Intervista all’ Ingegner Andrea Forni, Direttore Tecnico Veicolo di Ducati

Intervista all’ Ingegner Andrea Forni, Direttore Tecnico Veicolo di Ducati

Intervista all’ Ingegner Andrea Forni, Direttore Tecnico Veicolo di Ducati, ma anche appassionato motociclista e abile pilota-collaudatore.

Sono diversi anni che abbiamo il piacere e l’onore di conoscere Andrea Forni, Direttore Tecnico Veicolo della Casa di Borgo Panigale. Forni era solito prendere parte alle giornate in pista che organizzavamo per i nostri lettori verso la fine degli anni Novanta e, in quelle circostanze, si è più volte presentato in sella a delle moto laboratorio che, con grande gentilezza, ci ha spesso fatto provare, dandoci la possibilità di “assaggiare” gustose anteprime della produzione Ducati.

 Allo stesso modo, è capitato che l’Ingegnere volante, come lo chiama qualcuno, si sia intrattenuto con i nostri lettori, sottoponendosi di buon grado alla raffica di quesiti tecnici che questi inevitabilmente gli rivolgevano. Addirittura, da appassionato qual è, Andrea si è anche reso protagonista di un gesto che gli fa davvero onore quando, incrociando un ducatista in panne su uno dei molti passi che è solito frequentare nel fine settimana, non solo si è fermato per sincerarsi dell’accaduto, ma ha anche cannibalizzato la propria moto per permettere allo sfortunato centauro di ripartire e tornare a casa.

Forni concilia dunque le due metà del motociclismo moderno: cuore e cervello, teoria e pratica. Sono in molti, infatti, a conoscere le sue notevoli doti di collaudatore, per non usare la parola pilota…

Del resto, ai complimenti Forni reagisce con una modestia che gli impedisce di prendersi troppi meriti, preferendo classificare le sue performance come “discrete”.

Lo stesso accade quando gli si chiede di commentare i risultati del suo lavoro, che non manca mai di attribuire a tutto lo staff di persone che compongono l’Area Tecnica Ducati, utilizzando il plurale in quasi tutte le sue dichiarazioni. A questo punto, però, qualcuno potrebbe anche domandarsi: ma cosa fa il Direttore Tecnico Veicolo di un’azienda importante come quella bolognese?

Il Direttore Tecnico è di solito quello che si prende tutte le colpe quando le moto hanno dei problemi! – è l’esordio scherzoso di Forni – A parte questo, chi ricopre questa carica ha la responsabilità dei reparti di progettazione, costruzione prototipi e sperimentazione, che sono i tre organi principali dell’R&D relativi al veicolo. Il primo si occupa della progettazione di tutta la moto escluso il motore, mentre il secondo e il terzo hanno a che fare con tutto il veicolo. Pertanto per tutti i modelli che la Ducati sta per mettere in produzione, il mio compito è quello di coordinare al meglio tutte queste attività. Per progettazione, ovviamente, si intende sia il calcolo che il disegno, attività che sono svolte da due gruppi distinti di tecnici specializzati. Infine, tutte le persone finora citate hanno un quarto reparto con cui interfacciarsi che è quello che si occupa dell’industrializzazione. In pratica, un gruppo dei nostri tecnici ha il compito di andare presso i fornitori esterni a concordare prima, e verificare poi, le attrezzature che servono a fare i pezzi delle nostre moto. Facciamo un esempio banale: il telaio della 1098. Ci sono delle persone incaricate di concordare con la MT, il nostro fornitore, la costruzione delle maschere di saldatura e verifica. Lo stesso vale, naturalmente, per l’impianto di scarico o per i componenti realizzati per fusione. In tal caso si contatta chi deve realizzare gli stampi per le fusioni e si cerca di prevedere e affrontare insieme, prima che si verifichino nella pratica, le eventuali problematiche inerenti l’industrializzazione del pezzo in questione, ovvero la realizzazione di questo in un numero di esemplari tali da soddisfare il fabbisogno giornaliero. Questi tecnici si sincerano dunque del fatto che sia possibile replicare, in una certa quantità di pezzi al giorno, ciò che noi abbiamo realizzato a livello di prototipo.

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Il telaio della 1098 rappresenta uno dei contenuti tecnici più importanti a livello di sviluppo di questo nuovo progetto.

Ecco il plurale di cui parlavamo prima. Tra le molte qualità, a Forni viene riconosciuta anche quella di riuscire a spiegare con parole semplici concetti tecnici piuttosto complicati. Per quanto riguarda, infatti, l’attività di progettazione, calcolo e sperimentazione l’Ingegnere si esprime in questi termini: “Per raccontare nel dettaglio tutto ciò che viene fatto all’interno dell’area tecnica ci vorrebbe una vita, ma immagino sia abbastanza intuitivo capire le attività praticate negli altri reparti.

Per circa 16 anni, Andrea Forni ha militato in quello stesso Reparto Esperienze che oggi è sotto la sua supervisione di Direttore Tecnico. Andrea non ha difficoltà a ammettere di avere grande nostalgia del periodo in cui macinava chilometri in sella ai prototipi, piuttosto che trascorrere gran parte del suo tempo in lunghe riunioni, come fa adesso.

Tutte le volte che posso cerco ancora di andare a provare le moto, ma ovviamente la ripartizione del tempo tra le due attività, quella di ufficio e quella pratica, è radicalmente cambiata. D’altra parte, il coordinamento di tutti i reparti di cui abbiamo parlato avviene per lo più tramite delle riunioni e ogni progetto ha le sue aree dedicate. Un’azienda come la nostra porta avanti anche cinque progetti contemporaneamente. Alcuni di questi sono già in fase avanzata, mentre altri sono diversi model year a valle rispetto a quelli odierni. Di solito, si lavora con tre o quattro anni di anticipo rispetto alla produzione attuale. Ad ogni modo, se la norma è quella di avere cinque progetti in parallelo e i giorni lavorativi della settimana sono altrettanti, si finisce per dedicare almeno una riunione di coordinamento al giorno per ogni progetto. Nel tempo che mi rimane, comunque, mi reco spesso nel reparto esperienze per vedere come procedono le cose e, quando posso, cerco di seguire anche le prove in pista. Su strada, infatti, provo generalmente il sabato, quando nessuna riunione può impedirmelo!

Parlando nello specifico di un singolo progetto, il discorso non può che andare a finire sulla 1098. Rispetto al modello che è andato a sostituire, la nuova Hypersportiva Ducati ha fatto segnare grandi cambiamenti, a cominciare dal telaio.

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Alcuni bozzetti che hanno riguardato lo studio estetico del forcellone. Forni ci ha infatti spiegato che nella definizione di questo componente sono entrati in gioco anche motivi inerenti al design. Come si vede ne era stata prevista anche una versione priva della saldatura esterna che, però, non è andato in produzione.

L’aumento del diametro dei tubi principali, passati da 28 a 34 mm, e la diminuzione dello spessore, che adesso è di 1,5 mm contro i 2 mm precedenti, ha consentito un considerevole risparmio di peso a fronte di una perdita trascurabile in termini di rigidezza torsionale (circa il 4%, ndr) e, viceversa, di un incremento sostanziale di rigidezza flessionale (quasi triplicata, ndr). Questo significa che, a parità di forza applicata alla ruota anteriore, lo spostamento di questa rispetto a quella posteriore è diminuito, perché il contributo della rigidezza torsionale è rimasto più o meno lo stesso, mentre quello della rigidezza flessionale è aumentato notevolmente. Questa scelta, naturalmente, è stata possibile grazie a dei calcoli preliminari con elementi finiti, i cosiddetti FEM, e all’esperienza acquisita in tanti anni di ricerca e sviluppo. Poi, naturalmente, tutto questo deve essere verificato anche in pratica, prima con una prova di flessotorsione e, infine, con i test dinamici, dove i collaudatori riportano le sensazioni e il feeling che la moto trasmette.

Molti si sono chiesti se le stesse considerazioni sono valse anche nella definizione del forcellone, oppure se in questo caso sono intervenuti fattori legati al design e al marketing. Onestamente, Forni non fa mistero che se la 1098 monta un forcellone a un braccio piuttosto che a due, come la 999, è dipeso anche da queste cause. “Sono entrati in ballo motivi di varia natura. E’ evidente che lo stesso risultato poteva essere ottenuto con entrambe le soluzioni tecniche. Quindi, potendo scegliere, abbiamo deciso di utilizzare il componente che si conciliava meglio con i gusti del pubblico. Del resto, il peso del gruppo forcellone e ruota completa di perno e mozzo eccentrico è rimasto identico a quello della 999, mentre i valori di rigidezza torsionale del forcellone stesso, grazie all’abbondante dimensionamento, superano di una volta e mezzo quelli della 999 ultima versione, dotata di forcellone scatolato.

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Il forcellone della 1098 è stato dimensionato in modo che la rigidezza strutturale del pezzo fosse superiore all’unità scatolata che equipaggiava la 999.

Questi sono i principali elementi che saltano all’occhio quando si cerca di individuare le differenze tra la nuova supersportiva Ducati e il modello che l’ha preceduta, anche se, in realtà, Forni ci tiene a precisare che la 1098 rappresenta un progetto completamente nuovo dalla prima all’ultima vite.

Se si facesse una comparazione tra i codici che compongono i due modelli, non troveremmo che poche coincidenze su un totale di qualche migliaio di unità. Forse giusto la pinza del freno posteriore e le manopole sono rimaste le stesse!

All’inizio Forni ha detto che, in fase di progettazione, il veicolo viene studiato prendendo in esame tutto tranne il motore. In verità c’è comunque un continuo scambio di informazioni tra il reparto di progettazione veicolo e quello che si occupa del propulsore. Vediamo perché: “Il reparto che progetta i veicoli non tratta il motore come se fosse una sorta di scatola nera. Non solo ne deve conoscere le prestazioni per dimensionare adeguatamente la ciclistica, ma, ad esempio, deve tenere conto degli ingombri e dello sviluppo di numerosi componenti ad esso correlati, come ad esempio l’airbox, che deve avere un volume ottimale ben definito, o l’impianto di scarico, anch’esso vincolato in termini dimensionali a precise specifiche tecniche, oltre che alle normative ambientali su rumore e inquinamento. Normalmente, dunque, noi progettiamo questi componenti e realizziamo i primi prototipi, dopo di che li diamo ai motoristi, i quali li testano in sala prove e verificano che questi componenti massimizzino le prestazioni del propulsore. Se questo non succede al primo tentativo, cosa del tutto plausibile, si effettuano dei loop fino a quando il risultato non è soddisfacente. Va comunque detto che, al giorno d’oggi, grazie ai moderni sistemi di calcolo, soprattutto nel campo della fluidodinamica e della termodinamica, bastano pochi tentativi per centrare il bersaglio, mentre una volta, ai tempi in cui cominciai a lavorare in Ducati, tanto per fare un esempio, ce ne volevano molti di più.

In una precedente intervista con Filippo Preziosi, Direttore Tecnico di Ducati Corse, abbiamo scoperto che il sistema desmodromico applicato alla Desmosedici ha imposto specifici studi per sviluppare dei software dedicati che nessuno, prima di allora, aveva realizzato, essendo il Desmo molto raro in campo motoristico rispetto alle tradizionali molle.

Viene da chiedersi, se anche per la parte ciclistica, e in particolar modo per il telaio a traliccio di tubi della 1098, si siano o meno dovuti costruire “in casa” gli “strumenti” per l’analisi strutturale di questo componente. “No, nel campo della progettazione veicolo usiamo dei normali software commerciali, anche se molto evoluti e sofisticati“.

Sempre facendo una sorta di paragone a distanza tra la Desmosedici GP7 e la 1098, nonostante entrambe abbiano una tipologia ciclistica simile, vale a dire il telaio a traliccio di tubi, le differenze a livello di layout sono macroscopiche.

In particolare, il braccio di leva offerto dai tubi che congiungono il motore alla parte bassa del cannotto di sterzo, che poi è una delle specifiche più importanti in un telaio da moto, visto che determina in larga parte la rigidezza dell’insieme, è nettamente più lungo sulla 1098, dato che in questo caso il telaio è fissato al propulsore sul carter e non sui cilindri, come avviene sulla Desmosedici.

Anche in questo caso, Forni ci spiega in modo semplice il perché: “Sui nostri motori bicilindrici, i cilindri non sono integrati nel carter, ma vengono vincolati a quest’ultimo tramite dei prigionieri, quindi, vincolando il telaio ai cilindri stessi non si andrebbe a sfruttare la rigidezza del carter, ma quella dei prigionieri, che è notevolmente inferiore… Sulla Desmosedici, invece, i cilindri fanno parte del basamento e dunque c’è la possibilità di ridurre il braccio di leva tra il cannotto di sterzo e il punto di attacco del telaio al motore, aumentando la rigidezza dell’insieme.

Spostiamo l’argomento dalla Desmosedici racing, ovvero quella che usano in gara Capirossi e Stoner, alla versione stradale, la cosiddetta RR, che rappresenta un po’ il sogno di ogni ducatista, vista la piccola tiratura e il prezzo esorbitante.

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La Desmosedici RR con kit di adesivi “race replica”. L’Ing. Forni è stato il primo a percorrere i primi metri in sella al prototipo.

Ecco come procede lo sviluppo di questo modello: “Rispetto al prototipo che è stato presentato al Mugello, in occasione dell’anteprima mondiale, sono già state apportate delle modifiche, visto che il processo di sviluppo continuerà fino alla preserie. Direi comunque che si tratta di interventi marginali: oltre ad aver aggiunto un tubo al telaio, si è lavorato principalmente intorno a quello che rappresenta l’elemento più nuovo e caratterizzante della moto, che è lo scarico contenuto all’interno del codone. In questo caso, più si va avanti con i collaudi e più si scoprono delle cose nuove, che portano a un affinamento delle soluzioni tecniche. Quello che posso dire è che la moto va veramente forte. Non voglio parlare di numeri, ma dico solo che l’ordine di grandezza della velocità massima è di quelli che non dovrebbe mai apparire sul cruscotto…

Così facendo, Forni ci invita a nozze. Pur non potendo entrare nel merito di certi particolari, vogliamo assolutamente sapere come sarà la guida della Ducati di serie più potente al mondo.

Ad alcuni, infatti, vedendo la Desmosedici RR è venuto in mente il paragone con la Honda NR, anch’essa caratterizzata da soluzioni tecniche super raffinate, ma rivelatasi poi un autentico bluff a livello dinamico.

 
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L’Ingegner Forni e un tecnico del reparto R&D mentre montano il prototipo rapido del forcellone della Desmosedici RR.

Posso garantire che questa moto fa quello che sembra, se mi passate la libertà di sintassi! E’ chiaro che, nell’ambito di questo progetto, le prestazioni rappresentano un aspetto determinante.

Sappiamo che alcune specifiche tecniche, come la presenza dei carter fusi in terra anziché in pressofusione, escludono a priori una produzione su scala più larga rispetto a quella prevista al momento, lasciando così a bocca asciutta quanti speravano che Ducati producesse in seguito anche una versione relativamente più accessibile della Desmosedici stradale. “E’ stata fatta un’analisi economica ed è stato visto che anche producendo un numero superiore di esemplari, ciò non bastava a giustificare gli investimenti necessari per gli stampi di pressofusione. Si tratta, dunque, di una scelta strategica che, senza dubbio, qualche appassionato non condividerà. Sarà invece gradita da quei pochi fortunati che se la potranno permettere, visto che in questo modo entreranno in possesso della sola e unica MotoGP stradale oggi esistente, oltre che di un mezzo di grandissimo valore.

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Rispetto al prototipo presentato al Mugello, lo sviluppo della Desmosedici RR ha interessato principalmente la collocazione dell’impianto di scarico.

Allo stesso modo, molti si chiedono se non sia il caso di travasare l’esperienza acquisita con il quattro cilindri a V progettato in esclusiva per la Desmosedici su qualche altro modello.

In realtà questo travaso di esperienza è già stato fatto, visto che il motore della 1098 impiega i corpi farfallati a sezione ovale che, per la prima volta, sono stati sperimentati proprio sulla Desmosedici da gara. Inoltre, nel Testastretta Evoluzione, il cinematismo della distribuzione ricorda molto il layout utilizzato sulla nostra MotoGP, in particolare per quanto riguarda il corto bilanciere di apertura. Sul fatto, invece, se si intenda utilizzare o meno il motore a 4 cilindri della Desmosedici RR su un altro modello o un’altra famiglia di moto Ducati, la risposta, purtroppo, per il momento è no.

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A sx: Forni ci mostra un pezzo del telaio della Desmosedici stradale. A dx: lo stesso pezzo visualizzato al computer con un programma CAD 3D.

Sempre a proposito di nuovi modelli all’interno della gamma, c’è uno zoccolo duro di appassionati che chiede a gran voce l’erede della Super Sport, moto che tanto successo ha riscosso all’inizio degli anni Novanta. Sembrava, infatti, che la Casa di Borgo Panigale stesse lavorando a un nuovo progetto, ma poi, le priorità legate al rilancio della famiglia Hypersport e altri fattori contingenti ne hanno prima fatto slittare lo sviluppo, poi definitivamente abbandonato.

Forni ci spiega il perché: “Il progetto della nuova Super Sport è stato bloccato nel momento in cui ci siamo accorti che, al giorno d’oggi, non è tanto facile risolvere l’equazione che ha fatto la fortuna di questo modello all’epoca in cui fu presentato, vale a dire quasi vent’anni fa. Ci vorrebbe, insomma, una moto leggera, essenziale, che faccia della maneggevolezza, piuttosto che delle prestazioni pure, il suo punto di forza, e che, oltre a ciò, riesca a comunicare con forza questo potenziale. In pratica, bisogna che una moto di questo tipo risponda a certi requisiti sia nella sostanza che nella forma. Nel nostro caso, nonostante numerosi tentativi, non siamo riusciti a arrivare a un risultato che ci soddisfacesse, o almeno tale da indurci a avviare la produzione del modello. Inoltre, a un certo punto, sono diventati più pressanti altri obiettivi, come appunto la sostituzione del nostro modello di punta di allora, vale a dire la 999… Questo però non significa che ci abbiamo rinunciato, ma solo che quel tentativo aveva imboccato una strada senza uscita. Non posso pertanto escludere, anzi lo spero, che presto torneremo a lavorare in quella direzione, perché una moto del genere fa talmente parte della tradizione Ducati ed è talmente amata dai ducatisti che non possiamo permetterci questa lacuna. Sono fermamente convinto, infatti, che un mezzo con queste caratteristiche si realizzi solo con il bicilindrico Ducati raffreddato a aria.

A questo punto, azzardiamo un parallelo tra la Super Sport e la Hypermotard. Non sarà mai, visto e considerato il grande cambiamento verificatosi all’interno del tessuto motociclistico in Italia e nel resto d’Europa in questi ultimi anni, che l’una possa diventare l’erede dell’altra per gradimento e diffusione?

C’è grandissima attesa per la Hypermotard, visto che si tratta di un prodotto che, in precedenza, non compariva nel listino Ducati e, dunque, è completamente nuovo. Si tratta di due moto molto diverse tra loro, ma è anche vero che le sensazioni che trasmettono sono in parte simili. Per quanto riguarda la definizione tecnica del nuovo modello, direi che il punto chiave sul quale abbiamo lavorato è stato la collocazione del serbatoio, dal momento che la moto era talmente snella ed essenziale, da risultare complesso l’alloggiamento di una quantità dignitosa di benzina. Il problema è stato risolto con un metodo analogo a quanto già fatto sulla Multistrada, ovvero adottando un serbatoio che si estende fin sotto la sella. Al di là di questo, direi che non ci sono state altre difficoltà particolari, visto che il progetto nasce in parte sulla base della Multistrada. Abbiamo soltanto fatto qualche prova di sviluppo per determinare la geometria ideale a livello di avanzamento delle piastre di sterzo e di avancorsa, per ottenere una moto estremamente agile, come dev’essere una supermotard, ma che al tempo stesso conservi una stabilità impeccabile a velocità dell’ordine dei 220 Km/h. Il risultato finale, secondo me, è una moto che mantiene veramente quello che promette: molto performante nel misto e, soprattutto, che si guida con un sforzo irrisorio. In pratica, si è cercato di estremizzare i concetti che hanno dato vita alla Multistrada con una moto ancora più leggera e compatta. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal fatto che la Multistrada consente anche una vocazione turistica, mentre la Hypermotard ha caratteristiche decisamente più sportive.

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Uno dei punti chiave del progetto Hypermotard (di cui vediamo il prototipo) è stato quello di trovare lo spazio necessario per alloggiare il serbatoio del carburante, mantenendo una compattezza generale di assoluto riferimento.

Forni può affermare ciò senza timore di smentita visto che, in sella alla Multistrada, si è reso protagonista di viaggi che hanno il sapore dell’impresa, come quando ha percorso il Coast to Coast negli Stati Uniti ed è andato da Bologna a Mosca e ritorno. Il bello è che l’Ingegnere ha compiuto questi itinerari, non perché rientravano nei collaudi previsti dal piano di sviluppo del modello in questione, ma perché, testuali parole, ama unire “l’utile al dilettevole”…

Alla domanda, poi, sul motivo che lo ha portato a percorrere tutti quei chilometri in sella alla Multistrada piuttosto che con una ST, Forni risponde: “E chi dice che non l’abbia fatto anche con quella?”, dopo di che, rovistando tra le cartelle del suo computer, fa apparire sullo schermo le foto di una “traversata” Canada-Alaska a bordo di una Sport Touring.

Qui siamo nel 2001 – spiega Forni – e la moto utilizzata durante questo viaggio era uno dei primi prototipi ad essere dotato di ABS. Quindi si è trattato in pratica del primo long run, pari a circa 12.000 Km, di questo componente sulla famiglia ST.

Anche adesso che Forni è il Direttore Tecnico Veicolo è interessante notare come ci tenga a essere tra i primi a verificare di persona il comportamento dei veicoli Ducati. Sono suoi, infatti, i primi metri percorsi in sella alla 1098 e alla Desmosedici RR. Sentiamo quali sono state le prime impressioni con la prima.

Mentre per la Hypermotard non ci sono stati particolari problemi, sulla 1098 abbiamo dovuto lavorare molto sull’assetto, sulla posizione di guida e sulla distribuzione dei pesi, in quanto la moto, così come era nata, presentava delle caratteristiche volte a soddisfare delle necessità estetiche, come ad esempio un retrotreno molto alto, che, viceversa, abbiamo dovuto rivedere per ottimizzare il comportamento dinamico. Questo intervento, tra l’altro, ha influito sulla lunghezza dell’interasse, che è 10 mm più lungo rispetto alla 999, proprio perché, rispetto al prototipo, la 1098 è stata notevolmente abbassata dietro e, così facendo, è diventata leggermente più lunga. Anche la posizione di guida è stata rivista rispetto ai primi prototipi, per arrivare a un risultato che secondo me si colloca a metà strada tra la 999, che è unanimemente riconosciuta come una delle sportive più confortevoli, e la 916, che, pur essendo amatissima, ha sempre avuto la tendenza ad affaticare molto i polsi del pilota. La 1098 rappresenta un buon compromesso e, a giudicare dalle opinioni emerse, chi l’ha guidata ha apprezzato questa configurazione.

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Un disegno al computer della 1098. Durante lo sviluppo di questa moto, spiega Forni, c’è stato un grosso lavoro che ha riguardato l’altezza delle sospensioni, in particolar modo quella posteriore, e la posizione di guida, soprattutto in relazione ai manubri.

Adesso che Forni ha meno tempo per provare le moto di persona, comunque, il team dei collaudatori si divide in due: quelli provenienti dai team ufficiali, nel caso della 1098 Vittoriano Guareschi e Niccolò Canepa, e quelli abituati a testare le moto di produzione. La scambio di impressioni avviene dunque in tempo reale e, normalmente, c’è sempre una certa comunione di vedute sulle eventuali modifiche da apportare a un determinato modello. “Il nostro gruppo ha un’anima molto collaborativa e spontaneamente concorde. Di solito, la sensazione del pilota o del collaudatore di moto da competizione coincide con quella del collaudatore delle moto da strada e, quindi, lo sviluppo viene pilotato in una direzione ben definita.

Interessante è sapere come il linguaggio usato tra chi collauda i prototipi non sia mai formale, ma colorito, dialettale, se non addirittura, diciamo così, piccante! “Molti sono rimasti colpiti dalla frase di Guareschi, che commentava il suo test con la Hypermotard con: è una figata! In effetti, la sintesi del giudizio finale è sempre riassunto in una parola a effetto, come quella di Vitto. Tuttavia, durante lo sviluppo utilizziamo un linguaggio più tecnico, anche se si tratta di una sorta di slang diffuso tra i motociclisti, sia amatori che professionisti, e non di un linguaggio strettamente ingegneristico. L’importante è che chi deve tradurre queste sensazioni in fatti parli lo stesso slang e, per fortuna, in Ducati siamo quasi tutti appassionati praticanti e dunque sappiamo interpretare questo dialetto più velocemente che se ci esprimessimo in termini tecnici.

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Forni in sella al prototipo della 996 SPS. L’Ingegnere è solito testare personalmente gli esemplari di preserie per portarne avanti lo sviluppo e più di una volta ci ha concesso di percorrere qualche giro in anteprima.

Torniamo all’industrializzazione e alla 1098. Se uno osserva da vicino quest’ultima e la 916 emergono delle considerazioni spontanee. La 1098 rappresenta, infatti, un prodotto altamente curato, ma comunque inserito nell’ottica del cosiddetto automotive, mentre la seconda, pur palesando i 13 anni che la separano dalla sua erede, mantiene un fascino spiccatamente racing, come se fosse costruita a mano.

La domanda che abbiamo rivolto a Forni è: perché si ha come la sensazione che, al giorno d’oggi, nessuno si possa concedere il lusso di progettare e realizzare una moto con gli stessi criteri utilizzati a suo tempo sulla 916?

Ecco la sua risposta: “Francamente, credo che le differenze tra i due modelli siano semplicemente dovute all’esperienza maturata negli anni dai nostri reparti. Non c’è stata nessuna rivoluzione: se fai una cosa fatta bene è normale che quando la rifai riesci a farla altrettanto bene con minor sforzo. Inoltre, bisogna tenere presente che i limiti temporali per realizzare un nuovo modello sono oggi molto più stretti, tant’è vero che se non esistessero questi limiti, il processo di sviluppo non avrebbe mai fine, perché non esiste una soluzione tecnica talmente perfetta da non poter essere ulteriormente migliorata, dunque si proseguirebbe all’infinito. Per questo c’è una persona che, a un certo punto, dice che il tempo a nostra disposizione è scaduto e bisogna passare alla produzione. Naturalmente, questo avviene in base a delle indagini di mercato che stabiliscono qual è la vita utile di un modello e individuano quando è il momento di sostituirlo. Un’azienda come la nostra deve dunque sapere quando è il momento in cui una moto ha dato, dal punto di vista commerciale, tutto quello che poteva dare e allora deve necessariamente averne pronta un’altra, sviluppata in base all’esperienza precedente, con cui sostituirla.

Abbiamo anche fatto presente a Forni che, con la presentazione della 1098, Ducati ha secondo noi effettuato una geniale operazione di marketing, nel senso che tutti si sono precipitati a valutare quanto fossero migliorate le prestazioni di questo modello rispetto alla 999, senza quasi accorgersi che questo aumento di performance è stato ottenuto anche grazie a un aumento di cilindrata.

Beh, è normale che questo sia successo, dal momento che chi guida la moto ha una percezione diretta dei cavalli, non dei centimetri cubici! Inoltre, ci tengo a sottolineare che l’aumento percentuale della potenza è stato ben superiore a quello della cilindrata, proprio perché oltre alla maggior cubatura è stato portato avanti un grande lavoro a livello termodinamico e fluidodinamico. A questo bisogna anche aggiungere l’opera di alleggerimento che ha interessato tutto il veicolo e si ottiene la grande differenza che c’è nella guida di queste due moto. Del resto, non sono molti i concetti fondamentali per produrre una buona moto sportiva: deve essere potente, leggera, frenare forte e avere delle geometrie di sterzo che le consentano di ottenere un ottimo bilanciamento tra maneggevolezza e stabilità.

A proposito di geometria di sterzo, per la prima volta dopo tanti anni, la supersportiva di Casa Ducati non ha un cannotto regolabile nell’inclinazione, come mai?

Ci siamo dovuti arrendere all’evidenza che, alla fine, quella possibilità veniva sfruttata dall’1% dei clienti, mentre la pagava anche l’altro 99%… Quindi, abbiamo deciso di toglierla, perché si trattava di un valore aggiunto che, di fatto, non veniva percepito come tale. Ad esempio, è stata viceversa molto apprezzata la presenza dell’acquisizione dati di serie sulla versione S e opzionale con una spesa tutto sommato contenuta sulla Base. Un’altra cosa della quale vado particolarmente fiero è che, al momento in cui siamo partiti con il progetto della 1098 ci siamo seduti intorno a un tavolo con la Brembo e abbiamo detto: Signori, noi dobbiamo tornare ad avere la migliore frenata di tutta la produzione mondiale! E così è stato, pertanto non posso far altro che ringraziare…

Come Forni, così tutti i ducatisti che con la 1098 dispongono di una frenata da paura con un solo dito sulla leva…

A parte gli scherzi, certe volte ci si domanda come sia il rapporto, all’interno di un’azienda come Ducati che ha sempre prodotto moto tecnicamente ed esteticamente distintive, tra l’Area Tecnica e i reparti di design e marketing.

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All’interno dell’Area Tecnica vengono progettati, attraverso vari software di calcolo e simulazione, tutti i veicoli di produzione.

E’ un rapporto di vicinanza quotidiana. I designer sono spesso e volentieri nell’ufficio tecnico e, dando un’occhiata ai monitor, osservano la nascita di ogni singolo componente, o almeno di quelli con una valenza estetica. In questo modo, possono intervenire qualora abbiano dei suggerimenti. Uno dei compiti del Direttore Tecnico e del responsabile di ogni singolo progetto è quello di accordare in maniera ragionevole e responsabile le esigenze tecniche e quelle estetiche. Non sempre, magari, queste esigenze sono in antitesi, come si sarebbe portati a pensare. Il piedino della forcella della 1098 ne è un tipico esempio: è molto bello e caratterizza esteticamente tutto l’avantreno, pur avendo un compito prettamente strutturale. Non nego tuttavia che, a volte, qualche conflitto tra l’Area Tecnica e il Centro Design c’è. In questi casi, bisogna cercare di risolverlo con il buon senso e proiettandosi nell’ottica del cliente. Per fortuna, credo di conoscere abbastanza bene cosa si aspettano i motociclisti, visto che frequento il loro ambiente da più di trent’anni… Tutte le volte che porto un prototipo al Passo della Raticosa, parlo di moto che sono già state presentate in anteprima, si forma subito un capannello di persone che esprimono i loro giudizi e mi rivolgono un sacco di domande. Questo è molto importante, perché mi permette di capire che cosa pensano e cosa si aspettano gli appassionati da un marchio come Ducati.

A questo punto, bisognerebbe andare sulle pendici del monte Fuji per vedere se anche gli ingegneri della Honda fanno altrettanto…

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