Come molti sanno, nel 2016 la Ducati ha compiuto 90 anni, anche se in realtà l’azienda di Borgo Panigale, intesa come casa motociclistica, è un po’ più “giovane”. Fu infatti per risollevarsi dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale che l’allora Società Scientifica Radiobrevetti Ducati decise di convertire la propria produzione dalle apparecchiature tecnologiche come rasoi elettrici, macchine fotografiche e registratori di cassa alla motorizzazione su due ruote.
Già, perché parlare di vere e proprie moto, all’epoca, sarebbe stato improprio, visto che il primo progetto sviluppato per dare agli italiani la possibilità di muoversi autonomamente con poca spesa, il Cucciolo, altro non era che un motore ausiliario (per di più nato all’esterno della fabbrica Ducati a opera della Siata di Torino) da applicare alle normali biciclette.
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Ducati Cucciolo: il piccolo genio
I costruttori del Cucciolo non si sono lasciati sedurre dalla classica semplicità del due tempi, su sollecitazione del tecnico Leoni si decise subito di adottare il ciclo a quattro tempi.
Da lì, però, l’escalation che ha portato la Casa bolognese ad affermarsi nel settore motociclistico è stata rapida e costellata di successi, grazie all’ulteriore accelerazione impressa in seguito all’ingresso in azienda dell’Ingegner Fabio Taglioni.
Ecco, volendo proprio riassumere le origini della Ducati, per come la conosciamo oggi, si potrebbe dire che tutto è cominciato da quel piccolo motore che, come recitava lo slogan, “Vi porterà ovunque”. Un inizio fortuito, dettato più dalla necessità che da una precisa strategia, ma che poi ha dato il la a un’evoluzione fatta di modelli sempre più avanzati dal punto di vista tecnico, oltre che a livello di performance.
Così, nel giro di pochi anni, si è passati da un semplice motore ausiliario fatto per risolvere il problema della mobilità nazionale a veri e propri capolavori della meccanica che, tutt’oggi, il mondo ci invidia. Un patrimonio da conservare, dunque, che riassume il primo fondamentale capitolo dello sviluppo tecnico avvenuto in seno alla fabbrica di Borgo Panigale nei prima 20 anni di attività come casa motociclistica.
Ecco perché Enea Entati, stimato restauratore nonché proprietario dei motori che vedete nelle immagini, ha sentito il bisogno di collezionare una serie di monocilindrici Ducati costruiti tra il 1947 e il 1967. Grazie ad essi, infatti, è possibile “leggere” la storia dell’azienda attraverso un percorso affascinante ed esclusivo, apprezzando tutte le differenze e le innovazioni tecniche che si sono succedute negli anni a partire da un micromotore che, nel momento in cui fu commercializzato, costava appena 4000 lire e raggiungeva una velocità massima di 35 Km/h, ma che in ben 13 anni di produzione è stato venduto in oltre 100.000 esemplari!
Ripercorriamo insieme quelle tappe fondamentali con l’aiuto della collezione di Entati.
Cucciolo Siata del 1947. Si tratta di un motore facente parte della cosiddetta “seconda serie”, caratterizzato da una diversa alettatura di raffreddamento del cilindro. La distribuzione ha la particolarità di prevedere una singola camma, che comanda sia il bilanciere della valvola di aspirazione che quello della valvola di scarico.
Da notare la luce di scarico rivolta in senso opposto a quello di marcia e il silenziatore posizionato nella parte posteriore, subito dietro al basamento. Particolare è anche il tappo di carico dell’olio, piuttosto grande e dotato di una sorta di valvola grazie alla quale si andava a creare la giusta pressione all’interno del carter motore.
Cucciolo T2 del 1949. Se il Siata aveva il cilindro, la testa e il carter motore in un pezzo unico, con quest’ultimo “tagliato” secondo un piano orizzontale, il T2 aveva il cilindro e la testa vincolati al basamento tramite delle viti.
In questo caso, poi, il tappo dell’olio è sul lato sinistro (anziché nella parte anteriore) e l’albero a camme prevede due lobi, uno per la valvola di aspirazione e uno per quella di scarico. La frizione risultava rinforzata rispetto al Siata.
Notare anche il marchio “Ducati SSR” sul basamento al posto di quello “Siata Ducati” presente sulla versione più datata.
Cucciolo Corsa tipo Lario. A testimonianza della grande affinità che la Casa di Borgo Panigale ha sempre avuto nei confronti delle corse, fu sviluppato un kit ad opera della Lario per portare la cilindrata da 48 a 60 cc.
In seguito, fu allestita anche una versione con cilindrata effettiva di 73 cc, anche se in realtà, l’erogazione del 60 risultava globalmente più gestibile.
L’esemplare ritratto in foto non è originale dell’epoca, ma è stato rifatto grazie a delle fusioni che Entati ha fatto realizzare sulla base di appositi stampi.
Testa e cilindro sono in alluminio e sono vincolati al basamento attraverso 5 bulloni, anziché 4 come sul Siata e sul T2. La trasformazione veniva consegnata comprensiva di valvole maggiorate, molle doppie, albero a camme speciale e impianto di scarico dedicato.
Anche in questo caso, sia la luce di aspirazione che quella di scarico sono rivolte in senso opposto a quello di marcia.
Cucciolo T2 del 1949. Questo motore non presenta caratteristiche tecniche particolari, se non che Entati ha deciso di sezionarlo a scopo didattico.
Grazie a un’apposita manovella posizionata sul lato sinistro, infatti, è possibile far girare l’albero motore e con esso tutti gli organi interni. Inoltre, al posto della candela, lo specialista di Bondanello di Moglia ha inserito una lampadina che si accende simulando lo scoccare della relativa scintilla.
175 Sport del 1958. Antesignano del 200 Elite, il 175 Sport entra in produzione nel pieno dell’epoca Taglioni, destinato a diventare una pietra miliare nella storia dei motori Ducati. Il pistone ha una “cupola” molto pronunciata, con apposite svasature per le valvole, determinando così un rapporto di compressione relativamente alto. Generoso è anche il diametro del carburatore, che corrisponde a ben 22 mm, contro i 24 mm della versione di 200 cc.
Testa 175 Sport. Questa base di alluminio sulla quale è montata la testa di un 175 Sport non nasce a scopo “espositivo”, ma è stata costruita da Entati per registrare le coppie coniche.
Notare infatti come l’astuccio della coppia conica vada a finire su un cuscinetto che serve a tenere in asse l’alberello. In questo modo è possibile regolare la coppia conica senza montarla direttamente sul motore, ma compiendo l’operazione in un secondo momento.
98 TS del 1959. A caratterizzare questo monocilindrico è senza dubbio il disegno del carter particolarmente tondeggiante e compatto.
Rispetto al 98 T, che era dotato di telaio in lamiera stampata, il 98 TS aveva una struttura in tubi saldati tra loro, scelta altrettanto efficace, ma contraddistinta da minori costi di produzione.
Le prestazioni non erano esagerate, con circa 75-80 Km/h di velocità massima, ma se non altro l’affidabilità era ottima, così come le guidabilità.
La lubrificazione era caratterizzata da un passaggio dell’olio esterno, attraverso un tubicino rigido che portava alla testa. Il cambio era a quattro marce.
200 Elite del 1960. Qui siamo di fronte al capolavoro dell’Ingegner Taglioni. Il sistema di distribuzione sfrutta il caratteristico alberello a coppie coniche sul lato destro. Inconfondibile è anche il design dei carter, un misto di armonia ed eleganza che rende questo motore bellissimo anche oggi, a oltre cinquantacinque anni dalla sua commercializzazione. Tra le particolarità tecniche, abbiamo anche le bobine a bagno d’olio che Entati apprezza molto per la loro affidabilità, mentre le puntine dipendono direttamente dalla batteria, cosa che può creare più di un grattacapo in caso di malfunzionamento da parte di quest’ultima.
48 Sport del 1962. Si tratta di un motore costruito prima che entrasse in vigore il Codice della Strada.
Pertanto stiamo parlando di un’unità che consentiva prestazioni velocistiche di tutto rispetto, con punte di circa 75 Km/h. Il cambio era a tre marce, con comando a mano sul lato sinistro del manubrio. L’avviamento era a kick starter, come su una moto vera, anziché a pedali e il carburatore risultava fortemente inclinato verso l’alto per favorire l’afflusso di miscela aria-benzina verso il cilindro.
Il basamento era particolarmente robusto grazie al generoso dimensionamento dei cuscinetti di banco, che garantivano grande affidabilità, mentre la bobina era esterna, sotto il serbatoio del carburante, a differenza dei modelli di analoga impostazione che avevano la bobina interna, scongiurando così eventuali problemi di surriscaldamento durante l’utilizzo prolungato.
Rolly 50 del 1966. Quando è stato progettato, il Rolly era un motore come quello del Piaggio Ciao, quindi equipaggiato con frizione automatica centrifuga. Questo permetteva, una volta avvenuta la messa in moto, di fermarsi al semaforo senza bisogno di intervenire sulla leva al manubrio (che veniva viceversa azionata solo durante l’avviamento), per poi ridare semplicemente gas nella successiva ripartenza. Si trattava di un’unità molto semplice da usare, soprattutto nella guida cittadina.
Cadet 125 del 1967. Il progetto è completamente diverso rispetto ai precedenti. Il cambio è a quattro marce, con comando a bilanciere sul lato destro. L’albero a camme è nel basamento e comanda le valvole tramite un sistema ad aste e bilancieri nonostante il carter motore derivi dalla versione a due tempi di 100 cc, rispetto alla quale sono state necessarie anche alcune modifiche per ricavare l’alloggiamento della pompa dell’olio. Commercialmente parlando, questa unità non ha riscosso grande successo, come testimonia l’esiguo numero di esemplari in cui è stata prodotta, forse anche a causa di un certo ritardo nel suo arrivo sul mercato. Molto interessante, invece, è la somiglianza della coppa dell’olio, dotata della caratteristica alettatura di raffreddamento, con quella dei futuri bicilindrici a coppie coniche.
Foto di Enrico Schiavi
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A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.
Ducati 98 Turismo Lusso
Per rispondere alle esigenze del suo pubblico, Ducati propose questa versione Turismo Lusso, presentata al salone di Milano del 1956.