La Ducati con due ruote motrici

La Ducati con due ruote motrici

Quando Ducati voleva diventare l’Audi a due ruote…

Se ne stava lì, in un angolo della fabbrica, lontana da occhi indiscreti, ignorata dalla maggior parte dei dipendenti che popolano la fabbrica; eppure, quella 998 che avevamo scorto sotto un telo durante una delle nostre ultime visite a Borgo Panigale aveva qualcosa di particolare: il mozzo della ruota anteriore provvisto di insolite tubazioni idrauliche, infatti, tradiva la presenza di un sistema a dir poco anticonvenzionale.

Tutto risale a oltre 10 anni fa, quando in Ducati si è voluto indagare il potenziale di quella che, facendo un parallelo con il mondo auto, avrebbe potuto essere una svolta tecnologica di proporzioni clamorose: la trazione integrale.

Questa opportunità si è presentata grazie alla collaborazione con Öhlins, che, pur essendo famosa nell’ambito delle sospensioni, deteneva già la tecnologia necessaria per ottenere un risultato di questo tipo, dal momento che il suo principio di funzionamento è idraulico.

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 in questa foto si nota una parte del complicato meccanismo che doveva assicurare alla moto una trazione su entrambe le ruote: tale meccanismo, però, non era permanente, ma entrava in funzione solo in caso di perdita di aderenza del pneumatico posteriore.

In pratica, dopo una prima applicazione su una moto da fuoristrada, l’azienda svedese ha proposto a Ducati di applicare lo stesso sistema su un bicilindrico bolognese e la risposta fu positiva.

A interessarsi del progetto, una volta ottenuta l’approvazione da parte dell’allora amministratore delegato Carlo Di Biagio, fu l’Ingegner Andrea Forni, oggi direttore tecnico, che all’epoca ricopriva la carica di responsabile del reparto esperienze: “Furono allestiti due prototipi. Quello che vediamo è rimasto intatto, mentre l’altro, che era di colore giallo, fu disassemblato al termine dei collaudi. L’opera di montaggio fu effettuata da Öhlins, mentre noi ci occupammo di verificare il comportamento delle moto sia su strada che su pista, mettendo in luce gli eventuali vantaggi e svantaggi, ammesso che ve ne fossero. Questo sistema, infatti, prevede che il contributo della ruota anteriore intervenga solo nel caso in cui vi sia una perdita di aderenza da parte di quella posteriore. E’ chiaro che, se dai nostri riscontri fosse emerso che sussistevano i presupposti per mettere in produzione una moto a due ruote motrici, si sarebbe trattato di una svolta epocale, per questo eravamo tutti ansiosi di verificarlo.

Tutto è partito dalla svedese Öhlins che ha fatto una bella proposta a Ducati…

Il fatto che l’Ingegner Forni sia da sempre un sostenitore delle auto a trazione integrale, naturalmente, lo ha fatto aderire a questo progetto con entusiasmo ancora maggiore: “In effetti, è quanto meno curioso rispolverare questa vicenda oggi che Ducati appartiene a un gruppo automobilistico che ha fatto delle quattro ruote motrici la propria bandiera. Tutto ciò conferma che si tratta di un argomento ancora attualissimo, anche se noi lo abbiamo affrontato in tempi non sospetti!”

Il sistema messo a punto dalla Öhlins consiste in una pompa idraulica che prende il moto direttamente dal pignone di trasmissione della 998 (con un’opportuna riduzione) e, tramite appositi condotti, produce una pressione che viene sfruttata da un motore (anch’esso idraulico) inserito nel mozzo della ruota anteriore.

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Il motore e la pompa hanno la stessa cilindrata, – spiega Forni – quindi se la velocità di rotazione della ruota anteriore e della ruota posteriore sono equivalenti, la pompa fa circolare olio all’interno del motore senza generare una pressione all’interno del motore stesso. Naturalmente, questo accade una volta impostati i corretti rapporti di trasmissione. In pratica, si tratta di una trazione integrale permanente, ma la ripartizione della coppia, a differenza di quanto avviene nei sistemi automobilistici con differenziale e ripartitore centrale a ingranaggi, non è costante, ma varia in funzione della differenza di velocità angolare tra il motore idraulico e la pompa, ovvero della differenza di velocità angolare tra la ruota anteriore e la ruota posteriore. Tradotto in parole ancora più semplici, la generazione di coppia motrice applicata alla ruota anteriore si instaura solo quando lo pneumatico posteriore perde aderenza o gira comunque più forte di quello anteriore. Utilizzando un’espressione moderna, potremmo parlare di una sorta di due ruote motrici on-demand!

Un principio di funzionamento che, tra l’altro, i colleghi del reparto esperienze scoprirono a posteriori, visto che le moto provenienti dal colosso svedese arrivarono in fabbrica “a scatola chiusa”. L’aggravio in termini di peso dovuto alla presenza del sistema messo a punto dalla Öhlins si traduce in un surplus di 8 Kg rispetto alla moto standard, olio compreso.

Tra l’altro, l’impianto prevede anche un piccolo radiatore ausiliario per il raffreddamento del lubrificate e furono sempre i tecnici scandinavi a commissionare la realizzazione del cerchio anteriore alla Marchesini e a definire la nuova flangiatura relativa ai dischi dell’impianto frenante.

Un apparato abbastanza semplice, dunque, che almeno sulla carta si sposava perfettamente con la necessità di rendere indipendente la trasmissione rispetto alle funzioni di sospensione e sterzata, oltre a risultare poco “invasivo” a livello estetico: fatta eccezione per i tubi collegati al mozzo e per il piccolo carter in alluminio che copriva il pignone, infatti, tutto il resto rimaneva nascosto sotto la carenatura.

Una volta capito come funzionava, tuttavia, rimaneva da chiarire l’aspetto più importante, quello relativo al comportamento dinamico della moto, che fu seguito personalmente dallo stesso Forni, il quale, come molti sanno, oltre a essere un tecnico di primissimo livello, è anche un ottimo collaudatore: “Effettuai delle prove sia su strada che in pista e, una volta terminate, scrissi dei report. Si trattò di una prima presa di contatto senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento, basata unicamente sul feeling di guida e priva di alcun rilevamento strumentale.

Il Direttore Tecnico della Casa di Borgo Panigale è stato così gentile da metterci a disposizione il materiale che aveva raccolto per l’occasione, del quale riportiamo volentieri alcuni estratti.

La sua prima uscita in sella alla 998 2WD, ad esempio, è datata sabato 19 luglio 2003 e si svolse sul percorso che da Bologna porta al Passo della Raticosa, più 30 Km di Tangenziale e un ultimo trasferimento di andata e ritorno per Monterenzio.

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Un primo piano della pompa idraulica del sistema di trazione integrale.

In quell’occasione, l’Ingegner Forni si esprime così: “Spingendo la moto a motore spento si fa abbastanza fatica, decisamente di più rispetto ad una moto analoga senza 2WD. Ciò può portare alla deduzione che la moto sia molto pesante. In realtà, l’aggravio di peso rispetto a una comune 998, pur essendo inevitabile, non può essere tanto elevato da giustificare la sensazione che si prova spingendo la moto. Se ne deduce che a ‘frenare’ la moto nelle manovre a motore spento deve essere qualche ‘attrito supplementare’, che non può che provenire dalla ruota anteriore. Evidentemente, il sistema 2WD proposto da Öhlins introduce degli attriti aggiuntivi (cosa che sembra anche abbastanza scontata).”

Poi, l’ex capo del Reparto Esperienze prosegue analizzando il comportamento dinamico: “Nelle manovre a bassa velocità si percepisce un leggerissimo indurimento dello sterzo (in pratica, aumenta lo sforzo richiesto per ruotarlo). Ciò può essere dovuto alla rigidezza dei tubi che portano l’olio dalla pompa al motore idraulico. In ogni caso, il fenomeno è talmente leggero da essere assolutamente trascurabile e non penso che possa mai infastidire qualcuno. Inoltre, credo che sia veramente al limite del misurabile, per cui non vale (almeno per ora) la pena di mettersi a fare una verifica strumentale. Per il resto, le manovre a bassa velocità avvengono in maniera del tutto naturale e analoga alla corrispondente moto tradizionale.

Un primo piano della pompa idraulica del sistema di trazione integrale. A destra, l'Ing. Forni, che ringraziamo per la sua disponibilità, è in compagnia di Livio Lodi, responsabile del Museo Ducati.
Il test della moto fu effettuato volutamente non conoscendo le caratteristiche tecniche del sistema adottato, proprio per non influenzarne il giudizio di merito. Tale sistema, a fronte della sua complessità e delle criticità rilevate (non ultimo il suo peso), non fu ritenuto idoneo per una eventuale produzione in serie.

In misura del tutto simile al fenomeno dell’indurimento dello sterzo, si può percepire una minore ‘capacità intrinseca dello sterzo’ ad autoraddrizzarsi lasciando andare le mani dal manubrio a velocità bassissime (al limite della possibilità di procedere). Ricorda, ma molto da lontano, il comportamento di una moto con i cuscinetti del cannotto di sterzo troppo serrati e può essere ancora una volta giustificato dall’azione dei tubi dell’olio che lavorano contro l’azione autoraddrizzante dell’avancorsa: ancora una volta (come sopra), l’entità del fenomeno è assolutamente trascurabile e non disturberà mai nessuno.

Non è percepibile alcuno strisciamento tra ruota anteriore e suolo, anche nelle manovre eseguite ad elevati angoli di sterzatura, indice del fatto che esiste un ‘effetto differenziale’ o che non ce n’è bisogno o, ancora, che a basse velocità la coppia trasmessa all’anteriore è trascurabile.”

In merito alla stabilità ad elevate velocità in rettilineo o nei curvoni veloci, invece, gli appunti di Forni recitano quanto segue: “La presenza della trazione integrale (o supposta tale) non altera minimamente il comportamento della 998 in questo contesto. La moto, a quasi 10 anni dalla sua comparsa sul mercato, quanto a stabilità è ancora da riferimento, e rimane tale anche in versione 2WD.”

Successivamente, l’Ingegnere bolognese prende in esame uno degli aspetti più importanti che intervengono nella guidabilità di una moto, la maneggevolezza: “Il giudizio è difficile da emettere, perché in questo contesto la 998 è chiaramente una generazione indietro, nell’uso prettamente stradale, rispetto alla 999, che in questo momento è il mio riferimento per questo tipo di moto. La maneggevolezza, sulle sequenze di curve e controcurve, è chiaramente inferiore a una qualsiasi 999 (qualunque versione), sia in termini di velocità nell’inversione della traiettoria, sia, ancora più marcatamente, in termini di sforzo richiesto per invertirla, ma quanto questo sia un limite intrinseco del modello 998 e quanto questo fatto sia, al limite, incrementato dalla presenza della doppia (almeno speriamo che lo sia) trazione, può essere chiarito solo eseguendo un confronto a parità di moto e di gomme.” 

Dove viceversa emergono alcune valutazioni oggettive è in merito al comportamento della sospensione anteriore, che a quanto pare risente dei componenti aggiuntivi previsti dalla trazione integrale: “In almeno tre occasioni, in frenata con moto verticale su asfalto (moderatamente) sconnesso, la ruota anteriore ha manifestato dei brevi ma percepibili bloccaggi, riconoscibili in maniera inconfutabile anche dal tipico rumore (stridio) che si manifesta in situazioni del genere, oltre che dalla riduzione istantanea della decelerazione del veicolo. Ciò è accaduto in condizioni di asfalto ideale, con un’ottima gomma anteriore come la Dunlop D 207 RR, con livelli di decelerazione tali per cui ciò non sarebbe dovuto accadere. Ci sono elementi sufficienti per dubitare che la rigidezza dei tubi di collegamento e l’aumento delle masse non sospese sull’asse anteriore possano perturbare il lavoro della sospensione anteriore. Anzi, da un punto di vista teorico, questo è praticamente certo (non potrebbe essere diversamente): si tratta solo di stabilire in maniera più scientifica quanto lo perturbano e se gli eventuali vantaggi compensano tali svantaggi.”

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 Un altro particolare del meccanismo messo a punto dalla Öhlins: all’interno del mozzo anteriore si trova un motore idraulico che viene azionato da una pompa azionata dal pignone.

Allo stesso modo, Forni analizza anche gli effetti che il sistema messo a punto dalla Öhlins producono sul freno motore (sul quale solleva più di un interrogativo), visto che, come dicevamo all’inizio, l’allora capo del Reparto Esperienze aveva deliberatamente testato la moto senza prima analizzarne i principi di funzionamento, in modo da non essere influenzato a livello psicologico: “Non si avverte alcuna riduzione del freno motore. Chiudendo il gas (senza frenare, ovviamente), la decelerazione della moto è congruente con la marcia inserita e il regime a cui avviene la manovra, risultando immediata e dello stesso ordine di grandezza di quella di una moto convenzionale. Si ripropone pertanto l’interrogativo (che per ora, almeno per me, è l’interrogativo principale): la trazione è integrale permanente o diventa tale solo in alcuni casi? E se è integrale permanente, visto che l’energia è fornita al motore idraulico dalla pompa solidale al pignone, e visto che quando, a una certa velocità del veicolo si chiude il gas, il pignone continua a girare pressapoco alla stessa velocità e quindi a fornire la stessa energia al fluido, che cosa è che ‘informa’ il motore idraulico che in quelle condizioni non deve continuare a ‘spingere’?”

Infine, arriva la disquisizione principale, quella che ruota attorno alla vera efficacia di questo progetto e che rappresenta il motivo per il quale è stato concepito: l’accelerazione in uscita di curva.

In questo caso, Forni fa un premessa sui vantaggi che la trazione integrale dovrebbe garantire, prendendo le mosse da un parallelo con il mondo delle quattro ruote: “Le leggi della fisica (e le esperienze derivanti dall’applicazione della trazione integrale in campo automobilistico) suggeriscono che ciò che ci si può aspettare dalla trazione integrale è di potere ripartire la forza di trazione (generata dalla coppia motrice) su due pneumatici anziché uno soltanto (nel caso della moto) e quindi di potere esercitare una forza totale di trazione più elevata, in tutte quelle condizioni in cui un pneumatico soltanto non potrebbe trasmettere tutta la spinta. Ciò può, ovviamente, accadere (qualitativamente) in condizioni di bassa aderenza (bagnato, ecc.) e in piega, quando una parte più o meno grande dell’aderenza fornita dalla gomma è impegnata a contrastare le forze laterali. In altre parole, ciò significa che, se ci si deve aspettare qualcosa, quel qualcosa è di potere accelerare prima, o di più, in uscita di curva. E’ inutile, a mio avviso, cercare altri vantaggi in una moto stradale sportiva, guidando su strada e su asfalto asciutto: non ci possono essere, e direi che il primo ‘assaggio’ conferma (pur con i limiti che scaturiscono dal fatto che si tratta, appunto, di un assaggio) che non ci sono. Resta assai più difficile stabilire se invece ci sono i vantaggi teoricamente possibili, e, soprattutto, se sono percepibili e sfruttabili da chiunque (o almeno da molti). Per verificare questo, l’unica cosa possibile è cercare, all’uscita da ogni curva, di anticipare, rispetto a quanto l’esperienza personale di chi guida suggerisce, l’apertura dell’acceleratore, istante per istante, dalla ‘corda’ della curva (quando tutta l’aderenza è impegnata a contrastare la forza centrifuga) fino al momento in cui si può aprire tutto il gas anche con una moto convenzionale.

Tuttavia, ciò non è né facile né immediato nella guida su strada (e probabilmente anche nella guida in pista, ma in quella su strada lo è ancora di più). Prima di tutto perché, nella guida su strada, il “momento di aprire il gas” non è sempre necessariamente dettato dalle condizioni di aderenza, ma a volte (spesso) dalle condizioni di visibilità. In altre parole, capita (soprattutto nelle curve a destra) di aspettare ad accelerare non perché si è limitati dalle condizioni di aderenza, ma perché non si riesce a vedere ancora come e quando finirà la curva; quindi, in tali situazioni, l’esperimento non si riesce a fare.

L’Ing. Forni, che ringraziamo per la sua disponibilità, è in compagnia di Livio Lodi, responsabile del Museo Ducati.

Poi, anche una volta capito che si può tentare di accelerare prima del solito, bisogna trovare il coraggio di farlo, superando le proprie ‘resistenze mentali’: abituati (ognuno nel suo piccolo) ad associare ad ogni angolo di piega un certo ‘livello’ di apertura dell’acceleratore, bisogna imporsi di cercare un nuovo limite (verosimilmente, in questo caso, significativamente più avanti, se la cosa funziona). Quanto sopra per spiegare che ci si deve arrivare per gradi: non si può ragionevolmente pretendere di salire a bordo, fare due curve e poi bocciare o esaltare la trazione integrale. Non è realistico, così come non è realistico pensare che l’eventuale (se c’è) vantaggio venga, anche dopo un certo periodo di utilizzo, percepito da tutti.

Ci sarà sempre una larga fascia di utenza che non potrà mai, almeno nell’uso stradale, apprezzare veramente i vantaggi della trazione integrale. Tutto questo, ovviamente, se si tratta di una trazione integrale permanente: se invece si tratta di uno di quei sistemi in cui la trazione sull’asse secondario (in questo caso quello anteriore) si instaura solo quando ci sono forti slittamenti di quello primario (in questo caso quello posteriore), ovvero, in pratica, quando la ruota posteriore derapa più o meno fortemente, allora ci vuole veramente Capirossi per riuscire (su asfalto asciutto e su strada) a trasmettere qualche spicciolo di coppia sulla ruota davanti. Nonostante le difficoltà (almeno per me) sopra esposte, i tentativi di anticipare l’apertura dell’acceleratore si sono protratti per tutta una giornata, tentando di raggiungere l’obiettivo di aprire sicuramente prima che con la stessa moto in configurazione tradizionale. Ebbene, non è stato né breve né facile, ma, secondo la mia personale opinione (e il mio feeling) l’obiettivo è stato raggiunto: sono ragionevolmente sicuro che, ad un certo punto della prova, riuscivo ad accelerare con un anticipo che (io) non ero mai riuscito a realizzare prima, con una moto analoga, con gomme pressoché equivalenti, sullo stesso percorso, nelle stesse condizioni di fondo.

Chiaramente non si è trattato (e non poteva essere altrimenti) di differenze abissali, anzi tutt’altro. Le ragioni sono anche abbastanza ovvie: la prova si è svolta nelle condizioni meno favorevoli per esaltare gli (eventuali) vantaggi della doppia trazione.

 L’Ing. Andrea Forni, oltre ad essere il Direttore Tecnico di Ducati, è anche un appassionato motociclista che testa in prima persona tutto ciò che viene o dovrebbe essere prodotto dalla Casa di Borgo Panigale. Il “report” che pubblichiamo in queste pagine, relativo al test della moto dotata del sistema Öhlins, rappresenta quindi una preziosa testimonianza delle metodiche utilizzate all’interno dell’azienda.

In condizioni di asfalto caldo e asciutto, con gomme dall’ottimo rendimento come le Dunlop D 207 RR, si dispone già di una riserva di aderenza sovrabbondante per l’uso prettamente stradale, per cui andare alla ricerca di ‘quel qualcosa in più’ che può essere teoricamente fornito dalla trazione integrale diventa qualcosa che si può tentare di fare solo in qualche curva tra tutte quelle che si incontrano.

In pratica, solo in quelle in cui la visibilità in uscita è abbondante e la velocità di percorrenza è abbastanza bassa (essendo basso anche il rapporto inserito, la coppia alla ruota può effettivamente raggiungere livelli tali da mettere in crisi l’aderenza di un solo pneumatico anche con angoli di piega non esasperati).

Anche in queste curve, la sensazione di potere anticipare l’apertura dell’acceleratore esiste, ma non è certo elevata. Ovviamente, questa sensazione (di cui peraltro sono abbastanza certo) è ben lontana dall’essere la risposta definitiva agli interrogativi sulla reale convenienza del sistema 2WD.”

Si trattava dunque di esplorare il potenziale di una soluzione tecnica inedita, piuttosto che di una mossa strategica per garantirsi eventuali vantaggi dal punto di vista commerciale; un’esperienza tuttavia doverosa per una casa come Ducati, che ha sempre fatto dell’innovazione una delle sue prerogative fondamentali, e per la quale fu pertanto stanziato un budget a sei cifre (in Euro).

A questo punto, però, viene da chiedersi cosa potrebbe succedere se un simile tentativo venisse replicato oggi, alla luce degli enormi passi avanti fatti dalla gestione elettronica in ambito motociclistico, e se, anziché essere applicato a un modello equipaggiato con la forcella telescopica, fosse messo a punto su una ciclistica maggiormente predisposta per un impiego di questo tipo, come ad esempio quella della Bimota Tesi.

Ecco cosa ne pensa Forni in proposito: “Stiamo parlando di un campo che non è mai stato esplorato. Come detto, il progetto brevettato dalla Öhlins metteva in luce dei vantaggi marginali, perché non si trattava di un sistema a due ruote motrici permanenti, ma di una moto sulla quale la ruota anteriore diventa motrice solo quando quella posteriore inizia a slittare. Viceversa, altri tipi di applicazione, laddove le funzioni di sterzata e sospensione siano già disgiunte, come appunto nel caso della Bimota Tesi, lascerebbero spazio a soluzioni non più idrauliche, ma meccaniche, e quindi a una trazione integrale permanente, seppur a fronte di una complicazione costruttiva notevole. In questo caso, infatti, andrebbe realizzato un differenziale autobloccante a controllo elettronico come quello che equipaggia alcune automobili, solo che la dinamica della motocicletta è estremamente diversa, perché ha più gradi di libertà, e dunque non sarebbe sufficiente un semplice travaso di tecnologia, ma andrebbe sviluppato qualcosa di specifico, con esiti tutt’altro che scontati.

Per il momento, dunque, questa 998 2WD rimane svincolata da ulteriori sviluppi, ma se non altro va ad arricchire il patrimonio del Museo Ducati ad opera del suo curatore Livio Lodi, cui va un doveroso ringraziamento per averci messo a disposizione la moto e un plauso per averne prevista l’esposizione cogliendo la concomitanza con i venti anni dalla nascita della 916, la meravigliosa “creatura” di Massimo Tamburini.

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