L’impianto di scarico della moto – prima parte

L’impianto di scarico della moto – prima parte

Vediamo come funziona l’impianto di scarico di una moto e analizziamo come le sue caratteristiche influiscano sul rendimento del propulsore.

Inutile negarlo: nell’immaginario collettivo, il complesso di scarico è spesso associato all’idea stessa della potenza, questo perché è dalla “marmitta” che fuoriesce la voce del motore, è da lì che, in determinate condizioni, escono fumo e fiamme.

Nel tempo, la sua forte componente sensoriale ha fatto sì che, da semplice elemento complementare della motocicletta, il sistema di scarico divenisse un soggetto fondamentale nei mezzi a motore, anche a livello estetico e stilistico: soprattutto negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie, si è infatti riusciti a integrarlo nelle linee sempre più avveniristiche delle moto.

Le funzioni demandate allo scarico, nel complesso di un motore a combustione interna, sono di importanza fondamentale: prima di tutto, la sua funzione è ovviamente quella di convogliare i prodotti della combustione in una zona del veicolo dove risulti più facile la loro dispersione nell’atmosfera; parallelamente, si vanno anche a silenziare le forti emissioni sonore generate in camera di combustione e a raffreddare i gas esausti prima del loro spargimento all’esterno.

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L’avvento delle nuove tecnologie ha permesso di realizzare sistemi di scarico integrati nel design sempre più complesso dei vari modelli di moto, come ad esempio nel caso della Hypermotard.

Se agli inizi del secolo scorso il problema dell’inquinamento acustico non era particolarmente sentito, soprattutto perché la quantità di mezzi in circolazione era decisamente limitata, con il passare degli anni è stato sempre più evidente che, con particolari accorgimenti, il complesso di scarico poteva opportunamente silenziare il fragore emesso dal propulsore.

Nei primissimi motori a scoppio il tutto era ridotto a un corto spezzone di tubo annerito e solo con il passare degli anni si è realizzato come l’accurata conformazione dei collettori potesse a sua volta migliorare in maniera sensibile il rendimento del propulsore. A questo proposito, un buon sistema di scarico (come si suol dire “accordato” alle caratteristiche del motore) è esso stesso parte integrante della macchina termica e non più un mero complemento.

L’ultima applicazione in ordine di tempo riguarda chiaramente la riduzione delle emissioni inquinanti: i prodotti nocivi della combustione possono essere infatti eliminati o trasformati grazie all’utilizzo di particolari riporti metallici sulla superficie esposta al passaggio dei gas, come avviene nel cosiddetto catalizzatore.

Gas in pressione, rumore e temperatura sono tutti e tre diretta conseguenza di ciò che avviene a ogni ciclo in camera di combustione; la rapida espansione che segue l’iniezione della miscela compressa dal moto ascendente del pistone genera pressioni di modulo assai elevato e di alcuni ordini di grandezza superiori a quella normalmente esistente nel collettore di scarico. Parte dell’energia chimica del combustibile è rapidamente tramutata in calore e la dilatazione dei gas contribuisce essa stessa all’incremento della pressione totale.

All’apertura delle valvole di scarico, l’evacuazione dei prodotti della combustione è pressoché istantanea e genera nel condotto un’onda di pressione, che non è semplicemente costituita dal fronte dei gas che avanzano, ma, essendo generata dalla loro pressoché istantanea espansione, assume una velocità superiore di almeno un ordine di grandezza rispetto al fronte dei gas. Quest’onda di pressione è di fatto ciò che i nostri sensi percepiscono come “suono” o “rumore” (e la distinzione come sappiamo, specie tra i ducatisti, è spesso puramente soggettiva!).

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Il suono è infatti la forma sensibile di un’onda elastica longitudinale che si propaga in un mezzo meccanico (in questo caso l’aria). Quest’onda altro non è che un veicolo di energia meccanica che viaggia dalla sorgente ai corpi riceventi. Nel caso più generale, essa consiste fisicamente in un susseguirsi di pressioni e depressioni e, quindi, in un’oscillazione di ogni particella in vibrazione attorno a una sua posizione media fissa; nel caso del condotto di scarico, le particelle sono in movimento seppure a velocità ridotta rispetto alla perturbazione stessa.

E’ evidente come l’onda arrivi dunque a gran velocità alla fine del condotto di scarico: questo rappresenta una forte discontinuità a causa della brusca variazione di pressione e volume (l’ambiente esterno è a pressione atmosferica e ha volume praticamente infinito rispetto al condotto); così avviene che mentre il gas esce liberamente nell’atmosfera, l’onda trovi in essa una sorta di “muro” che la riflette indietro nel condotto di scarico cambiata di segno.

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L’onda arriva a gran velocità nel condotto di scarico cambiata di segno.

Tale fenomeno si ripete tante volte quanto maggiore è l’energia iniziale dell’onda che va via via dissipandosi a ogni riflessione alle due estremità del condotto. La sua velocità non è ovviamente costante, così come non lo è quella dei gas esausti; ciò è dovuto in massima parte alla diminuzione di temperatura che si realizza lungo il percorso di scarico. Gli stessi gas esausti variano fortemente di densità e temperatura per l’azione stessa dell’onda che li attraversa nei due sensi (i gas chiaramente viaggiano sempre nella medesima direzione).

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Le perdite di carico distribuite sono riferite all’attrito viscoso che si esercita fra le particelle aventi diversa velocità a causa dell’aderenza tra il fluido e la superficie del condotto, e che si hanno lungo tutto il percorso, per questo motivo sono anche denominate perdite di carico continue. Sono matematicamente definite proporzionali alla rugosità del condotto e alla sua lunghezza, alla densità del fluido e al quadrato della velocità. Nel caso dei gas di scarico la densità è piuttosto bassa, ma la velocità può raggiungere, come si è visto, valori elevati.
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Le perdite di carico localizzate o accidentali sono dovute all’energia dissipata a causa degli urti tra le particelle che si verificano in presenza delle turbolenze del moto generate dalla presenza di accidentalità lungo il percorso del fluido; le perdite di carico localizzate si hanno in presenza di variazioni di direzione o di sezione del condotto. Sono matematicamente definite proporzionali al quadrato della velocità e alla densità del gas, ma dipendono essenzialmente da un fattore geometrico legato alla forma dell’accidentalità del percorso.

L’insieme di questi complessi fenomeni può andare a influenzare pesantemente il rendimento volumetrico del propulsore, qualora si riesca a sincronizzare il movimento dell’onda di pressione con l’apertura della luce di scarico: si può infatti ottenere che la depressione creata dalla riflessione operi in modo da “aspirare” i gas in uscita dalla camera di combustione: parte dell’energia residua posseduta dall’onda di scarico andrebbe così a compiere una frazione del lavoro di pompaggio normalmente svolto dal propulsore a scapito dell’energia meccanica utile.

Come molti sapranno, questo tipo di fenomeno è alla base del buon funzionamento dei motori a due tempi. Ecco allora che un corretto disegno geometrico del sistema di scarico può consentirne l’accordatura alle caratteristiche del propulsore in maniera del tutto analoga a quanto avviene in uno strumento musicale.

Esiste tuttavia una difficoltà intrinseca: il sistema di scarico ha dimensioni fisse, mentre i regimi di rotazione del motore sono continuamente variabili. E’ allora evidente che il progetto porti alla scelta di un compromesso dettato dalla destinazione d’uso di un determinato propulsore.

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All’apertura delle valvole di scarico, l’evacuazione dei prodotti della combustione è pressoché istantanea e genera nel condotto un’onda di pressione che non è semplicemente costituita dal fronte dei gas che avanzano, ma essendo generata dalla loro pressoché istantanea espansione assume una velocità superiore di almeno un ordine di grandezza.
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La velocità totale è data dalla somma di quella dell’onda di pressione e di quella del fronte dei gas che avanza: il segno + o – dipende dal verso dell’onda, diretta o riflessa. Prima e dopo il passaggio dell’onda il fluido ritorna nelle condizioni iniziali, ovvero con velocità comune al fronte dei gas.
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La velocità dell’onda non è costante, così come non lo è quella dei gas esausti; ciò in massima parte per la diminuzione di temperatura che si realizza lungo il percorso di scarico, con gradiente negativo dal cilindro verso l’uscita nell’atmosfera.

Per quanto detto finora, più è lungo il percorso compiuto dall’onda di scarico, maggiore sarà il tempo necessario per ciascuna riflessione e minore sarà il numero di queste; allo stesso tempo, saranno maggiori le perdite di carico distribuite, cioè la difficoltà incontrata dal gas nel suo efflusso.

Per assurdo, adottando un tubo di lunghezza infinita non si avrebbe riflessione alcuna, quindi nessuna variazione di pressione, mentre le perdite di carico sarebbero talmente elevate da impedire il transito dei gas; viceversa, in un condotto estremamente corto (come arditamente realizzato da alcuni preparatori poco attenti) l’efflusso dei residui della combustione sarebbe facilitato al massimo, ma con elevatissime e rapide variazioni di pressione.

Nei propulsori primordiali, del tutto privi di scarico, nel momento in cui si apriva la valvola, i gas che uscivano nell’atmosfera venivano bruscamente respinti, con una drastica riduzione del rendimento.

Se estendiamo quanto osservato al caso reale, ci renderemo subito conto che ciascuna fase di scarico non è che una frazione infinitesima del funzionamento complessivo di un motore a combustione interna.

A ogni apertura della valvola di scarico (anche 100 volte in un secondo) viene emessa una nuova ondata di gas e dunque si genera una nuova onda di pressione che interferirà, costruttivamente o distruttivamente, con tutte quelle emesse in precedenza e ancora in movimento nel condotto.

Per semplificare il problema, eliminiamo un’incognita: se il regime di rotazione è costante, calcolare esattamente i picchi di pressione e depressione all’interno del sistema è una questione facilmente conciliabile con la geometria dello stesso, ragion per cui il progettista può facilmente accordare tutti i parametri discussi per ottimizzare il rendimento della macchina.

Variando in maniera parametrica il regime di rotazione si otterrà una serie di configurazioni ottimali, operazione oggi facilmente attuabile grazie ad appositi software di simulazione.

Spesso lo spazio a disposizione sul veicolo non è sufficiente per la perfetta accordatura del sistema di scarico, che potrebbe richiedere lunghezze dei collettori troppo elevate: in questo caso è ormai generalizzato il ricorso ai cosiddetti tubi compensatori, che collegano tra loro i collettori dei motori di cilindrata frazionata, sfruttando l’interferenza tra le onde di scarico di cilindri diversi. Tuttavia, se non si vuole cedere incondizionatamente al compromesso, il metodo per ottenere la massima resa dal propulsore è quello di variare opportunamente la geometria del complesso di scarico.

Il modo più semplice è quello, adottato da numerose case motociclistiche compresa Ducati, di ricorrere a opportune valvole parzializzatrici dei condotti; pioniera in questo senso è stata la Yamaha, che già nei primi anni Novanta ha perfezionato il suo dispositivo EXUP (EXhaust Ultimate Power valve).

Oggi è uso ricorrere a valvole poste a una discreta distanza dalla luce di scarico, che permettano di variare la sezione di efflusso dei gas e dunque la riflessione delle onde di pressione.

Nei motori a due tempi, invece, nei quali la distribuzione è nella maggioranza dei casi affidata esclusivamente al moto del pistone, le valvole allo scarico rappresentano giocoforza una realtà ormai universale, sebbene questa tipologia di propulsori stia lentamente venendo abbandonata (purtroppo) per le gravi problematiche legate all’inquinamento atmosferico.

Quanto detto esaurisce l’argomento per quanto riguarda il solo condotto di scarico; tuttavia, il suo dimensionamento, come vedremo nella seconda parte dell’articolo, è in diretta dipendenza con le caratteristiche di aspirazione e di fasatura del propulsore.

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