Luciano Garagnani ha fatto parte del gruppo di piloti ufficiali Ducati che nel dopoguerra ha portato ai massimi livelli le moto progettate dall’ingegner Taglioni. Come molti suoi colleghi ha iniziato a gareggiare nonostante il parere negativo dei genitori perché la passione per i motori era incontenibile.
Nato a San Giovanni in Persiceto il primo agosto del 1938 si è trovato subito a contatto con moto di grande qualità.
Il padre, che di professione era macellaio, aveva infatti una Moto Guzzi con sidecar che fu poi sostituita da una BSA sempre con la carrozzina.
Il giovane Luciano era affascinato da queste moto e cominciò un lungo lavoro ai fianchi dei genitori, ricordando loro ogni giorno che era disposto a studiare con impegno, ma con lo stesso impegno sognava una sua moto. A 13 anni arrivò il tanto sospirato regalo, una NSU 98 cc 4 tempi, a cui fece seguito una Mondial 200 sport con cui sperava di debuttare anche in gara.
Ma i genitori erano risoluti e si rifiutavano di firmare l’autorizzazione indispensabile per ottenere la licenza FIM perché aveva meno di 18 anni.
“Non c’erano alternative – ammette Garagnani – dovevo superare l’ostacolo burocratico a ogni costo perché nel frattempo mi si era presentata anche l’occasione imperdibile di provare una moto da gara. Il “Moretto”, un tecnico Mondial con cui avevo ottimi rapporti, mi fece inserire tra le decine di ragazzi che dovevano provare sul circuito di Modena. Ero felicissimo, ma i risultati non furono all’altezza delle aspettative. Non avevo mai guidato una moto in assetto gara, ero abituato con la mia che non aveva il manubrio e i comandi così particolari, finii a terra e addio sogni di gloria. Nella caduta mi feci escoriazioni molto evidenti a mani, polsi e braccia perché non avevo i guanti. Non sapevo come giustificarle a casa, ma alla fine trovai una spiegazione accettabile e il caso si chiuse velocemente”.
Debutto solo rimandato?
“Ero decisissimo a riprovare, ma era indispensabile avere la licenza e con un colpo di fortuna ci riuscii. Trovai un amico, molto più anziano di me, disposto ad accompagnarmi ed a presentarsi come genitore fornendo anche la carta d’identità di mio padre che ero riuscito a sottrargli per qualche ora mentre era impegnato in negozio. Ci presentammo per il tesseramento con buone speranze perché sapevo che il dirigente del Moto Club portava occhiali con lenti grossissime e spesso non faceva troppa attenzione alle fotografie dei documenti. L’idea funzionò perché il dirigente non si accorse che la foto non era molto somigliante al falso padre che mi accompagnava e ottenni la tanto sospirata licenza”.
Una pensata geniale?
“Fino ad un certo punto. Quando arrivò la licenza un addetto del Moto Club Ruggeri si presentò a casa per consegnarla mentre io non c’ero e parlò con mia madre che andò su tutte le furie. Ho dovuto impegnarmi al massimo per placare le acque e ovviamente per un po’ di tempo non si è neppure parlato di debuttare in gara. Dopo la prova di Modena, nonostante la caduta, il “Moretto” mi avrebbe fatto correre ma, sia per la reazione di mia madre, sia perché avevo le braccia molto rovinate, questa chance andò in fumo”.
In che modo riuscisti poi a gareggiare?
“Avevo la massima determinazione, continuavo a frequentare l’ambiente e mantenevo ottimi rapporti con tutti i piloti e i meccanici di Bologna. Decisi di accettare l’opportunità che mi offrì Tartarini, che aveva la concessionaria Ducati a porta Mazzini. Poldino aveva di fatto una sua scuderia e aggiornava le moto da gara nell’officina di suo padre. Nella scuderia Tartarini c’erano piloti di valore come Accorsi, Falavena e Benedetti, tutti equipaggiati con Ducati 125 monoalbero. Nel gruppo entrai anch’io ed ebbi subito ottime possibilità. In una gara a Modena ero in testa, ma mi dovetti accontentare del secondo posto perché, causa l’eccessivo riscaldamento, il motore all’improvviso perse 700 giri. Stesso discorso a Cesenatico alla Temporada Romagnola e nuova delusione perché ero a pochi chilometri dalla vittoria. Dopo queste due gare fortunatamente trovammo la causa del riscaldamento e iniziai a vincere”.
La prima vittoria?
“Nel 1957, sempre a Cesenatico, con una Ducati preparata nell’officina di Tartarini che non mi ha tradito prima della bandiera a scacchi. In carriera, purtroppo, mi sono sfuggite molte vittorie, proprio nel finale di gara, a causa di inconvenienti che si potevano sicuramente evitare. Una delle più cocenti delusioni l’ho provata con la Ducati 250 a causa del filo della batteria che si staccò per le vibrazioni a un giro dal termine. Era stato montato male, senza fargli fare la torsione che lo rendeva più elastico”.
I contatti ufficiali con la Ducati?
“Con Taglioni ero in grande sintonia e per questo motivo a inizio anni Sessanta diventai ufficiale Ducati, inizialmente come collaudatore. Mi chiamarono per provare sulla pista di Modena oltre 300 Ducati 250 che dovevano essere spedite all’importatore Berliner negli Stati Uniti. Ogni giorno ne scaricavano un camion intero e io giravo senza sosta da mattina a sera per portarle al meglio. Altra sede di prova era il rettilineo da Borgo Panigale a San Giovanni, che conoscevo benissimo. Taglioni mi affidò anche lo sviluppo della 250 che feci debuttare. Come tecnico avevo Librenti, che era molto bravo e con cui ho lavorato bene”.
Il palmares di Garagnani
Il palmares di Garagnani è ricco di successi anche di livello internazionale
E’ giunto primo nel 1960 nella classe 125 sul circuito di Cesenatico, nella Fasano-Selva, in una batteria del trofeo Ghirlandina a Modena, nel trofeo del Presidente a Monza, e sul Circuito di Siracusa con una 175. Nel 1961 è stato primo di classe 125 a Misano, nella Bologna-San Luca e sul Circuito di Caserta.
Nel 1962, sempre nella 125, ha vinto la Bologna-San Luca, il Circuito di Modena come Cadetto con una 175 monoalbero Ducati ufficiale, il Circuito Terra di Lavoro a Napoli con una 125 S ed è stato primo di classe 125 anche al Circuito di Caserta.
Nel 1966 in coppia con Franco Farnè ha vinto la Sei Ore di Imola nella classe 350 cc. Sempre nel 1966 è giunto primo nelle 125 sul circuito di Santa Maria Capua Vetere.
Si è aggiudicato anche il circuito di Pergusa in sella ad una 175 battendo Pernigotti e Brambilla. E’ stato tra i protagonisti anche nella Mototemporada Romagnola sui circuiti di Cesenatico, Milano Marittima, Riccione e Rimini negli anni 60.
Avendo la licenza internazionale, insieme ad un nutrito gruppo di piloti italiani, ha corso spesso anche in Jugoslavia e Romania ottenendo molti primi posti.
La carriera agonistica di Garagnani si è svolta quasi tutta in sella a moto Ducati, sia come pilota ufficiale di Borgo Panigale, ma anche della scuderia Tartarini e della Farnè-Stanzano.
La Farnè-Stanzano si trasformò poi nella Speedy Gonzales che proseguì nell’opera di preparazione delle Ducati per le gare.
Ma non hai corso solo con Ducati.
“In quegli anni si poteva correre con marche diverse, a seconda della cilindrata. Io ero con Ducati nelle 125 e con Morini (insieme ad Agostini) nelle 175. Avevo una attività intensa in circuito e nelle cronoscalate che mi hanno dato grandi soddisfazioni. Vincevo spesso, ma non mi piacevano perché erano molto pericolose”.
Ducati la marca più amata?
“Senza dubbio. Con la Ducati mi sono tolto grossissime soddisfazioni, anche all’estero. In Romania, con Farnè abbiamo vinto tutte e cinque le gare della giornata. Lui arrivò primo nelle 125 con me secondo, poi le altre quattro prove (175, 250, 350 e 500) le ho vinte tutte io”.
Molte gare, molti successi, ma mai grandi disponibilità economiche
“Anche piloti molto più affermati di me dovevano sempre fare i conti per riuscire a coprire le spese delle trasferte. Mi è capitato anche un caso incredibile. Dovevo correre a Siracusa con una Morini ufficiale che però fu data a un pilota di Piacenza. Per consolarmi andai a giocare a poker nel bar davanti alla Morini. Mentre giocavo mi telefona Farnè che mi chiede se voglio andare a Siracusa e correre col suo muletto Ducati 175. Col poker ho vinto un sacco di soldi e subito sono partito per la trasferta. A Siracusa non solo mi sono presentato alla Morini che mi aveva tolto la moto, ma l’ho anche battuta, con grande loro disappunto, vincendo e mettendomi alle spalle i loro piloti!”.
L’amicizia con i colleghi piloti dura tuttora?
“Ci sentiamo e ricordiamo gare e avvenimenti strani che ci sono accaduti. Accorsi era un tipo davvero fuori dal comune e spesso faceva cose incredibili. A Modena passò letteralmente sopra Farnè, che era finito a terra, e a Teramo ha fatto la stessa cosa con me che ero scivolato a poche centinaia di metri dalla bandiera a scacchi. La cosa incredibile è che io a pranzo poco prima della partenza gli avevo detto: «Brivido (Accorsi era soprannominato così), stai attento perché in corsa ti passo sopra (intendevo ovviamente ti supero)». In gara invece avvenne il contrario, in maniera letterale, Accorsi mi passò sopra mentre ero a terra e vinse”.
L’ultima stagione di gare?
“E’ stato nel 1965 quando le maggiori case produttrici si sono accordate per ritirarsi tutte dal Mondiale. Solo la Ducati ha continuato, dando le moto in gestione alla NCR. Io ero tranquillo e mi stavo preparando per inizio stagione, ma, il giorno di Santo Stefano, al Palasport di Bologna dove assistevo a una riunione di boxe, ero seduto vicino a Morini e fu proprio lui ad annunciarmi che la sua casa non avrebbe più corso. Io avevo un contratto con Ducati e uno con Morini per il campionato italiano e qualche prova mondiale nelle 250, ma tutto finì all’istante. Ci rimasi talmente male che per due anni non ho più seguito neppure le gare”.
Un riconoscimento sportivo a cui tiene particolarmente?
“I due bracciali d’oro della FMI. Il primo me l’hanno assegnato nel 1960 per i successi con la Ducati 125, il secondo nel 1962 per le vittorie con la Morini 175”.
Dopo il ritiro in quale attività si è impegnato?
“Inizialmente, grazie all’esperienza che mi ero fatto nella macelleria di mio padre, ho aperto una mia macelleria a Borgo Panigale, che poi ho venduto per trasferirmi in centro a Bologna. Un giorno venne in negozio Librenti per dirmi che la Malanca stava cercando rappresentanti specializzati. L’idea mi sembrò subito buona, così iniziai e, visto che con 125 e ciclomotori le cose andavano bene, trovai subito un accordo anche con la Ducati (che è stata sempre la mia marca preferita) per vendere le cilindrate maggiori. Finita l’avventura con Malanca sono rimasto a pieno titolo in Ducati e poi in Cagiva (dopo che i Castiglioni avevano comprato la Ducati) fino alla pensione. Anche come rappresentante mi sono tolto molte soddisfazioni”.
Le moto sono sempre rimaste nel cuore?
“Ne ho collezionate fino a 70, anche grazie all’aiuto di Rino Caracchi che me le sistemava; ora ho tenuto solo i pezzi che mi piacciono di più e mi ricordano momenti felici. Ho anche auto storiche come Topolino, Fiat 124 Sport e faccio fatica a non comprarne altre che mi affascinano. Purtroppo non sono più giovane e prima o poi non potrò più godermele come faccio adesso. Intanto ho la soddisfazione di andare in garage e ammirare tutti i pezzi (moto e auto) che curo al meglio. Purtroppo la passione per i mezzi storici mi pare che non sia molto presente tra i giovani. Sbagliano, perché il fascino di pezzi autentici che hanno fatto la storia della meccanica è impagabile. Io ho moto che quando debuttarono erano all’avanguardia di decine di anni e ancora oggi sono avveniristiche e splendide da vedere”.
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