La Ducati Scrambler di Lucio Dalla

La Ducati Scrambler di Lucio Dalla

Alla sua Ducati Scrambler 250 Lucio Dalla era affezionato, e la volle anche per un servizio fotografico insieme a Valentino Rossi, pubblicato da Sorrisi e Canzoni nel 2009.

Giorgio Nepoti, la prima lettera della Scuderia NCR (Nepoti-Caracchi-Racing), era a mollo nella vasca. Toc toc: la porta del bagno si aprì, entrò Lucio Dalla e, come se niente fosse, si mise seduto davanti a Giorgione insaponato: doveva parlargli di qualcosa a proposito della sua Ducati Scrambler.

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Surreale? Lo pensò anche il figlio di Giorgio, Maurizio, che allora era bambino e oggi lo racconta. Surreale solo per chi non ha mai saputo della vita a due ruote del grande Lucio, grande e bizzarro.
Più motociclista simpatizzante che motociclista appassionato; vero è però che di strada in sella ne ha fatta parecchia, soprattutto negli anni in cui ancora doveva affermarsi.
La maggior parte l’ha fatta seduto sopra selle Ducati, come avrebbe potuto essere diversamente?
Luisa Melotti, una delle sue cugine, aveva sposato Rino Caracchi, la seconda lettera della sigla NCR, e nell’officina di via Signorini si mangiava pane e Ducati.
Di più: con ogni probabilità fu proprio assieme a Giorgio e Rino che Dalla acquistò la moto della sua vita, la prima e l’unica a cui sia stato realmente legato: la famosa Scrambler 250 prima versione, nata rosso e argento e successivamente trasformata nella livrea attuale.

La moto era nata rosso/argento, ma il serbatoio venne fatto riverniciare dal papà di Giorgio Nepoti; la mamma disegnò le stelline (foto Fabio Grandi).

Il papà di Giorgione era noto come “Papà Gambalunga”, disc-jockey di Radio Sanluchino, e nel tempo libero verniciava serbatoi e parafanghi; la mamma dopo il lavoro ordinario arrotondava, faceva i filetti per le Italjet e dipinse anche le stelline sul serbatoio di Dalla.


Andrea Faccani, che dell’artista era l’uomo di fiducia ed era sempre al suo fianco, conferma: “Secondo me andò in Ducati con Rino e Giorgione e gliela fecero avere direttamente. Credo me lo avesse raccontato proprio Rino”.
Tobia Righi, suo manager storico, aggiunge: “È molto probabile che per comperare la moto si sia rivolto a loro, perché non è mai andato da nessun altro meccanico. Ma c’è un altro motivo per cui credo proprio che ci fosse di mezzo Rino: allora non avevamo una lira!”.


Gli anni della miseria li chiama lui, e parla con cognizione di causa perché li ha vissuti fino in fondo. Sembra tutto scontato oggi, ma i primi tempi di Lucio Dalla furono duri. Che fosse bravo nessuno lo metteva in dubbio, ma sfondare è un’altra cosa.

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Dalla amava la sua Scrambler anche perché era l’unica moto con cui riusciva ad arrivare a terra agevolmente. Nella foto Tobia Righi (alla guida) e Andrea Faccani erano le persone più vicine all’artista, l’uno manager e l’altro uomo di fiducia.

Adesso tutti dicono: «È stato un grande», ma ha fatto la sua gavetta. Non è che non fossimo capaci di guadagnarli, era incassare che era dura. Tanto dura che nel periodo della miseria, quando avevamo una serata, ci mettevamo d’accordo: prima andavo a ritirare i soldi, poi comparivo nella sala e ci scambiavamo un cenno. Lui mi vedeva e solo in quel momento cominciava a cantare: «Il cieeelo...». E io tiravo il respiro: «Avàn tirè i baiúc anch ‘stasira», abbiamo preso i soldi anche questa sera!”.


Tobia arrivò che la Scrambler era già lì, comprata un po’ per il piacere di guidarla e un po’ per la necessità di spostarsi spendendo poco. Sapeva fin dall’inizio che la situazione economica non sarebbe stata rosea.
Lucio la comprò quando ancora aveva come manager Avoni, credo abbia fatto concludere a lui l’operazione. Poi ebbe come manager Baldazzi. Io ero amico di Pupi Avati, lui era direttore della Findus surgelati e quando gli venne l’idea di fare il regista mi chiese di aiutarlo occupandomi dell’organizzazione per un paio di film. In attesa del terzo che doveva cominciare io ero a casa, andai a mangiare in una trattoria e comparve Dalla. Avati gli aveva parlato di me. Senza tanti preamboli mi disse: «Ho bisogno di un manager». Risposi: «Non l’ho mai fatto». E lui: «Ho fiducia in te. L’unica cosa che ti dico, così ci puoi riflettere, è che non ho una lira». Gli dissi: «Decido questa notte». Accettai. Definimmo l’accordo e ho lavorato con lui 46 anni”.


Il cantante bolognese abitava con la mamma, che aveva una sartoria nella centralissima Piazza Cavour: Tobia la conosceva e andò subito a raccontarle la bella novità. Non fu un successo.
Chi sei tu?”, lo affrontò la signora Iole, inferocita.
M’ha chiamato suo figlio…”.
Cosa vuoi fare, il manager? Tu?”.
A volte aveva la mano pesante.
Mandalo ben a lavorare quello lì! Che studi!”. Era furibonda.
In qualche modo Tobia riuscì a guadagnare la porta e scendere i due piani di scale che conducevano alla tranquillità della piazza, davanti alle vetrine di Borsari e Sarti, allora tempio della musica felsinea. Sulla soglia c’era uno dei due soci: “Senta, ho saputo che lei sta diventando manager di Dalla”.
Speriamo!”.
Ci sarebbe il noleggio del pianoforte da pagare”.
Questo fu il debutto di Tobia – è la chiosa – Pagai senza aver prima preso una lira!”.


Qualcosa di simile deve essere successo anche alla NCR.
Può darsi che all’inizio mio padre e Giorgione lo abbiano sponsorizzato, facendogli credito – svela Stefano Caracchi, ex pilota e team manager – Giorgione aveva un gran cuore e per Lucio Dalla impazziva. Mio padre era più per Gianni Morandi, ma Giorgione secondo me qualche volta non lo ha nemmeno fatto pagare”.
Su quella Scrambler, la NCR lavorò parecchio per adattarla al suo proprietario, grande d’animo, ma non di statura.

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Dalla era legatissimo alla NCR: la mamma di Stefano Caracchi, e moglie di Rino, era sua cugina. A volte Stefano (in foto) andava a prendere la moto per la manutenzione e gliela riportava.

Lucio faticava ad arrivare a terra e Rino gliela abbassò: ammortizzatori più corti, infatti sul cavalletto la ruota posteriore rimase più alta da terra, e una forcella diversa dall’originale; era stata assottigliata anche la sella, che ora però è tornata normale dopo il restauro operato da Rino.

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La moto non era così perfetta e luccicante, ma Rino Caracchi che l’aveva in custodia la restaurò completamente. Ammortizzatori più corti e una sella più bassa (che forse non era questa) caratterizzano la moto di Dalla. Il cantante l’aveva fatta modificare per ridurne l’altezza da terra.

Lucio aveva lasciato la moto da lui e lì è rimasta dopo la scomparsa del suo proprietario e dei due titolari della NCR. Stefano ha ancora il libretto originale, intestato a Lucio Dalla, residente (allora) in Piazza Cavour 2, Bologna, e nato in quel fatidico 4 marzo 1943 che è anche il titolo di una sua famosissima canzone.
Per chi ha buona memoria, quella che rischiò di venire bocciata a Sanremo mettendo Lucio in forte crisi.


Questa canzone all’epoca, nel 1971, non passò per il testo: «Mentre bestemmio e bevo vino, per i ladri e le puttane mi chiamo Gesù Bambino» – ricorda Tobia – Per Sanremo non andava bene. Finito. Lucio non stava bene da nessuna parte, voleva smettere per la delusione. Ma arrivò una telefonata dalla Casa discografica: «Ci sono buone possibilità che Lucio vada a Sanremo. Però bisogna cambiare il testo». Lucio dunque cambiò il testo e anche il titolo, che in origine era «Gesù Bambino», mentre il testo diventò: «Mentre gioco a carte e bevo vino per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino» e venne accettata a Sanremo. Tutti i giornali ne parlarono: «Finalmente conosciamo la canzone-scandalo» dandoci una pubblicità incredibile. Il primo posto andò a Nicola Di Bari con «La prima cosa bella», secondi i Ricchi e Poveri con «Che sarà» e terzo Lucio. Ma con «4 marzo 1943» rimase a lungo in testa alle classifiche”.


A quella Scrambler 250 Lucio era molto affezionato, al punto che se la portò sul set fotografico di un famoso servizio con Valentino Rossi, pubblicato su Sorrisi e Canzoni TV numero 29 del 2009. Nella sua casa-museo nel centro storico di Bologna teneva appesa una fotografia di quel giorno, però è quasi un miracolo che la moto sia arrivata fin qui.


Il racconto è di Andrea: “Gliel’avevano rubata. Lucio l’aveva lasciata sotto casa e quando tornò giù non c’era più. Allora fece mettere un annuncio su «Il Resto del Carlino», il giornale di Bologna, e il ladro gliela riportò. Suonò e gli disse: «Guardi, io sono quello che ha rubato la sua moto». Lucio gli offrì una ricompensa, ma questo rispose: «No no, basta che non mi denunci». Ci aveva ripensato quando aveva visto che era la moto di Dalla!”.


L’artista ne ebbe anche altre e di diverse marche: i costruttori ci tengono che i personaggi famosi si facciano vedere in giro con le loro moto. Ma la Scrambler fu sempre la sua preferita: la guidava andando a spasso, qualche volta ci andò al mare.


Il massimo che gli ho visto fare è alzarsi in piedi sulle pedane – è ancora Faccani a parlare – Con la Porsche spingeva sull’acceleratore, però era distratto, rispondeva al telefono e le altre auto gli suonavano perché stava in mezzo all’autostrada a ottanta all’ora. Ma con la moto era prudente. Gli avevano regalato anche una Ducati Senna: lui la guardò, le fece una carezza, ma non la volle, perché quella era una moto cattiva. La dettero poi a Nelson Piquet”.


Con la Ducati c’era un rapporto privilegiato, grazie anche all’amicizia stretta da Tobia con Gianfranco Castiglioni, amministratore delegato del Gruppo Cagiva.
Oltre alla Scrambler Rino Caracchi conservava anche un’Indiana 350 intestata a Lucio Dalla: “Sì, ma preferiva sempre la Scrambler – puntualizza Andrea – L’Indiana 350 la prestava agli amici. L’aveva fatta abbassare e finché era solo andava bene, ma se caricava un’altra persona il parafango toccava”.

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Il grande cantante bolognese aveva anche questa Ducati Indiana, che però usava solo ogni tanto (foto Michele Morisetti). Sotto: il libretto di circolazione riporta il nome del primo proprietario: Lucio Dalla, nato a Bologna il 4 marzo 1943, data che è anche il titolo di una sua famosa canzone.

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Come quella volta che Dalla andò a vedere Andrea che giocava a pallone nella Fortitudo. Arrivarono sull’Indiana lui e Giacomo Campiotti, il regista di Braccialetti Rossi.
Lucio non la guidava volentieri, era alto così! Campiotti invece era uno e novanta, quindi guidava lui. Ma arrivando fecero un gran volo per terra e Lucio finì a ruzzoloni!“.

Questo articolo ha un commento

  1. Roberto

    Sempre bello ricordare IO LO CHIAMO UN GENIO QUESTO UOMO (CHE HO AVUTO LA FORTUNA DI CONOSCERE NEGLI ANNI 70 GRAZIE ALL’AMICO VALERIO PINOTTI PURTROPPO DECEDUTO POCHI GIORNI FA , )poteva fare qualsiasi cosa da poeta a attore scrittore ecc ecc ecc UN VERO GENIO RIMPIANTO DA TUTTI MA SOPRATUTTO DA CHI COME ME HA AVUTO LA FORTUNA DI CONOSCERLO LO VOGLI RIPETERE E MENTRE SCRIVO QUESTO HO IL NODO ALLA GOLA CARO LUCIO NON TI DIMENTICHEREMO MAI SEI STATO UNICO E RIMARRAI UNICO 🙏🙏🙏🙏😢😢😢

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