Desmosedici ha questa natura così sanguigna? “La moto è in questo modo perché lo siamo noi che l’abbiamo fatta! – ride Filippo – Anche se ha quattro cilindri invece di due è pur sempre una Ducati e si porta dentro quel patrimonio squisitamente racing che ha sempre caratterizzato le nostre moto. Mi spiego meglio: avendo a disposizione un budget inferiore rispetto ad alcuni nostri concorrenti, cerchiamo di curare solo gli aspetti che generano la prestazione. Il nostro gruppo è talmente piccolo che, se disperdessimo le nostre risorse nel fare ogni cosa che ci viene in mente, non raggiungeremmo il risultato che ci siamo prefissati. Per questo, certe volte, accanto a delle soluzioni estremamente sofisticate, sulla Desmosedici se ne vedono altre molto semplici, degne di una special da trofeo. In pratica, ogni volta che facciamo una cosa ci chiediamo: questa è una cosa importante, indispensabile e che fa andare più forte la moto? Se non lo è, ce ne sono altre mille da fare prima…”
La storia della Desmosedici sembra una favola scritta da un romanziere, eppure è realtà: i colossi giapponesi, Honda e Yamaha in testa, vengono messi in seria difficoltà da un piccolo costruttore, per di più attraverso scelte tecniche non convenzionali…
Anche se Preziosi è restio nell’ammetterlo, il mondo ci invidia per questo. Perché un conto è fare una moto bella, particolare e affascinante quanto vuoi, ma poi la domenica, in gara, cose come il marketing, l’immagine e la pubblicità vanno a farsi benedire: contano solo i risultati. Quindi significa che, a monte, è stato fatto un lavoro eccezionale, che in molti non sanno ancora spiegarsi e che forse, in fondo, anche gli stessi uomini di Ducati Corse fanno fatica a comprendere…
Beata dunque l’incoscienza tipicamente italiana di voler competere facendo leva sull’estro e sulla fantasia, piuttosto che sul metodo applicato sistematicamente. Anche per questo motivo, nei box del Ducati Marlboro Team non troverete silenzi pesanti e musi lunghi, come viceversa in altre squadre, ma piuttosto facce allegre e battute pronte.
“Un altro degli aspetti che ci avvantaggia molto rispetto ai nostri avversari – prosegue Preziosi – è il gran feeling che c’è tra chi fa progettazione e sviluppo, chi gestisce le moto in pista e i piloti che le guidano. Avere un rapporto così stretto come quello che abbiamo saputo creare noi permette di evitare molti misunderstanding, in modo che le cose veramente importanti arrivino a chi prende le decisioni senza filtri o mediazioni di sorta.”
Filippo si riferisce anche alla barriera linguistica che ci può essere con un pilota. Ducati ha sempre avuto la fortuna di poter contare, fin da quando è iniziata l’avventura in MotoGP, su Loris Capirossi, nato a pochi chilometri dalla fabbrica bolognese e dunque in perfetta sintonia con il “dialetto motoristico” parlato in Ducati.
Oltre a lui, però, Preziosi cita anche un’altra figura che, nonostante abbia dato e dia tuttora un grande contributo alla “causa”, talvolta rimane un po’ nell’ombra: “Lavoro spesso a stretto contatto con Vittoriano Guareschi, che è davvero un bravissimo collaudatore, oltre che un pilota di esperienza. Vitto ha infatti una sensibilità meccanica molto sviluppata, visto che la sua famiglia possiede una concessionaria di moto, dove anche lui dà una mano. Quindi, sa bene cos’è un albero a camme, cos’è l’anticipo ecc. Tuttavia, pur avendo avuto una formazione simile alla mia, certe volte mi rendo conto che riuscire a tradurre in parole le sensazioni che lui prova sulla moto è molto difficile, anche perché queste sensazioni le coglie mentre in un certo senso sta tentando di sopravvivere! Se a questo aggiungessimo anche una barriera linguistica, dunque, il discorso si farebbe molto più complicato…”
Ecco perché, dopo essersi legata alla giapponese Bridgestone per la fornitura dei pneumatici, Ducati ha istituito un Tyre Test Team con Shinichi Itoh in veste di pilota-collaudatore… Anche se la struttura è “piccola”, come dice Preziosi, nulla viene comunque lasciato al caso.
Tornando a parlare di tecnica, e più precisamente di motore, a noi è parso strano che, in virtù di questo benedetto cambio di regolamenti, la massima espressione del motociclismo agonistico dei prototipi, vale a dire la MotoGP, sia improvvisamente diventata una classe dove il frazionamento dei propulsori utilizzati è uguale per tutti, vale a dire quattro cilindri.
Ecco come la vede il Direttore Tecnico di Ducati Corse: “Il frazionamento di un motore che partecipa a un campionato è figlio diretto di come è scritto il regolamento. Si possono fare dei regolamenti più equilibrati, secondo i quali possono competere ad armi pari più frazionamenti, oppure altri che spingono necessariamente in una certa direzione. Per quanto ci riguarda, sia quando siamo entrati in MotoGP, nel 2003, che in occasione dell’ultima modifica regolamentare, abbiamo preso in esame la possibilità di fare una moto bicilindrica. Io ritengo che questo tipo di frazionamento sia l’ideale in un ambiente puro, che è quello delle moto di produzione, dove non esistono i regolamenti, ma solo il giudizio dei clienti. Quest’ultimo non dipende né dal peso, né dalla cilindrata, ma solo da come va la moto e da quanto costa. In un ambiente del genere, dunque, ritengo che la scelta fatta da Ducati sia assolutamente vincente, perché il bicilindrico permette di raggiungere dei livelli di potenza estremamente significativi con un livello di guidabilità eccellente. D’altra parte, però, il regolamento della MotoGP pone il bicilindrico in una condizione di netta inferiorità rispetto al quattro cilindri. Il fatto che alla fine abbiamo deciso di realizzare un V4 dimostra dunque il ragionamento che facevamo all’inizio, vale a dire che non ci sono stati vincoli, se non quelli regolamentari, nelle nostre scelte tecniche.”
Uno degli argomenti che, come si dice, ha tenuto botta nei bar di tutta Italia durante l’inverno ha riguardato il tempone stampato da Bayliss nei test in Australia in sella alla 999 F07, a soli 37 centesimi dal record della MotoGP stabilito da Marco Melandri.
Insomma, una moto, per quanto sofisticata, derivata comunque dalla produzione di serie, con freni in acciaio e gomme più vicine a quelle di serie, equivale, o quasi, un prototipo sul quale viene riversata la massima tecnologia disponibile nel settore. Com’è possibile?
“Innanzitutto, bisogna sottolineare che anche una differenza così piccola sul giro singolo equivale a un distacco di circa 10 secondi a fine gara, ovvero a una posizione fuori dalla zona podio, considerando gli standard della MotoGP. Diciamo che ogni cosa ha il suo peso, ma più ci si avvicina al limite fisico di un mezzo a due ruote e più le eventuali migliorie producono effetti piccoli. Ecco perché una Superbike e una MotoGP sembrano così vicine, ma in realtà non lo sono. Ognuna rappresenta la massima espressione della tecnica motociclistica, la prima legata alle moto di serie, la seconda ai prototipi sperimentali…”
Sempre a proposito di soluzioni per andare più forte, a suo tempo Filippo dichiarò che l’avantreno che caratterizza la maggior parte delle moto odierne, vale a dire una forcella telescopica ancorata in alto, rappresenta una “pessima idea ottimamente sviluppata”.
Sentiamo come la vede oggi: “La situazione è rimasta più o meno la stessa. In giro si vedono alcune idee interessanti che, però, senza un gran lavoro di sviluppo non riusciranno mai a soppiantare lo standard attuale. In realtà, il problema fondamentale è che non è ben chiaro ai progettisti come funziona la sospensione anteriore di una moto e, soprattutto, quali caratteristiche deve avere. Mi spiego meglio: se uno avesse chiaro che cosa può produrre una differenza prestazionale, allora potrebbe progettare un oggetto che comporta quella funzione. Secondo me, non è chiara questa funzione. Ad esempio, quando un pilota frena la forcella modifica l’avancorsa e la moto si inserisce meglio in curva. Ma chi è che dice che l’avancorsa deve rimanere costante, deve diminuire o deve aumentare? Andrebbero fatti degli studi e, di conseguenza, delle considerazioni. La forcella, infatti, è un organo molto elastico, o poco rigido se vogliamo, in tutte le sue direzioni. E’ questo uno svantaggio e dunque bisogna progettare una sospensione rigida e concentrare tutta la caratteristica di rigidezza nella molla, oppure è utile avere una rigidezza distribuita per sopperire ad alcuni comportamenti tipici del veicolo a due ruote? Secondo me, queste sono le domande che, una volta data la risposta, spingeranno verso la progettazione di qualcosa di utile. Tante volte, invece, il progettista, che essenzialmente è una persona che ama disegnare e realizzare le cose, piuttosto che domandarsi che cosa fa andare forte una moto si domanda che cosa gli piacerebbe vedere sopra la moto stessa. In questo modo, però, si progetta un semplice pezzo, non si crea la funzione che il pezzo deve svolgere.”
A mo’ di provocazione ci verrebbe da dire, dunque, che fino a quando un costruttore con grandissime risorse non avrà voglia di investire tempo e denaro nello studio di qualcosa di veramente innovativo tutto rimarrà invariato.
Anche qui, però, Preziosi fa una considerazione che in parte smentisce questa supposizione: “Non è proprio così. Lo dimostra il fatto che la nostra moto 2007 presenta delle caratteristiche a livello ciclistico che, in un certo senso, possono essere definite innovative. Per la prima volta, infatti, il motore della nostra moto svolge un ruolo completamente strutturale!”
A questo punto, Filippo prende carta e penna e comincia a disegnare: “Già sulla GP3, sia il telaio che il forcellone con il relativo link erano attaccati direttamente al motore e tra i due non vi erano punti di contatto diretto. Questa configurazione, però, prevedeva che il telaietto posteriore fosse vincolato al telaio stesso. Sulla GP7, invece, il telaio, il telaietto (che è costituito da una struttura in fibra di carbonio, ndr) e il retrotreno sono tre elementi completamente svincolati, visto che anche il telaietto è attaccato esclusivamente al motore. Questa caratteristica rappresenta una differenza concettuale che distingue la nostra moto da tutte le altre MotoGP eppure, come abbiamo detto, le nostre risorse non sono certo superiori a quelle di Honda e Yamaha, che viceversa adottano uno schema molto convenzionale, dove motore, forcellone e telaietto posteriore sono tutti attaccati al telaio.”
La scelta operata da Ducati sulla GP7 deriva da alcune indicazioni di Capirossi che, nonostante gli ottimi risultati, ha sempre giudicato il comportamento della moto come se questa piegasse in due volte, prima la parte anteriore e poi quella posteriore.
“Andando ad analizzare i dati – spiega Filippo – ci siamo accorti che l’unico elemento che poteva determinare quella sensazione era la rigidezza delle pedane. Siccome la moto si guida sia con le mani che con i piedi, è importante che anche le pedane garantiscano la massima sensibilità al pilota. Per questo motivo è stato fatto un telaietto completamente diverso, in cui il punto di attacco al motore è molto vicino al punto di attacco delle pedane, che pertanto risultano significativamente più rigide rispetto ai modelli precedenti.”
Come molti sanno, ad affiancare Capirossi in questa stagione c’è il giovanissimo australiano Casey Stoner, anch’egli di statura piuttosto minuta, come l’imolese.
A qualcuno è venuto il dubbio che per guidare una moto mascolina come la Desmosedici non sia adatto un fisico da fantino, ma ci voglia piuttosto un pilota roccioso tipo Bayliss (autore della clamorosa vittoria a Valencia, ottenuta in occasione dell’ultima apparizione della Desmosedici di 990 cc).
“In realtà, un pilota Ducati non deve essere grosso, deve essere cattivo! – ci scherza su Preziosi – In tal senso, Capirossi, Stoner e Bayliss hanno uno stile di guida molto aggressivo, che si confà perfettamente alle caratteristiche della nostra moto. Al di là di questo, penso anche che il connubio tra moto e pilota rappresenti una simbiosi secondo la quale uno si adatta all’altro e viceversa, dunque non credo che la statura dei nostri due alfieri rappresenti un problema ai fini del risultato. Anzi, quando vedo Loris che fa delle sbacchettate da paura, ma che tiene duro e che non chiude il gas nemmeno di un millimetro, confesso di provare grandissimo orgoglio!”
Bene, il primo che sente un ingegnere della HRC parlare con lo stesso entusiasmo e passione ce lo faccia sapere…