La 900 Super Sport a coppie coniche è senza dubbio il modello al quale va riconosciuto il merito di aver trasformato l’immagine della Casa di Borgo Panigale in quella attuale, fatta di moto sportive, essenziali, caratterizzate da elevati contenuti prestazionali, secondo la perfetta interpretazione di moto stradale derivata da un mezzo destinato alle competizioni.
Infatti, con la 900 SS, durante gli anni Settanta hanno corso e vinto tantissimi piloti, uno su tutti il grandissimo Mike Hailwood, che regalò alla Ducati il suo primo titolo mondiale vincendo al Tourist Trophy del 1978.
La collaborazione tra la fabbrica bolognese e la NCR, il celebre reparto corse gestito da Giorgio Nepoti e Rino Caracchi dove fu allestita quella stessa moto, ha inizio nel 1972 con un’altra gara entrata di diritto negli annali: la 200 Miglia di Imola.
Già dall’anno successivo, infatti, la piccola scuderia può essere considerata come una sorta di distaccamento racing della stessa Ducati, la quale in quel periodo aveva ben altro a cui pensare a livello di prodotto di serie piuttosto che stare dietro alle corse.
Dall’officina situata in via Signorini a Bologna uscirà un gran numero di special, prototipi e repliche, come appunto quelle derivate dalla 900 SS.
In particolar modo, quest’ultima costituì la base su cui furono allestite gran parte delle Ducati impiegate nelle gare di durata, proprio come quella che vediamo in queste immagini, sia in Italia che fuori.
A caratterizzare l’ambiente della NCR era senza dubbio un’atmosfera nello stesso tempo familiare e professionale: tanta passione e bielle e pistoni lavorati con una precisione certosina.
Caracchi e Nepoti erano soliti riporre grandissima cura nei loro lavori, tanto da diventare il punto di riferimento per tutti i ducatisti desiderosi di migliorare le performance dei loro coppie coniche. Praticamente, tutte le Ducati destinate alle competizioni, passavano dalle loro mani, come questa 900 SS da Endurance, realizzata in piccolissima serie e vincitrice di molte gare per mano di piloti come Vanes Francini, Carlo Perugini e Mauro Ricci: un esempio lampante di quanto il motociclismo debba a NCR.
Partendo dalla ciclistica bisogna subito notare come il telaio sia realizzato dalla bolognese Daspa in tubi al cromo molibdeno. Le principali quote geometriche sono, in questo caso, molto simili a quelle del modello di serie. Il suo peso, però, è di gran lunga inferiore, visto che rispetto alla versione standard pesa ben 7 Kg in meno! Tutta la moto, infatti, ferma l’ago della bilancia a quota 160 Kg, contro i 194 dell’esemplare stradale.
La ruota posteriore è dotata di un ingegnoso sistema di smontaggio rapido: è anche grazie a quest’ultimo che la 900 SS si aggiudicò la categoria Silhouettes alla 24 Ore di Le Mans con i piloti Canellas e Grau.
La coppa dell’olio è maggiorata, arrivando fino a 4 Kg di capacità, mentre la frizione, che sul modello di serie era in bagno d’olio, diventa a secco grazie a un’apposita opera di conversione.
Inoltre, alla NCR vigeva un incredibile gusto per il particolare, come testimoniano le bellissime pedane regolabili in alluminio lavorato e, sempre nello stesso materiale, la staffa che supporta la pinza del freno posteriore, che integra anche il cursore per regolare la tensione della catena di trasmissione, e la corona ricavata dal pieno.
Tra l’altro, le varie versioni che si alternarono negli anni furono allestite introducendo diversi aggiornamenti, come, ad esempio, quello relativo alla collocazione delle pinze dei freni anteriori, che passarono da davanti a dietro gli steli della forcella, degli scarichi, da bassi ad alti, e degli ammortizzatori, che potevano presentare il serbatoio dei gas nella parte superiore o inferiore per favorire il passaggio degli scarichi.
A caratterizzare la parte estetica, poi, troviamo la classica monoscocca in fibra di vetro che ingloba sia la sella che il serbatoio, con quest’ultimo munito della classica porzione non verniciata al fine di poter monitorare il livello del carburante.
Davanti, invece, compaiono due grossi fari della Marchal che avevano il compito di illuminare la pista dopo il calar del sole, cosa che avveniva spesso durante le gare di durata.
L’esemplare fotografato è del 1976 e, a testimonianza del suo effettivo impiego in ambito agonistico, presenta ancora il numero quindici sulle tabelle poste sul cupolino, sopra i fari, e sui fianchi della carenatura.
La livrea è quella classica, rossa e argento, la stessa con la quale NCR firmava le sue realizzazioni, oltre naturalmente a distinguerle attraverso l’adesivo del celebre coyote in corsa, presente in questo caso sul codone.
La forcella è della Marzocchi con foderi in magnesio e della stessa marca sono gli ammortizzatori, mentre i cerchi sono della Campagnolo a cinque razze radiali, nelle misure di 3,00” al posteriore e di 2,50” all’anteriore.
Le pinze dei freni in questo caso non sono le cosiddette serie oro, che venivano utilizzate dai mezzi più competitivi al posto di quelle di serie, nere, che in realtà differivano solo per il colore, per qualche alleggerimento e per il fatto di avere i pistoncini in acciaio anziché in ergal.
Presso l’atelier bolognese venivano sia realizzate moto complete che elaborazioni effettuate sulle moto dei clienti/piloti: del resto gli attacchi del motore erano gli stessi per tutti i modelli di produzione equipaggiati con il bicilindrico a coppie coniche, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo fosse a carter tondi (come in questo caso) o quadri.
Difficile stabilire quanti esemplari siano usciti dall’officina di Caracchi e Nepoti. Volendo fare una stima, tuttavia, si pensa che abbiano prodotto non più di dieci moto “ufficiali”, ovvero realizzate internamente dalla A alla Z, più una cinquantina di versioni “clienti”, costruite a partire da normali Super Sport di serie.
La monoscocca che integrava sella e serbatoio era un’esclusiva NCR e ne sono state fatte tre versioni diverse, due intere e una in due pezzi. Il serbatoio conteneva circa 24 litri e per ovvi motivi legati alle gare di durata era maggiorato rispetto a quello di serie, che ne conteneva 18.
Il fatto stesso di essere realizzata in un solo pezzo permetteva, in caso di danneggiamento, dovuto a un’eventuale caduta, di sostituire rapidamente tutto il pezzo attraverso l’ausilio di semplici ganci.
Se parliamo di prestazioni, una moto come questa può arrivare fino a una potenza di 90 Cv, mentre quelle ufficiali, che godevano del supporto di alcuni componenti sviluppati da Franco Farné all’interno di Ducati, sfioravano i 100.
Un risultato notevole, anche se paragonato alle più recenti evoluzioni del Desmodue a cinghie dentate di pari cilindrata.
Con la collaborazione di Lauro Micozzi
Foto Photoservice Electa – Alessandro Barbanti
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