Troy Bayliss è il pilota globale, perfettamente in linea con un mondo nel quale tutto può essere condiviso da tutti. Raccoglie estimatori da ogni parte del mondo. Per lui non ci sono bandiere, perché Bayliss stesso è una bandiera. Per questo potremmo certamente considerarlo un’espressione moderna del motociclismo da corsa.
Troy è universalmente ammirato dagli appassionati, universalmente rispettato dagli avversari, sia come uomo che come pilota. L’australiano si ammira indipendentemente dalla simpatia che si può avere per una Casa o per la sua nazionalità. Abbiamo avuto modo di sottoporgli alcune domande, prendendo il discorso da lontano, per poi arrivare a chiedergli quello che veramente ci premeva. Continuate a leggere e scoprirete il resto…
Ormai possiamo affermare che, nel cammino luminoso della Ducati in Superbike, è il pilota più amato, colui che ha superato anche Carl Fogarty nel cuore degli appassionati. Il perché possiamo chiederlo direttamente a lui.
Ecco cosa pensa di aver avuto in più rispetto agli altri il pilota australiano e quali sono i suoi meriti: “Direi che è grazie alla mia famiglia se sono rimasto sempre con i piedi per terra. Non penso di dare di più degli altri piloti, ho sempre fatto e faccio quello che posso per i tifosi. E’ uno scambio che giova agli appassionati e anche a me: alla fine, il supporto che ho avuto durante gli anni e che ho ancora adesso è stato incredibile!”
Una risposta chiara, dalla quale traspare la simbiosi che pochi piloti riescono a raggiungere con gli appassionati.
Eppure la storia di Troy, della sua carriera in Ducati e dei suoi successi in Superbike, è iniziata in sordina e ha preso le mosse dall’incidente che ha posto fine al dominio di Fogarty, nonché dalla defezione di Luca Cadalora, chiamato a sostituire l’inglese. Paradossalmente, per come si è evoluta la storia, il pilota australiano è stato il prodotto di una seconda scelta!
Bayliss ci racconta com’è nata la storia con Ducati, anche se all’epoca era già un pilota di Borgo Panigale, in quanto impegnato nel campionato AMA.
“La Ducati mi chiamò un giorno che ero negli Stati Uniti e mi chiese di fare la gara Superbike a Sugo; Carl non poteva farla per i postumi dell’incidente che aveva avuto nella gara precedente. Preparai una valigia in fretta e furia e andai a correre in Giappone: fu un disastro dall’inizio alla fine, non riuscii a terminare neanche una delle due manche! Caddi due volte. Pensai, a quel punto, che non avrei dovuto aspettarmi una seconda chiamata. Invece, mi fu data un’altra chance: fui di nuovo in pista nella tappa di Monza e, per fortuna, in quel weekend riuscii a esprimere molto meglio il mio potenziale. Tutto è nato da lì.”
Già, tutto è nato da una serie infinita di sorpassi alla staccata della prima variante: per Troy è stato come poter mettere la firma, un primo sigillo distintivo, su un mondiale che lo incoronerà re nel 2001 e che lo vedrà splendido sconfitto nella storica domenica di Imola l’anno dopo.
Poi il passaggio in MotoGP: nella categoria in cui Ducati debutta affidandosi a lui e a Capirossi. Il risultato, però, si traduce in qualche sprazzo di classe e tante delusioni, fino al divorzio con la Rossa a fine 2004: in Ducati gli si offre di tornare in Superbike, ma Troy sente di non avere dimostrato tutto quello che poteva nel mondo dei Gran Premi.
Rifiuta perciò l’offerta di Ducati Corse e passa alla Honda.
I tifosi ducatisti insorgono: lo vorrebbero ancora sulla Desmosedici. Ecco come Bayliss percepiva il malumore dei tifosi che lo difendevano a spada tratta: “Mi dispiace se i ducatisti sono rimasti delusi per quella scelta, ma alla fine mi sono sempre rimasti vicini e di questo gli sono grato.”
Le aspettative dell’australiano non si concretizzano. Per lui, nel 2006, ci saranno di nuovo la Superbike, la Ducati, un nuovo titolo mondiale e la rivincita in MotoGP avrà il sapore di un weekend di assoluto dominio.
Per quanto riguarda il passaggio in MotoGP e l’esperienza in quella categoria, qualcuno diceva che quella non era casa sua…
“Beh, comunque sia, suppongo che sia vero, nel senso che mi sono sempre sentito più a mio agio nel mondo delle Superbike. Sì, direi che tornare alla Ducati è stata la decisione giusta! Nella Superbike, la cosa bella è anche quella di correre con moto che sono praticamente le stesse che ognuno può comprare e guidare per strada.”
Una circostanza in più – aggiungeremmo noi – per sentire la gente vicina e farsi sentire a propria volta vicino agli appassionati.
Fresco vincitore del titolo SBK, a Bayliss viene data la possibilità di correre nell’ultima gara della stagione 2006 del campionato MotoGP, incantando la Spagna e il resto del mondo. Alla fine, Troy ha vinto anche con la Desmosedici e su questo è stato scritto di tutto.
Chiediamo a Bayliss di aggiungere qualcosa, magari facendo una sorta di diario di quel magico fine settimana. Bruno Leoni, il suo capomeccanico, ci ha raccontato che Troy non aveva altro per la testa che salire in moto e dare gas!
“E’ vero, quello che vi ha raccontato Leo corrisponde a verità. Siamo andati lì per un weekend di divertimento, un’opportunità last-minute di correre di nuovo in MotoGP. Non sono entrato in pista con aspettative particolari, volevo solo divertirmi con la moto. Poi, però, siamo andati subito forte, già durante le prove libere e, in seguito, nelle qualifiche. Per quello ho cominciato a pensare che, forse, sarebbe stato possibile vincere. La vittoria è stata fantastica, così ho chiuso quel capitolo della mia vita in modo assolutamente perfetto.”
Troy Bayliss ha dimostrato così di essere un vero combattente, uno che sale sulla moto, quale che sia, e vince. Roba da ricordare un altro come lui: Mike Hailwood.
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Anche il britannico, infatti, trionfò in una gara alla quale partecipò quasi per caso, il Tourist Trophy del 1978, e con una moto allestita dalla Casa di Borgo Panigale.
Bayliss come Mike, dunque, ha la capacità di salire in sella e vincere. Ha vinto gare con tre generazioni diverse di Ducati Superbike.
Troy ci parla delle sensazioni che ognuna di esse gli ha dato: “La mia moto da corsa preferita è stata la 999. La 998 R era una moto bellissima e, per quanto riguarda lo stile, la 1098 è più simile a quella. La moto che ho quest’anno, nonostante sia al debutto, è già vincente, forte di tutta la accelerazione che ci mancava l’anno scorso. Tutte le Ducati che ho guidato in questi anni erano diverse tra loro, ma posso dire che di ciascuna conservo le soddisfazioni che sono state in grado di darmi.”
Non è un caso se Troy parla di conservare sensazioni e ricordi: ha infatti annunciato da tempo che si ritirerà alla fine di questa stagione.
Il 2008 sarà l’ultimo anno in cui vedremo Bayliss correre in moto.
Eccoci, quindi, al punto cruciale di questa intervista: saggiare quanto questa decisione sia irrevocabile.
Ci saranno, immaginiamo, dei pro e dei contro circa la sua decisione di lasciare a fine anno.
Su quale punto debole del suo intento dovrebbero fare leva gli appassionati della Superbike per convincerlo a continuare?
“Mi dispiace, ma la decisione è stata presa e non penso di cambiare idea. Sono stato molto fortunato finora, nel senso che non ho avuto incidenti gravi e allora preferisco fermarmi così, in forma e in buona salute. Forse potrei continuare per un paio di anni, ma voglio smettere di correre in Superbike ora che sono ancora competitivo e al ‘top of my game’. E’ il momento giusto per far tornare in Australia la mia famiglia dopo più di dieci anni sempre in giro per il mondo.”
Le ragioni di Bayliss sono più che condivisibili. La decisione di smettere è anche figlia di un atto che per un pilota è da considerarsi coraggioso.
Però, la buttiamo lì con tono scherzoso e, come se fossimo i centravanti di una squadra che non vuole perdere un attaccante come Troy, ci proviamo: va bene smettere per mettersi in pantofole, ma pensare di andare a correre con le auto, questo proprio no!
Tanto vale rimanere a divertirsi con questi gioiellini a due ruote e cercare di essere quello che non solo ha vinto con tre generazioni di Ducati diverse, ma ha anche bastonato diverse generazioni di avversari.
Può andare come stimolo? “In questa stagione ho già vinto delle gare e ho appena compiuto trentanove anni, gareggiando in pista con piloti che sono molto più giovani di me, quindi posso già dire che ho bastonato diverse generazioni di avversari!”
Caspita che risposta: anche qui, Troy ha affrontato una staccata da brivido, lasciandoci lì, come se fossimo fermi, a guardarlo andare via, di spalle.
Foto di Marco Rimondi
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