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Ducati Monster: un progetto di successo
E’ proprio il Monster il modello Ducati di maggior successo di tutti i tempi: nato inizialmente sotto le sembianze di una rude supersportiva spogliata di ogni orpello, negli anni è stato declinato in una serie sconfinata di versioni, dai paciosi ed essenziali 400, fulcro del mercato giapponese, fino alle incredibili ed eccessive versioni “Testastretta”. Da 40 a 130 e più cavalli, dunque, questa motocicletta è rimasta pressoché immutata per circa 15 anni: un vero record se si pensa alla vita media di un qualsiasi modello al giorno d’oggi. Merito delle linee essenziali e senza tempo, del grosso e gibboso serbatoio o dell’evocativo faro tondo? Chi lo sa.
Come narra la leggenda, fu un operaio bolognese a coniarne l’indovinato nome che, a dispetto di quanto si pensi, non è di radice inglese, bensì emiliana: “Ma l’è proprio un monster!”
Nulla di più indicato da pronunciare alla vista del primo grezzo prototipo del 1992. Il designer Miguel Galluzzi ebbe vita facile nel creare una moto priva del non-necessario e altrettanta sagacia nel tracciare i contorni di quel fantastico serbatoio che rappresenta tuttora il nodo essenziale della linea del Monster (tant’è vero che negli anni ne sono state mantenute le linee pressoché invariate e mai nessun preparatore si è sognato di stravolgerne radicalmente i volumi).
Il Monster 900
L’idea iniziale, in un periodo in cui l’ideale di moto nuda era un po’ in declino, era quella di proporre una vera sportiva Ducati senza alcuna sovrastruttura, ma ugualmente piena di carattere: ciò imponeva l’uso del “Pompone” per eccellenza: il 904 cc Desmodue, allora al top della gamma raffreddata ad aria e leader incontrastato della fortunata gamma Super Sport.
Tuttavia, il telaio a cintura alta della SS, una volta privato della carenatura, non era particolarmente bello da vedere e avrebbe inoltre appesantito eccessivamente la parte posteriore della moto. Il risultato sarebbe stato ben diverso se, come base di partenza, si fosse adoperato il telaio a traliccio discendente della serie 851-888, decisamente più snello e grintoso nelle forme.
Dal punto di vista ciclistico vi era, però, la non trascurabile differenza della presenza, su quest’ultima struttura, dell’articolazione progressiva della sospensione, molto più accattivante sotto il profilo estetico, nonchè efficace per quanto concerne il rendimento delle sospensioni.
Dunque motore, telaio e ciclistica (comprensiva di ruote con piccoli adattamenti) vennero mutuati in toto da modelli preesistenti, mentre i nuovi componenti furono studiati ai limiti dell’essenzialità: dalla strumentazione, curiosamente priva di contagiri, ai supporti pedana, ricavati in un’unica fusione che lasciava libera la linea del retrotreno, fino al gruppo portatarga, che venne applicato a sbalzo, secondo una soluzione che avrebbe fatto scuola fino ai giorni nostri.
I primi due anni di vita del Monster servirono a far carburare il nuovo modello nel cuore degli appassionati, ma fu da subito chiaro quanto fosse alto il potenziale della moto stessa, arrivando a colpire l’immaginario dei non ducatisti e dei non motociclisti.
1994: arriva il Monster 600
Il modello di riferimento, nella cilindrata di 904 cc, fu affiancato nel 1994 dalla sorellina di 600 cc, caratterizzata dalla colorazione gialla ed equipaggiata con il collaudatissimo propulsore di 583 cc, di stretta derivazione Pantah.
Per contenere il prezzo d’acquisto, il 600 presentava alcune semplificazioni, a partire dal singolo disco anteriore da 320 mm, al forcellone in acciaio invece che che in alluminio, alla forcella Marzocchi senza regolazioni e al cambio a 5 rapporti. Spariva pure ogni traccia di fibra di carbonio, sostituita da semplice plastica nera, così come non erano più previsti i paracalore sulle marmitte.
A scapito dell’estetica, ma a tutto vantaggio della maneggevolezza, la misura del cerchio posteriore era ridotta di un pollice rispetto al 5,5” del 900, con un pneumatico da 160/60-17.
Tra le modifiche più importanti (estese poi anche al 900) ce n’era una tanto banale quanto indispensabile: la smussatura dei silenziatori nella parte più vicina al suolo. Nei primi esemplari, infatti, le elevate possibilità di piega portavano spesso a limare il sistema di scarico sull’asfalto, che in casi estremi provocò anche qualche scivolata ai più audaci pionieri del “monsterismo”.
Nel 1995, i cerchi neri e il telaio grigio delle prime versioni vennero sostituiti dall’evocativa colorazione oro che caratterizzava le altre Ducati del periodo e, soprattutto, la neonata e affascinante 916 di Tamburini.
Ducati Monster 750: è il 1996
Il 1996 vide invece l’arrivo della terza declinazione del Monster Desmodue: il 750. Rimasto per lungo tempo il modello meno apprezzato della serie, il sette e mezzo montava lo stesso propulsore della serie Super Sport, ma una dotazione equivalente a quella del 600: anche qui, dunque, troviamo il singolo disco all’anteriore, la forcella non regolabile, il forcellone in acciaio, niente carbonio e il cerchio posteriore da 4,5”. Il colore associato a questa motorizzazione fu un bellissimo grigio metallizzato che, successivamente, fu proposto anche nelle altre cilindrate.
Nel 1997 tutti i modelli subirono solo piccole modifiche, eccezion fatta per il 900 che, colpevole forse di essere troppo riottoso nell’erogazione della coppia, fu reso più trattabile e fluido specie ai bassi regimi con un’insolita opera di depotenziamento.
Tra gli appassionati, il 900 del 1997 è universalmente ricordato come il primo “valvole piccole”: infatti, su tale versione furono installati gli stessi alberi a camme e le stesse valvole del 750, ma di tipo bimetallico (41 mm all’aspirazione e 35 mm allo scarico, contro 43 mm e 38 mm del 904 standard).
I carburatori furono modificati nella taratura e dotati del riscaldamento delle vaschette tramite una derivazione del circuito di lubrificazione.
Per la prima volta su un Monster di serie faceva poi la sua comparsa il cupolino, per la verità un po’ goffo rispetto alle forme della moto, ma utile per differenziare a colpo d’occhio la versione di maggiore cilindrata.
Il 1998 fu l’anno della prima vera svolta nell’universo del Monster, una tappa fondamentale nell’evoluzione di questo modello e di tutta la produzione Ducati, grazie all’uscita definitiva dall’universo Cagiva e all’inizio dell’era controllata dalla TPG.
Le modifiche estetiche riguardarono solo alcuni dettagli, come i loghi sulla carrozzeria e le fusioni del propulsore, mentre quelle tecniche furono sostanziali, con i pistoni e cilindri che inglobavano le canalizzazioni di ritorno dell’olio, fino ad allora costituite da tubazioni esterne in treccia aeronautica.
Il 900 Base fu ancor più impoverito, mantenendo lo stesso motore depotenziato del modello del 1997 ed eliminando tutte le parti in carbonio, come sulle versioni di minore cilindrata. La forcella Marzocchi fu sostituita da una Showa da 41 mm impiegata sulla Super Sport, costituendo in pratica l’unico pregio della versione Base del 1998 rispetto alle sue progenitrici.
Parliamo di versione Base perché nello stesso anno fu riproposto il motore a “valvole grandi” sul modello Special, identificato dalla sigla M900 S.
In pratica, si trattava del Monster standard di qualche anno prima, arricchito però dalla forcella Showa da 41 mm, dai dischi anteriori Brembo flottanti con pista in ghisa, dalla pinza posteriore flottante con asta di reazione vincolata al carter e da una profusione di particolari in fibra di carbonio, parafanghi inclusi.
Una versione speciale del 900, proposta sempre nel 1998, fu la Cromo, caratterizzata dal serbatoio in acciaio cromato con loghi in rilievo. Il motore era un “valvole piccole”, ma la moto era arricchita dai cerchi colorati di nero e da tutti i particolari immaginabili in fibra di carbonio (coprisella incluso).
L’evento da segnare sul calendario del 1998, tuttavia, fu senz’altro la nascita di una serie di Monster che avrebbe contribuito in misura inestimabile alla diffusione del modello.
Il Monster Dark
Parliamo del Monster Dark, inizialmente proposto solo nella variante di 600 cc. Caratterizzato dalla colorazione in nero opaco e dalla scelta tra svariate colorazioni per il telaio (nero, grigio, bronzo, rosso e giallo), il Dark si proponeva come un modello di ingresso, semplificato al massimo nella componentistica e negli allestimenti, nonché pronto per la personalizzazione.
Come anche per il 750, il propulsore fu modificato profondamente abbandonando il look del Pantah, fortemente caratterizzato dal carter frizione a goccia e dai coperchi delle cinghie di distribuzione in lega leggera, per assomigliare al 900, con l’unica differenza, a colpo d’occhio, della presenza della frizione a bagno d’olio, con comando spostato a sinistra e attuatore esterno.
Nello stesso anno, il 750 fu nobilitato dall’impianto frenante del 900, dotato di doppio disco anteriore da 320 mm e pompa standard da 16 mm.
Il Ducati Monster City
Nel 1999, invece, vi fu un’insolita esplosione di modelli, con l’introduzione della versione City, realizzata con l’intento di rendere più comoda la moto per un utilizzo utilitario e quindi attrarre ulteriore clientela. La City era dotata di manubrio più alto, finalizzato a una posizione di guida meno caricata, di un efficiente cupolino trasparente piuttosto esteso, di una sella più comoda anche per l’eventuale passeggero, nonché di due borse laterali semirigide della Mandarina Duck.
Per il resto non cambiava nulla, trattandosi di una 900 Base “depotenziata”, arricchita tra l’altro con colorazioni più eleganti come il blu metallizzato.
La versione City fu proposta pure nelle cilindrate di 600 e 750 cc e fu affiancata anche dalla City Dark, leggermente più economica e colorata nel consueto nero opaco.
Il successo della versione Dark nel 1998 fu tale che, nel 1999, furono proposte le varianti di 900 e 750 cc, leggermente più economiche dei rispettivi modelli base, ma proposte unicamente con telaio e carrozzeria neri, colorazione che, di lì a poco, sarebbe divenuta lo standard anche per i 600.
Ducati Monster 900 S
Il M900 S del 1999 è, ad oggi, uno dei modelli più ricercati e senza ombra di dubbio il miglior 904 a carburatori mai costruito. Rispetto a quello dell’anno precedente, infatti, era dotato perfino di ammortizzatore di sterzo e monoammortizzatore Öhlins.
Nuova linea del Monster firmata Terblanche
Il 2000 rappresenta un anno memorabile per il Monster, che affrontò un restyling, pur moderato, ad opera del controverso Pierre Terblanche: vennero modificati soprattutto il portatarga e il tegolino posteriore, dalle forme più arrotondate; variavano poi gli indicatori di direzione, più grandi e sporgenti e, anteriormente, non più fissati alla piastra superiore di sterzo ma ai supporti del faro. Così, il Monster perdeva un po’ quell’aria da bisonte che lo aveva sempre caratterizzato, anche in seguito alla modifica delle forme del serbatoio (lievemente più piccolo e sagomato lateralmente in modo migliore), e della sella (imbottita meglio e non più inclinata in avanti).
Modifiche marginali anche per il parafango anteriore e per i silenziatori, mentre la variazione sostanziale fu data dall’adozione dello stesso propulsore della coeva SS 900 ie, alimentato a iniezione elettronica e dotato di “valvole grandi” su tutta la gamma.
La fasatura era notevolmente più spinta rispetto ai vecchi 904 e il sistema di lubrificazione era ulteriormente potenziato, aumentando le capacità di raffreddamento del lubrificante con diversi passaggi e getti d’olio sul cielo dei pistoni, unitamente a un nuovo radiatore di maggiori dimensioni.
I carburatori Mikuni da 38 mm a depressione furono sostituiti da una coppia di corpi farfallati da 45 mm equipaggiati con un singolo iniettore, mentre il cambio del 900 fu rimpiazzato da quello della 748, dotato di rapporti ravvicinati a voler meglio valorizzare le doti di accelerazione del Mostro.
Il telaio rimaneva quello delle vecchie versioni, ma l’avantreno era aggiornato da una forcella Showa da 43 mm, dotata di perno ruota cavo e maggiorato, nonché di cerchi più leggeri, sempre a tre razze volventi.
A partire dal 2000, al posteriore venne universalmente adottato un non eccellente monoammortizzatore Sachs-Boge, eccezion fatta ovviamente per il Monster Special, che manteneva l’ottimo Öhlins del 1999. Peraltro, a livello di motore questa versione non presentava più alcuna superiorità, il che limitava le differenze all’equipaggiamento, valorizzato ad esempio dal forcellone in alluminio, ma senza più i performanti dischi flottanti in ghisa. La posizione di guida, oltre che dal nuovo gruppo sella-serbatoio, fu migliorata da un manubrio appena più rialzato, mentre la dotazione era arricchita da un cupolino assai più gradevole e meno ingombrante del precedente nonché, finalmente, da una nuova strumentazione equipaggiata di contagiri.
Le sorelle piccole mutuarono gran parte degli aggiornamenti appena visti, sebbene i propulsori mantenessero l’alimentazione a carburatori, per l’occasione dotati di sistema di riscaldamento elettrico e termostatizzato. Unica modifica di rilievo fu l’adozione sul 600 e sul 750 di una nuova forcella Showa non regolabile, ma aggiornata anch’essa con il perno ruota cavo.
Molti dei modelli City e City-Dark furono venduti solo per essere riconvertiti a standard dai concessionari stessi, per cui nel 2000 tale versione fu del tutto soppressa, mentre rimase in vendita la richiestissima variante Dark, anch’essa aggiornata e ovviamente dotata di iniezione elettronica nella versione di 900 cc.
Solo per il 600 e il 750 fu introdotta una speciale versione Metallic, caratterizzata dalla verniciatura metallescente in tinte fuori serie. Il 2001 fu un anno caratterizzato da pochi e marginali aggiornamenti: l’unico rilevante è da individuarsi in un nuovo supporto per la pinza del freno posteriore. Quest’ultima, che sul Monster era sempre stata fonte di vibrazioni e rumori, fu riposizionata al di sopra del forcellone.
Cambiava anche il radiatore del lubrificante insieme a una serie di aggiornamenti minori nel propulsore. Quello stesso anno, il 600 e il 750 mutuarono la strumentazione del 900, meglio equipaggiata e completa di contagiri.
2001: Ducati presenta il Monster S4
Facendo seguito a quanto già effettuato da molti preparatori artigianali, nel 2001 la Casa di Borgo Panigale si decise a fare il grande passo: presentando il primo Monster a 4 valvole della storia.
Proposta come una Superbike priva delle sovrastrutture, in realtà la moto era una ST4 trasformata in Monster. Il propulsore, infatti, era il Desmoquattro di 916 cc progettato per la Sport Touring e dotato di teste lato scarico a profilo ribassato per limitare gli ingombri ed avanzare il propulsore nel telaio. Quest’ultimo ricalcava le forme di quello della ST4, apparentemente molto simile al consueto traliccio discendente, ma realizzato con tubi di sezione maggiorata e dotato di nuovi leveraggi progressivi per la sospensione posteriore, secondo lo schema già visto sulla 916, con asta di reazione regolabile invece dell’archetto in stile 851.
Arricchito da nuovi e più leggeri cerchi a cinque razze, l’S4 si distingueva anche per l’assenza del classico manubrio a corna di bue, sostituito da due semimanubri realizzati per fusione. Proposto anche nell’intrigante versione Fogarty Replica, l’S4 divenne il nuovo punto di riferimento per il settore naked con i suoi 100 Cv di potenza rispetto agli 80 scarsi del 900 a iniezione. Il secondo giro di boa per la famiglia Monster arrivò nel 2002, con il nuovo telaio di derivazione S4 esteso a tutta la gamma. Ciò permise l’adozione di un nuovo airbox e la ricollocazione di alcuni accessori, oltre al diverso posizionamento (più alto) del propulsore.
La maneggevolezza e la resa dinamica del Monster ne beneficiarono enormemente, mentre le versioni 2 valvole del 900 proposte al pubblico furono nello stesso anno limitate al 900 ie Base (che però, di fatto, sostituiva il 900 S, ormai privo di significato dato l’arrivo della versione a quattro valvole, ufficialmente denominata M900 S4) e al 900 ie Dark, ormai un vero e proprio bestseller.
Il Monster 620 i.e.
La gamma del 2002 fu, se possibile, ancora più rivoluzionaria, con l’arrivo della motorizzazione di 620 cc, di fatto un 750 depotenziato con cilindri di minore alesaggio e alimentato a iniezione elettronica.
Proposto nelle varianti Base ed S, il 620 offriva prestazioni piuttosto elevate, in linea con quelle del 750, che di fatto garantiva unicamente maggiore coppia ai regimi più bassi: ciò grazie a una fasatura piuttosto spinta, a valvole maggiorate (41 mm all’aspirazione e 35 mm allo scarico) e alla nuova e più evoluta centralina di controllo del motore, la piccola e potente Marelli 5.9.
La versione S proponeva il forcellone in alluminio, alcuni particolari in fibra di carbonio, l’asta di reazione regolabile al retrotreno, una sella più alta e il cupolino già visto sul 900.
L’impianto frenante era finalmente a doppio disco da 320 mm anche sulla cilindrata più piccola, mentre la versione Dark del 2002 rimase identica a quella dell’anno precedente e cioè di 600 cc con alimentazione a carburatori. Il 750 guadagnò invece l’iniezione elettronica, ma si trattava del canto del cigno per questa storica cilindrata: infatti, l’arrivo del 620 aveva praticamente reso inutile la presenza di questo modello nel listino.
Addio Monster 900, benvenuto 1000 DS
Ci furono grosse novità anche nel 2003: oltre al 750 scomparve anche il mitico propulsore di 904 cc, sostituito dall’eccellente 1000 DS, un motore completamente nuovo, dotato di doppia accensione, valvole più grandi (45 mm all’aspirazione e 40 mm allo scarico) e tutta una serie di modifiche e aggiornamenti alla fluidodinamica e alla meccanica interna.
La disponibilità di modelli ricalcava essenzialmente quanto presente a listino nell’anno precedente: Monster 1000 Dark, Monster 1000 Special (con forcellone in alluminio, cupolino e particolari in carbonio), oltre a un insolito ed evocativo ritorno, il 1000 Cromo in serie limitata.
Fa la sua comparsa anche il nuovo Monster 800 che, in realtà, più che come un sostituto del 750, si propone come un’alternativa al 1000: le prestazioni del nuovo propulsore, infatti, sono equivalenti a quelle del vecchio 900, anche grazie al nuovo cambio a 6 rapporti (5 sul 750).
La versione Special, come di consueto, propone alcune migliorie come il forcellone in alluminio e il consueto piccolo cupolino. Alla base della gamma, il 620 viene finalmente proposto anche in versione Dark e quest’ultima anche nella variante SD (“single disk”), per contenere ulteriormente il prezzo. Nella famiglia delle Dark (tutte le cilindrate) fa poi ingresso la variante con colorazione argento opaco, che affiancherà per alcuni anni quella classica in nero.
Ducati Monster S4R
Nel 2004, il capofamiglia fu sostituito da un modello destinato a costituire il terzo importante caposaldo nell’evoluzione del Monster.
Arriva cioè il M1000 S4R, per gli appassionati solo S4R. Il propulsore era quello della ST4, cioè il 996 cc con teste ribassate, leggermente depotenziato (113 Cv) e dotato di un nuovo impianto di scarico che avrebbe contraddistinto la futura estetica del Monster.
I silenziatori singoli su ciascun lato vennero infatti sostituiti da un doppio silenziatore di piccole dimensioni posto sul fianco destro, laddove faceva bella mostra di sé la ruota posteriore a sbalzo supportata da un bellissimo forcellone monobraccio in traliccio di tubi tondi d’alluminio.
La dotazione era impreziosita dalla forcella Showa con trattamento al TiN degli steli e da una serie di leziosità, tra cui l’abbondanza di particolari in fibra di carbonio. Il 1000 DS non subì cambiamenti se non nella proposta dei modelli: spariva infatti il Dark per lasciare spazio al modello Base, in pratica un Dark verniciato.
Anche l’800 nel 2004 venne prodotto nella sola variante Base. Nello stesso anno, poi, il 620 ricevette alcune importanti migliorie, date principalmente dall’adozione dell’eccezionale frizione APTC ad asservimento di coppia e con funzione antisaltellamento, accoppiata allo stesso cambio a 6 rapporti già presente sull’800.
Il 620 divenne così un modello veramente valido, anche se il prezzo di vendita rimaneva superiore a quello delle più dirette concorrenti.
Venne così proposta la variante Dark SD, sempre di 620 cc e a iniezione elettronica, ma priva della frizione APTC e con cambio a 5 rapporti (il Dark normale manteneva invece l’equipaggiamento del modello Base).
Vennero anche presentate nello stesso periodo due versioni speciali del 620: la Matrix e la Capirex, una sorta di replica del pilota della Desmosedici.
Il Monster S2R
Nel 2005, l’unica novità di rilievo fu l’arrivo del Monster S2R: l’800 usciva, infatti, definitivamente di scena e la stessa motorizzazione venne quindi installata nella struttura dell’S4R, con monobraccio posteriore e doppio silenziatore laterale.
Per l’occasione venne anche montata la frizione APTC già presente sul 620, mentre fu semplificata la sospensione anteriore con una forcella Marzocchi da 43 mm.
L’impianto frenante venne curiosamente ridotto a due dischi da 300 mm con pinze flottanti a due pistoncini mortificate dalla colorazione nera.
La resa era comunque buona, ma l’efficienza del classico doppio disco da 320 mm con pinze dorate a 4 pistoncini contrapposti rimaneva comunque superiore. L’S2R fu proposto anche in versione Dark: la semplificazione era ridotta alla sola colorazione e al montaggio di un manubrio tradizionale invece di quello a sezione variabile delle versioni standard. Il cerchio posteriore, su tutti gli S2R, era lo stesso dell’S4R da 5,5”, con un pneumatico da ben 180/55-17.
La serie di 620 cc non ricevette sostanziali interventi, ma subì una certa involuzione nell’impianto frenante, di fatto lo stesso dell’S2R. Curiosamente, la versione SD mantenne il disco da 320 mm e la pinza a 4 pistoni differenziati.
Il Monster 400
Nello stesso periodo fu inoltre tentato un esperimento: da sempre presente per il mercato giapponese, venne introdotto, in serie limitata e a prezzo particolarmente competitivo sul mercato italiano, il Monster 400.
L’allestimento era quello del 620 Base, il cambio era a 6 rapporti e la potenza di circa 40 cavalli, mentre i dischi freno erano quelli classici da 320 mm, abbinati a pinze serie oro.
Lo scarso successo dell’operazione e la poca differenza di prezzo rispetto alla versione Dark di maggiore cilindrata confinarono il M400 italiano nell’universo delle meteore motociclistiche.
Ducati Monster S4RS: arriva il Testastretta
Nel 2006 il top di gamma fu rivoluzionato dall’arrivo del motore Testastretta: il Monster S4RS.
Oltre al propulsore da 998 cc e 130 Cv di potenza massima, esso offriva tutta una serie di migliorie, tra cui i nuovi e leggerissimi cerchi a 5 razze sdoppiate, la forcella Öhlins a steli rovesciati da 43 mm con trattamento TiN, il monoammortizzatore Öhlins completamente regolabile con serbatoio “piggyback” e l’impianto frenante con dischi da 320 mm e pinze radiali a 4 pistoncini e 4 pastiglie.
L’eccellenza del Monster era così raggiunta: il Desmoquattro di 996 cc sarebbe rimasto in produzione per tutto l’anno, per essere gradatamente sostituito dall’S4R con propulsore di 998 cc e dotazione analoga al predecessore, dunque semplificata rispetto alla versione S4RS. Come se non bastasse, il 1000 DS usciva di scena per essere sostituito dall’S2R 1000, pressoché analogo al modello di 800 cc, ma dotato di forcella Showa regolabile e dischi anteriori da 320 con pinze a 4 pistoncini. L’unica variante a listino ancora fedele alle forme originali rimase così il 620, nelle declinazioni Base e Dark.
Monster 695
Tuttavia, in primavera, arrivò a sorpresa il Monster 695: con l’adozione della linea elettrica CAN sparirono dal telaio a traliccio cablaggi e fascette, mentre il propulsore di cilindrata aumentata guadagnò ben 10 Cv, raggiungendo prestazioni sostanzialmente equivalenti a quelle del primo 900 raffreddato ad aria (anche se la coppia rimaneva giocoforza assai inferiore). Proposto in due varianti di colore (nera e rossa), entrambe con traliccio rosso, il 695, destinato a sostituire il 620 e del quale manteneva grossomodo la dotazione, sarebbe stato a breve affiancato dalla variante Dark.
Siamo quindi arrivati al 2007: ormai dei vecchi propulsori Desmodue e Desmoquattro rimane solo il ricordo. La base di gamma è il potente e affidabile 695, destinato a passare alla storia come l’ultimo Monster con ciclistica tradizionale, mentre chi desidera qualcosa di più può scegliere tra l’S2R di 1000 o 800 cc, quest’ultimo ancora eventualmente proposto (al pari del 695) nell’allestimento Dark. Al top di gamma rimangono l’Monster S4RS e, per i più esigenti, l’S4RS Tricolore, caratterizzato da una colorazione ispirata alla bandiera italiana e da una dotazione ancora più ricca rispetto al modello standard. Alla fine del 2007, dunque, sembra chiudersi un ciclo con l’arrivo del Monster 696, la prima vera e propria rivoluzione formale da qui a 15 anni. Il futuro di questo modello, infatti, è ancora tutto da scrivere.
La seconda parte dell’articolo è stata integrata dalla redazione di cuoredesmo.com.
Monster 696
Nel 2008 Ducati decide di dare nuova linfa a un prodotto che, dopo 15 anni dall’uscita, non aveva subito modifiche sostanziali nella linea e soffriva la concorrenza delle altre case nel settore delle naked.
Con il Monster 696 Ducati cercava di centrare due risultati difficili: svecchiare il design della moto senza privarla dell’identità Monster e proporre un mezzo ancora più facile e maneggevole, ma con un occhio alle prestazioni. Un lavoro non semplice.
Simbolo di questo lavoro fu senz’altro il serbatoio che nascondeva diverse soluzioni tecniche e ospitava le famose cover intercambiabili.
Per quanto riguarda la ciclistica, la struttura in tubi in acciaio si combinò con un telaietto posteriore in lega d’alluminio. Ad impreziosire le sospensioni, ecco una forcella Showa da 43 millimetri, e un mono Sachs regolabile.
Altre novità interessarono il forcellone e le piastre di sterzo.
La 696 introdusse proiettore a tripla parabola al posto del classico faro, nuovi specchietti retrovisori, e un impianto di scarico rivisto nelle dimensioni e nel collocamento.
La strumentazione digitale è retroilluminata e multifunzione.
Il Monster 696 offriva 80 CV di potenza massima (il 10% in più rispetto al 695) e la frizione APTC, con funzione antisaltellamento.
Monster 1100
La sorella maggiore del 696 è il Monster 1100. Le due moto si assomigliano molto, ma non sono gemelle. A livello di prestazioni la differenza c’è, in termini di potenza con 95 Cv contro gli 80 del 696 e di coppia, con 10,5 Kgm a 6000 giri per il 1100, contro i 7 Kgm a 7750 giri per la sorellina.
Tra i due Monster c’è poi una sostanziale differenza a livello di assetto, dovuta sia all’impostazione delle sospensioni, che alla differente gommatura.
Il 1100 monta poi il forcellone monobraccio, che ne caratterizza nettamente la parte posteriore. La forcella è Showa a steli rovesciati da 43 mm completamente regolabile e l’ammortizzatore Sachs regolabile nel precarico della molla e nel freno idraulico. La versione S monta Öhlins completamente regolabili.
Rispetto al 696, il 1100 paga l’assenza della frizione APTC di serie e i normali chili in più dovuti alla diversa massa muscolare.
Monster 796
Il 796 si colloca tra il 696 e il 1100, cercando di prendere il meglio dei due modelli. Ha il forcellone monobraccio del modello da oltre un litro di cilindrata, la frizione APTC come il 696.
Sul fronte meccanico, il motore a due valvole raffreddato ad aria eroga 87 Cv a 8250 giri, con una coppia massima di 8 Kgm a 6250 giri (1 Kgm in più rispetto al Monster 696). A differenza del Monster di piccola cilindrata, il 796 prevede anche la presenza del radiatore dell’olio.
L’impianto frenante è Brembo, con due dischi anteriori da 320 mm abbinati a pinze radiali con quattro pistoncini e un disco posteriore da 245 mm con pinza a due pistoncini. L’ABS è optional.
Una moto equilibrata che propone un ottimo rapporto coppia/peso, ma che presta il fianco alle critiche per quanto riguarda la forcella (Showa con steli da 43 mm non regolabile), tendenzialmente troppo rigida. Il mono è un Sachs regolabile nel precarico molla e nel freno idraulico in estensione.
Monster 1100 Evo
Il bicilindrico a due valvole con raffreddamento ad aria montato sul Monster 1100 Evo è il più potente mai installato su una Ducati di serie per l’epoca, con 100 Cv a 7500 giri (5 in più rispetto alla precedente versione) e 10,6 Kgm di coppia a 5750 giri.
L’idea alla base del modello del 2011, che completa la famiglia insieme al 696 e al 796, è l’esaltazione della sportività.
Rispetto al modello precedente, il Desmodue 1100 Evo presenta una sola candela per cilindro, nell’ottica di una semplificazione del motore. Nuovi i pistoni e il volano, più leggero, derivato da quello della 848.
La frizione è in bagno d’olio, e con funzione antisaltellamento.
Il nuovo impianto di scarico ha un layout di tipo 2 in 1 in 2, con i collettori e il doppio terminale sul lato destro e si differenzia dalle sorelle minori, tornando al look aggressivo del monster S2R e S4R.
Sul fronte sospensioni, la forcella è una Marzocchi da 43 mm completamente regolabile, l’ammortizzatore è il solito Sachs regolabile soltanto in estensione e precarico molla.
L’impianto frenante era composto da una coppia di dischi anteriori da 320 mm, con pinze a quattro pistoncini e attacco radiale, e da un disco posteriore da 245 mm. L’Abs Brembo-Bosch è di serie e faceva parte del Ducati Safety Pack, nel quale era compreso il controllo di trazione regolabile su quattro livelli.
Monster 1200
É il 2014. Col nuovo Monster 1200 Ducati cerca di riavvicinarsi alle linee dello storico e glorioso modello, pur facendo i conti con scelte tecniche vincolanti. La prima è il motore: il Testastretta 11° DS da 1.198 cm³, 135 Cv e 126,2 Nm di coppia non è certo pulito come il primo 900 cc. La seconda è il telaio, che sfrutta il propulsore come elemento stressato, ed è ormai da tempo lontano dal classico traliccio.
Le proporzioni comunque vengono riviste e il M1200 ha ora dimensioni più compatte, un look più sportivo e una linea più filante, grazie anche al serbatoio che perde le cover e riguadagna il classico gancio che richiama la prima versione di Galluzzi.
La coda della moto è supportata da un telaio in acciaio che serve da sostegno anche alle pedane del passeggero, finalmente svincolate da quelle del pilota. Sotto troviamo ancora il forcellone monobraccio, dal nuovo design più compatto.
La frizione è a bagno d’olio con funzione antisaltellamento, lo scarico è del tipo 2-1-2.
Per quanto riguarda le sospensioni, la forcella è una Kayaba da 43 mm, il mono un Sachs regolabile solo in precarico ed estensione. La versione S prevede sospensioni interamente Öhlins, completamente regolabili.
La strumentazione è TFT a colori e dispone di un display con tre diverse modalità di schermata che consentono di personalizzare la visualizzazione dei dati.
Monster 821
Dopo il lancio della versione di 1200 cc, la nuova famiglia Monster doveva ampliare il target di potenziali clienti con una moto leggera, compatta e con prestazioni accessibili. Ecco il Monster 821, che parla ad un pubblico meno estremo in termini di performance, ma mantiene le caratteristiche stilistiche (a parte il forcellone).
Rispetto al Monster 1200, l’interasse è stata “accorciata” di 3 cm, per un totale di 1480 mm e lo pneumatico posteriore è di 180/60 contro il 190/55 della sorella maggiore.
La moto è quindi più maneggevole e meno impegnativa, anche se resta brillante: il testastretta sviluppa infatti una potenza massima di 112 Cv a 9250 giri, mentre la coppia è pari a 9,1 Kgm a 7750 giri.
Per la ciclistica, la novità più importante è il forcellone bi-braccio realizzato in fusione di alluminio. L’ammortizzatore Sachs è regolabile nel precarico molla e nel freno idraulico in estensione, mentre la forcella è a steli rovesciati da 43 mm priva di regolazioni.
L’impianto frenante è composto da due dischi anteriori da 320 mm con pinze Brembo monoblocco a 4 pistoncini dotate di attacco radiale e da un disco posteriore da 245 mm con pinza flottante a due pistoncini, mentre i cerchi a 10 razze hanno un design simile a quello della Panigale.
L’impianto di scarico di tipo 2 in 1 con silenziatore sdoppiato, ha un taglio diverso rispetto a quello del Monster di maggior cilindrata, mentre la frizione è la già collaudata APTC multidisco in bagno d’olio dotata di dispositivo antisaltellamento.
La strumentazione prevede un display LCD, al posto del cruscotto TFT a colori del 1200.
Monster 797
Il Monster 797 è un richiamo alle origini, come dimostrano il serbatoio, il telaio a traliccio, oltre ovviamente al bicilindrico raffreddato ad aria.
Sul Monster 797, il telaio torna a essere realizzato in un unico pezzo, dal cannotto fino alla coda, incluse le tradizionali maniglie per il passeggero in tubo. La sospensione posteriore vede un ammortizzatore Sachs regolabile nel precarico molla e in estensione posto sul lato sinistro della moto collegato senza leveraggio progressivo a telaio e forcellone. Le ruote, a dieci razze, sono in lega leggera.
Il motore che equipaggia il nuovo Monster 797, caratterizzato da misure caratteristiche di 88 x 66 mm, deriva essenzialmente da quello del 796, anche se sono stati effettuati dei miglioramenti per rendere ancora più dolce l’accelerazione e per ampliare la curva di coppia.
Rispetto al motore del Monster 796, che erogava 87 cv, quello del 797 è stato costretto a sacrificare qualcosa in termini di potenza massima per rientrare nell’omologazione Euro 4, tant’è che sviluppa 75 cv a 8250 giri. Anche la coppia è diminuita, passando da 78 Nm a 69 Nm a 5750 giri.
Il Monster 797 viene fornito privo di aiuti elettronici come il controllo della trazione, i Riding Mode, sistemi anti-impennata o cose simili e l’unico dispositivo che supporta i comandi del pilota è l’ABS Bosch.
Il 797 è molto comodo da guidare, ha le pedane più basse e in avanti rispetto al Monster 821, oltre a un manubrio dalla differente impugnatura (più alta e arretrata), che conferisce al pilota una posizione del busto quasi perfettamente eretta.
La forcella Kayaba non regolabile con steli rovesciati da 43 mm ha un settaggio piuttosto rigido, ma offre comunque un buon feedback di ciò che accade sotto la ruota anteriore, mentre l’ammortizzatore Sachs regolabile in precarico della molla e in estensione ha una risposta talvolta troppo aspra, specialmente su una serie di buche in successione o sulle increspature del manto stradale.
Per i più esigenti c’è anche il Monster 797 Plus, che comprende anche coprisella e cupolino.
Monster MY21, il “Nuovo Monster”
Il Monster perde le sue linee identificative, il telaio a traliccio e alimenta le polemiche già accese per l’abbandono del Desmo sulla Multistrada V4. Il nuovo Monster è effettivamente una moto che taglia i ponti con il passato, ma propone soluzioni tecniche di alto livello e un rapporto qualità/prezzo che forse non si era mai visto in Ducati.
Le caratteristiche principali di questa moto sono il telaio Front Frame in alluminio derivato dalla Panigale V4, il Testastretta da 111 CV e una dotazione elettronica al top.
Le scelte effettuate sulla ciclistica hanno determinato una riduzione di peso di 18 Kg rispetto al Monster 821.
Leggi la prova del Nuovo Monster 2021
Foto Archivio Mondo Ducati – Ducati
SBK a Jerez: avanti tutta!
A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.
Spirito Libero: Eleonora e il Monster 695
Dicono che le donne scelgono il Monster perché è molto semplice da usare. Per quanto mi riguarda è stata più una questione di innamoramento.
Ci siamo dimenticati del Monster 821 MY2018? Peccato.