Una volta si trattava di un semplice tubo, uno smilzo barilotto e al massimo qualche strozzatura tanto per ridurre un po’ il rumore. Uno scarico, non molti anni fa, era un pezzo di metallo senza troppe pretese. Col tempo, il diffondersi dei mezzi a motore ha fatto maturare una coscienza sempre più attenta alle problematiche dell’inquinamento acustico e, soprattutto, ambientale.
Il pericolo maggiore, infatti, non è dato tanto dal rumore (che si fa presto a limitare con un attento studio dei silenziatori di scarico), quanto dalle emissioni nocive che ogni motore a combustione interna genera durante il suo funzionamento. Come molti lettori sapranno, nel cuore di un propulsore a 4 tempi avviene una reazione chimica tra ossigeno e benzina (comburente e combustibile), i cui prodotti sono sostanze dannose per l’ambiente. Inoltre, se il motore non è perfettamente messo a punto, si ha una reazione incompleta, quindi una piccola quantità di carburante non brucia e viene eliminata attraverso lo scarico.
I principali inquinanti emessi da un motore sono essenzialmente di tre tipi: gli idrocarburi incombusti (HC), che derivano dal carburante non completamente bruciato durante il processo di combustione, gli ossidi di carbonio (CO e CO2) e gli ossidi di azoto (NOx), prodotti naturali della reazione chimica.
Come si può facilmente intuire, è di fondamentale importanza l’ottenimento di una combustione completa e, dunque, il mantenimento del rapporto tra aria e benzina il più vicino possibile a quello stechiometrico ideale (grosso modo 14,6 parti d’aria per una di benzina). Sui motori di una volta, garantire questo valore con certezza era una mera utopia, dal momento che i vecchi carburatori non permettevano un controllo attivo della combustione e, spesso, la loro taratura era affidata all’esperienza di un buon meccanico. Inoltre, con il passare dei chilometri, il veicolo peggiorava inesorabilmente il proprio rendimento e si rendeva necessaria la famigerata “carburazione”.
Oggi, l’evoluzione e la diffusione dell’elettronica hanno permesso l’utilizzo di dispositivi d’iniezione del carburante sempre più complessi, in grado di regolare attivamente il rapporto stechiometrico e la quantità di miscela immessa in camera di scoppio secondo le condizioni operative del motore.
Questo grazie a delle catene di retroazione ai cui capi vi sono dei sensori per la pressione, per la temperatura, per il regime di rotazione e la cosiddetta sonda Lambda, che rileva l’ossigeno residuo nei gas di scarico, indice di una combustione più o meno completa.
Una miscela troppo ricca (troppa benzina), ovviamente, produce allo scarico maggiori quantità di ossidi di carbonio e di idrocarburi incombusti, viceversa, una miscela magra (troppa aria) alza la temperatura di combustione provocando la formazione oltre misura di ossidi di azoto.
Inoltre, si generano condizioni dannose per il motore che, in presenza di rapporti stechiometrici troppo elevati, può andare incontro a rotture catastrofiche.
In Italia, dal 1993 (in virtù dell’adozione di direttive comunitarie denominate Euro 1, 2, 3, ecc) sono stati introdotti, per i veicoli equipaggiati con motori a combustione interna, dei limiti di emissione allo scarico sempre più restrittivi, con l’obiettivo di ridurre l’impatto sull’ambiente.
Così, si è andati incontro a una serie di adeguamenti per assolvere a quanto espresso dalla normativa, progettando nuovi motori ottimizzati per limitare le emissioni a monte dello scarico; nello stesso tempo, grossa è stata ovviamente l’opera di adattamento sui motori già esistenti mediante dispositivi aggiuntivi per l’abbattimento degli agenti inquinanti allo scarico.
L’impianto di scarico con catalizzatore
Il principale dispositivo di abbattimento degli inquinanti è il convertitore catalitico (catalizzatore), che sfrutta le proprietà di alcuni metalli nobili per reagire con gli inquinanti emessi insieme ai fumi di scarico.
Logica conseguenza dell’introduzione di tale tecnologia è stata l’immissione sul mercato della “benzina senza piombo” (o verde), indispensabile per garantire la costante funzionalità dei catalizzatori i quali, a causa della formazione degli ossidi di piombo che si ottengono nella combustione delle benzine tradizionali (la vecchia “super”), normalmente additivate con piombo tetraetile (antidetonante), verrebbero irrimediabilmente compromessi.
Tuttavia, com’è noto, la rimozione del piombo ha avuto come conseguenza la riduzione del numero di ottano della benzina, con conseguente decadimento delle prestazioni dei nuovi motori.
Come se non bastasse, lo stesso catalizzatore altro non è che una sorta di “filtro” inserito nella linea di scarico, dunque un ulteriore freno alle prestazioni del propulsore.
Capita così che, specie i motori più anziani a livello di concezione come i Desmodue Ducati, risultino pesantemente penalizzati nella loro versione “pulita” rispetto ai loro progenitori di qualche anno fa.
In questo contesto si colloca, ad esempio, la realizzazione dei motori 1000 e 1100 DS, dotati di termica rivista e doppia accensione proprio per ottimizzare la combustione.
Il convertitore catalitico è costituito da un involucro metallico contenente un supporto ceramico o metallico a elevata superficie specifica (la superficie totale è prossima a quella di un campo da calcio…) sul quale è depositato il materiale catalitico attivo, consistente in una miscela di metalli nobili: platino (PT), palladio (PD), Rodio (RD).
I gas combusti fluiscono sulla loro superficie, dove si attivano le reazioni di ossidazione e/o riduzione. Proprio tali reazioni rimuovono sensibilmente le sostanze inquinanti CO, NOx, HC, che si formano o che sopravvivono alla fase di combustione nel motore. Sulla base di quanto già detto, le condizioni di funzionamento ottimali dei convertitori catalitici dipendono fortemente dal rapporto della miscela aria/combustibile, che deve essere mantenuto il più vicino possibile al valore stechiometrico (con un massimo scostamento del 5%) e alla temperatura dello strato catalitico su cui avvengono le reazioni, che deve essere superiore a una soglia di attivazione pari a circa 350 °C.
I futuri campi di intervento, già sperimentati e attuati da alcuni costruttori orientali, prevedono lo sviluppo della tecnologia dell’iniezione diretta ad alta pressione, il ricircolo dei gas di scarico per completare la combustione e la ricerca su diverse tipologie di combustibili additivati.
Le già citate norme “Euro” contraddistinguono ormai ogni veicolo in produzione e ne discriminano la circolazione in determinate aree urbane ad alta densità.
La categoria Euro 1 raccoglie i veicoli “ecologici” conformi alla direttiva 97/24 CE cap. 5. Il rispetto dei limiti di emissione stabiliti da questa direttiva impose l’adozione del catalizzatore sui mezzi nuovi.
I modelli omologati Euro 1 presentano sul libretto la dicitura “conforme al Capitolo 5 della Direttiva Europea 97/24/Cee” e lo scopo iniziale era quello di abbattere del 50% le emissioni inquinanti (in linea di massima si tratta dei motocicli omologati dopo il 17/6/1999).
La Euro 2 indica i veicoli “ecologici” conformi alle direttive 93/59 e 94/12. Le direttive di riferimento sono la 2002/51/CE fase A e la 2006/27/CE fase A, relativa ai motocicli immatricolati dal 1/1/2003, compresi i veicoli di “fine serie”.
La categoria Euro 3 fa riferimento alle direttive di cui sopra, ma fase B, e riguarda i motoveicoli immatricolati a partire dal 1/1/2006, sempre fatti salvi quelli di “fine serie”.
Nell’evoluzione delle diverse normative sono cambiati non solo i limiti di emissione, ma soprattutto le metodologie di prova e di misura; pertanto, alcuni valori della prima direttiva si raddoppierebbero se misurati secondo gli ultimi parametri. La direttiva di omologazione è indicata sulla carta di circolazione e da essa si può sapere se il veicolo rientra o meno tra le categorie escluse dalle limitazioni.
In caso di acquisto di un motoveicolo usato o nuovo occorre allora fare attenzione a quale normativa europea risponda, in quanto potremmo trovarci di fronte a potenziali “fregature”, specie se abitiamo in zone a traffico limitato.
Gli attuali motocicli Ducati si sono adeguati successivamente alle diverse normative mediante l’adozione di convertitori catalitici nelle preesistenti linee di scarico (Super Sport, Monster), oppure con la creazione di impianti completamente nuovi e dotati di un gruppo catalizzatore-compensatore separato (Multistrada, Monster SR e famiglia Hypersport), al fine di rispondere alla normativa Euro 2 ed Euro 3.
Questo ha certamente mortificato le prestazioni e il sound dei bicilindrici molto più di quanto non sia avvenuto in passato e, parallelamente, ha reso di fatto più onerosa e fuorilegge la sostituzione degli impianti di scarico con altri, anche se del tipo “omologato” (rispondenti cioè ai parametri di rumorosità originali).
L’assenza del catalizzatore infrange, infatti, le norme di omologazione, cosicché uno scarico aftermarket omologato per un modello non catalizzato non lo è per un altro che nasce con il convertitore integrato.
In ogni caso, unitamente allo scarico, il produttore rilascia una copia del documento di omologazione su cui sono riportati i modelli di moto per cui quello scarico è stato approvato. Dal momento che la sigla non corrisponde a quella fornita in origine dalla casa costruttrice, ma è caratteristica di ogni diverso dispositivo, è bene che questo documento vada a integrare la carta di circolazione per giustificare la modifica in sede di controllo e revisione.
Non è tutto: se il silenziatore non dovesse rispondere ai requisiti fonometrici ottimali, chi effettua il controllo del mezzo può in ogni caso elevare una contravvenzione (o comunque “bocciare” il veicolo in fase di revisione), dal momento che perfino uno scarico perfettamente originale diventa fuorilegge nel momento in cui non è più in grado di silenziare il motore nei limiti previsti.
Tuttavia, sappiamo bene come la pratica di sostituire almeno i silenziatori sia abbastanza diffusa tra gli utenti di certe bicilindriche!
Se queste modifiche sono perfettamente regolari negli spazi chiusi al traffico, per la normale circolazione è bene cercare di rispettare le norme (e gli altri utenti della strada), evitando di girare con scarichi racing, per esempio, in città.
Gli scarichi aperti col dBkiller
Al riguardo, una buona soluzione è rappresentata dai cosiddetti scarichi “convertibili”: si tratta di scarichi aperti dotati di una cartuccia interna silenziante (il cosiddetto dBkiller), in grado di far rientrare il complesso nei limiti di omologazione. Una volta in circuito, la rimozione della cartuccia permette di sfruttare a pieno le prestazioni del motore, senza dover necessariamente disporre di un terminale di ricambio.
Ricordiamoci, però, che il silenziamento tramite semplici “tappi” o restringimenti non è certo una condizione ideale dal punto di vista fluidodinamico. Infatti, gli scarichi originali e gli omologati “veri” non trasformabili sono il frutto di un’attenta e lunga sperimentazione, volta a ottimizzare la resa del motore garantendo il giusto livello fonometrico.
Un semplice tubo con una strozzatura alle estremità garantisce emissioni sonore limitate, ma certamente non ottimizza il rendimento del motore, le cui prestazioni vengono spesso mortificate ulteriormente.
Un’altra tendenza vede la modifica degli scarichi originali tramite la rimozione delle strutture interne o la sostituzione del corpo silenziante con una canna forata di estrazione racing.
A parte che una simile modifica, di fatto, può creare problemi quando un domani si decida di vendere la moto o in sede di una revisione severa come quelle che entreranno in vigore nei prossimi anni, si tratta comunque di un’azione illegale che può produrre il sequestro della carta di circolazione al pari del montaggio di uno scarico aperto.
Inoltre, i volumi degli scarichi originali sono spesso maggiori di quelli necessari a uno scarico così modificato, per cui ci si trova ad avere dei pezzi di metallo inutilmente pesanti e ingombranti senza evidenti vantaggi. Quale che sia la soluzione scelta per la modifica del sistema di scarico non bisogna mai dimenticare che esso è un componente vitale del propulsore e che la sua trasformazione non può non essere accompagnata dal conseguente adeguamento della carburazione.
Chi ha cognizione di come funzioni un motore a combustione interna sa bene come ai fini puramente prestazionali non sia sufficiente la sostituzione del solo scarico per avere un congruo incremento della cavalleria.
Il corretto funzionamento del motore è, infatti, affidato in massima parte al giusto equilibrio tra la quantità di miscela aria/benzina che viene introdotta nella camera di scoppio e alla dinamica di espulsione dei gas combusti nella fase di lavaggio.
La linearizzazione del condotto di scarico, una volta rimossi tutti gli “impedimenti” dettati dalla legge (silenziatori, catalizzatori, ecc), impone dunque di adeguare la carburazione o, eventualmente, la mappatura dell’iniezione.
Sulla base di quanto già detto circa il corretto rapporto stechiometrico, quest’ultimo va drasticamente ad aumentare qualora si aumenti la capacità di efflusso del motore.
Oltre ovviamente a provocare un aumento dei NOx, l’esubero di ossigeno in camera di scoppio aumenta il rischio di nocivi smagrimenti ai danni degli organi meccanici, elevando le temperature di esercizio.
Parallelamente, il rendimento del propulsore non è ottimizzato, dato che il difetto di benzina non permette di ottenere la massima resa prestazionale.
E’ infatti il combustibile a introdurre l’energia nel motore e, per ottenere una potenza e una coppia più elevate, è indispensabile aumentarne il dosaggio. Il nostro propulsore, infatti, altro non è che una macchina in grado di tradurre l’energia chimica contenuta nella benzina in energia cinetica, dunque in potenza.
La domanda che nasce spontanea, a questo punto, è: quanto è in grado di migliorare la resa del motore uno scarico più libero?
Sicuramente, meno di quanto si pensi. Soprattutto rispetto ad alcuni anni fa, quando i motori erano realizzati e progettati con tecnologie ben differenti e sicuramente meno efficaci.
Non più di una decina di anni or sono, sostituire il terminale su una motocicletta significava un immediato vantaggio in termini di peso e di potenza. Oggi, i moderni metodi di progettazione assistita permettono la reale ottimizzazione dei componenti, per cui il margine di miglioramento è diminuito nettamente.
Senz’altro, l’abolizione dei dispositivi ecologici permette di migliorare la fluidodinamica dello scarico, mentre i vantaggi in termini di peso rimangono sensibili, specie se si installano dei terminali realizzati in materiali nobili, come il titanio.
Tuttavia, anche in questo caso, incrementi di potenza superiori al 5% sono difficilmente raggiungibili.
Il grosso problema viene dalla difficoltà di adeguare correttamente gli impianti di iniezione, sempre più complessi e inaccessibili all’utente medio.
Le centraline aggiuntive attualmente in commercio offrono numerosi parametri di intervento, la cui reale ottimizzazione richiede però un’accurata operazione di messa a punto, spesso praticamente impossibile non disponendo delle attrezzature necessarie (banco prova, software di gestione, ecc).
Affidarsi al lavoro di un bravo preparatori, spesso, è la soluzione migliore, anche se il frutto del loro lavoro, spesso standardizzato, non risponde quasi mai alle reali necessità del nostro propulsore, a causa delle diverse condizioni di utilizzo, climatiche e del mezzo stesso.
L’emergenza ambientale e la dirompente tecnologia applicata alle macchine stanno, di fatto, trasformando quello che una volta era un piacevolissimo hobby in un’impresa pressoché impossibile e dai risultati incerti.
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