La Ducati Supermono nacque da un’idea di Massimo Bordi che pensò di sfruttare il cilindro orizzontale del bicilindrico Desmoquattro per creare un motore con il quale, ne era convinto, allestire tutta una gamma di moto.
Oggi, noi ammiriamo la Supermono per le qualità intrinseche del suo motore, per la sua bellissima linea, per la sua storia sportiva e per la sua rarità (ne sono stati prodotti solo 67 esemplari), ma da un punto di vista commerciale rappresentò senz’altro un grosso insuccesso.
Possiamo quindi capire il fermo parere contrario della direzione della Cagiva, proprietaria al tempo di Ducati, allo sviluppo del progetto, ma l’Ing. Bordi alla fine la ebbe vinta.
La sua idea del resto era chiara: sfruttare il grande richiamo delle gare “Sound of Singles”, dove la Supermono era chiamata a competere, per poi sfruttarne commercialmente il successo: praticamente la stessa ricetta del Desmoquattro!
Queste infatti le dichiarazioni rilasciate da Bordi al giornalista Alan Cathcart nei primi anni Novanta in occasione della presentazione del prototipo, allora contrassegnato in azienda come Progetto 502: “La Supermono sarà dotata di iniezione elettronica e carenatura integrale – affermò Bordi – oltre a una componentistica di altissimo livello, e verrà offerta, al pari dell’851, in versione stradale e pistaiola, grazie a un kit di potenziamento. In seguito, toccherà alla Mono Sport, caratterizzata da una semicarenatura e dall’alimentazione a carburatori o ad iniezione elettronica a seconda dei costi produttivi. L’ultima versione della gamma 502 sarà la mono Strada, una naked dalla linea classica”.
La storia, come ormai bene sappiamo, prese tutt’altra direzione, ma noi siamo comunque grati all’Ing. Bordi che riuscì a concretizzare le sue intenzioni, perché così è potuta nascere una moto unica nel suo genere sotto molti punti di vista.
Così la Supermono fu presentata per la prima volta al pubblico in occasione del Salone di Colonia del 1992, incantando gli appassionati con le sue forme armoniose.
Ma ora, a noi interessa soprattutto approfondire il discorso del suo propulsore, di conseguenza ci concentriamo sulla sua evoluzione: da un punto di vista motoristico, Bordi vide nella Supermono l’opportunità di sfruttare quanto era stato fatto per l’evoluzione delle Ducati 851 e 888, quindi testata a quattro valvole, raffreddamento a liquido e iniezione elettronica.
Ci sono quindi ragioni di natura tecnica dietro la scelta di derivare il mono dal bicilindrico: un motore a quattro tempi deve gran parte delle sue prestazioni ai gruppi termici, perciò ha avuto senso usare quelli dell’851, dal momento che Ducati investì ben 5 anni per svilupparli, con i risultati che tutti sappiamo.
Particolare, poi, la declinazione tecnica di questa considerazione: invece di eliminare il cilindro orizzontale del Desmoquattro, cosa che avrebbe facilitato il contenimento dell’interasse, il progetto si concretizzò nel togliere il cilindro verticale, così da avere un bilanciamento dei pesi in favore della ruota anteriore.
Da un punto di vista progettuale, l’idea si sviluppò dapprima con l’idea di usare il cilindro posteriore come contralbero di bilanciamento, dove agisse una biella accorciata con un contrappeso fissato alla sua estremità allo scopo di ottenere la stessa regolarità di funzionamento del bicilindrico a V di 90°: idea presto abbandonata per costi, rumore e scarsa efficienza. Bordi risolse il problema dell’abbattimento delle vibrazioni attraverso un ingegnoso sistema con la biella (più corta di quella originale) del cilindro “cieco” che agiva su una bielletta di bilanciamento fissata direttamente sulla parte superiore del carter.
Il sistema a doppia bielletta rappresentò una soluzione molto soddisfacente, sia in termini tecnici che commerciali, in quanto Ducati fu la prima a impiegarla e perché consentiva di ridurre i costi di produzione. L’efficacia di questo sistema era talmente valida da consentire al propulsore di raggiungere gli 11.000 giri di rotazione senza nessun problema di affidabilità: un risultato notevole per un monocilindrico a quattro tempi di circa 500 cc, per giunta desmodromico.
Inoltre, comparato con un motore con uno o più alberi di bilanciamento, il Supermono era più compatto, non avendo bisogno di catene o ingranaggi supplementari e il bilanciamento del motore risultava migliore.
Tutto questo, però, non bastò a far sì che la Supermono uscisse dalla ristretta cerchia degli appassionati delle gare del “Sound of Singles” e quindi, come detto, fu prodotto in pochissimi esemplari senza che mai ne fosse realizzata una versione stradale. Come mai successe questo?
In proposito, anni fa, Claudio Domenicali, al tempo direttore generale prodotto e capo di Ducati Corse, ci dichiarò che: “Ai monocilindrici manca qualcosa. Vibrano troppo e non trasmettono quel brivido di adrenalina quando si spalanca il gas”.
Parere quanto mai autorevole, tenuto conto come il suo primo impiego all’interno della fabbrica di Borgo Panigale, una volta terminati gli studi universitari, fosse stato proprio quello di project leader e ingegnere di pista della Supermono. Certo, un vero peccato che non si sia avverato il progetto iniziale di Bordi, perché sicuramente sarebbero stati molti i ducatisti lieti di possedere e guidare un mezzo del genere su strada. Molti, ma molto probabilmente non sufficienti per ammortizzare i costi di industrializzazione di un mezzo così specialistico.
Foto di Enrico Schiavi