Quello sono io, ripeteva il ritornello della sua canzone, mentre alle sue spalle scorrevano le immagini di una carriera esaltante, di una vita alla Steve McQueen, dentro e fuori dalle piste. E’ Marco Lucchinelli, al quale si devono i primi celebrati successi del nuovo corso impresso alla storia agonistica di una Ducati dalla nuova proprietà dei fratelli Castiglioni. Appassionati di corse da sempre, i Castiglioni seppero imprimere alla Ducati, con forza ancora maggiore, quel carattere distintivo che era già intrinseco nel suo essere.
Intesero legare ancora di più il Marchio alle competizioni. Dal 1978, anno del Mondiale classe TT Formula 1, vinto da Mike Hailwood in prova unica all’Isola di Man, a traghettare la Ducati, alimentando una continuità fatta di vittorie, erano state le moto in qualche modo replica di quella di Mike: le TT1 da 900 cc e le TT2 da 600 cc, sulle quali apparve per la prima volta in gara il motore Pantah. Furono questi mezzi che permisero al Marchio di Borgo Panigale di affermarsi in Italia, principalmente a opera di Vanes Francini, Mauro Piano, Massimo Broccoli, Walter Cussigh e Fabio Barchitta.
Erano i primi anni Ottanta e, fuori dai confini nazionali, ci pensava Tony Rutter a imporre la legge della TT2, vincendo il titolo Mondiale Formula 2 dal 1981 al 1984 e imponendosi ancora sulle strade dell’Isola di Man nel 1985.
Da questa moto, indubbiamente nata per le gare, venne sviluppata la Ducati 750 F1. Una moto che Gianfranco e Claudio Castiglioni vollero fortemente, un mezzo che fu in grado di trasferire onore e gloria dalle gare alla produzione. Fan di Marco Lucchinelli fin dai tempi precedenti alla conquista del titolo nella 500 del 1981, i Castiglioni lo vollero sulla loro moto.
Era il 1985: Virginio Ferrari e Marco Lucchinelli disputarono il Campionato Italiano Formula 1. I due piloti si divisero i successi, con Marco vittorioso a Imola, Misano e Vallelunga e Ferrari che, vincendo a Monza e al Mugello, poté fregiarsi del titolo. E’ l’anno in cui Marco Lucchinelli torna a divertirsi in moto, dopo le delusioni patite con una Cagiva che nel mondiale mancava di affidabilità.
La Ducati 750 F1, invece, non si rompe mai.
Per la prima volta, grazie al blasone dei piloti che la cavalcano, la televisione trasmette le gare del Campionato Nazionale Formula 1 e le Ducati verniciate con il tricolore sono alla ribalta.
“Io, Ferrari e Cussigh avevamo moto uguali: ci divertivamo perché per fare la differenza bisognava dare il gas e basta…”
E’ l’anno della prima trasferta a Daytona, dove nella Battle of Twins il campione di Ceparana arriva secondo, con una moto presa così com’era dalla produzione di serie. La pista di Daytona viene vista dai dirigenti della Ducati come un trampolino di lancio verso la conquista di allori fuori dai confini nazionali: c’è la moto e c’è Lucchinelli, il cui richiamo mediatico riesce a dare risalto alle competizioni dove la Ducati sceglie di partecipare.
In quegli anni, caratterizzati dalla scarsità di risorse da impiegare nelle competizioni, sarà la passione di Fabio Taglioni, di Massimo Bordi, di Gianluigi Mengoli e di Franco Farné, unita al ritrovato entusiasmo di Marco, a fare da motore all’impegno nelle gare.
I Castiglioni credono in questi uomini, nel loro impegno e hanno una fiducia cieca in Lucchinelli.
Si lavora di notte, si lavora gratis e i risultati arrivano. Nel 1986 la Ducati 750 F1, con la cilindrata aumentata a 851 cc, si impone a Daytona, ancora nella Battle of Twins. La moto numero 618 di Marco Lucchinelli arriva prima, battendo l’altra Ducati dello specialista Jimmy Adamo, per poi ripetersi nella tappa di Laguna Seca. In coppia con Massimo Matteoni sarà ancora Lucchinelli a vincere, in quell’anno, la 200 Miglia di Misano.
La moto è fantastica, così fuori dagli schemi anche per quanto riguarda la linea. In essa sono già presenti gli elementi che caratterizzeranno le moto a venire: il bicilindrico con la distribuzione Desmo comandata da cinghie dentate, il telaio a traliccio e il motore che funge da elemento stressato della ciclistica.
Le vittorie di Marco Lucchinelli ispirano le edizioni speciali che vengono messe in produzione: la 750 F1 Santamonica e la Laguna Seca. Marco porta in dote alla Ducati la metodologia di lavoro imparata in anni di corse con i giapponesi e con la Honda in particolare.
Adesso più che mai ce n’è bisogno: sta nascendo il bicilindrico a quattro valvole. Il 19 settembre del 1986, quasi in sordina, il prototipo della moto spinta dal nuovo motore viene portato al Bol d’Or. La gara di durata francese è il primo banco di prova per una moto che si caratterizza per la presenza, oltre che delle quattro valvole per cilindro, dell’iniezione elettronica.
La squadra di piloti che prese il via era composta da Juan Garriga, Virginio Ferrari e Marco Lucchinelli. I circa cento cavalli di potenza che la moto poteva esibire si comportarono bene, portando l’equipaggio a occupare la settima posizione, fino a quando, alla quattordicesima ora di gara, il cedimento di un bullone di una biella costrinse la squadra al ritiro.
La moto, però, era ormai una realtà e nel 1987, a giugno, viene portata proprio da Marco alla prima vittoria, a Monza, nel SBK Trophy. Seguiranno, poi, una nuova celebrata affermazione a Daytona e a Misano. Il campionato del Mondo Superbike sarebbe nato l’anno seguente, con l’intento, come avrà modo di raccontare Marco, di portare una ventata nuova nel panorama delle corse. Si voleva qualcosa che fosse diverso dal mondiale a due tempi e si voleva ringiovanire la serie iridata dedicata alle Formula 1.
Era stato individuato il terreno ideale per far competere Marco con la nuova moto, la Ducati 851. Nella serie iridata del 1988 Lucchinelli si presentava al via con una moto certamente particolare, con il telaio a traliccio, quattro valvole per cilindro e l’iniezione elettronica Weber, che equipaggiava anche la Ferrari in Formula 1.
Quella dell’iniezione fu una scommessa che avrebbe ripagato e fatto tendenza negli anni a venire, ma che fu causa di problemi di affidabilità nel 1988: la moto si spegneva, non si sapeva perché, per poi riaccendersi dopo una decina di secondi.
Nonostante questo, quando tutto funzionava, il binomio Lucchinelli/Ducati metteva paura. Secondo dietro alla Bimota di Tardozzi in Gara-1, fu vittorioso in Gara-2 nel round inaugurale di Donington. La Ducati aveva intrapreso una strada lungo la quale avrebbe mietuto allori a raffica.
Marco si impose anche in Gara-1 a Zeltweg e solo la malaugurata decisione di non prendere parte alle ultime due gare, in Australia e Nuova Zelanda, privarono lui e la Ducati della possibilità di giocarsi il titolo. Che cosa era successo?
E’ lo stesso Marco a raccontarlo: “A due gare dalla fine ero secondo a quattordici punti dal primo, Tardozzi. Ci riunimmo e, data la scarsità dei mezzi economici a disposizione, fummo io, i Castiglioni e Farné, a decidere di rimanere a casa. Non ci abbiamo creduto, quando invece fu Merkel che era terzo, a un punto da me, a vincere il titolo. ”
Marco sente che lui e la Ducati avrebbero potuto vincere già al primo anno, ma la decisione presa era condivisibile, vuoi per la costanza di risultati esibita da Tardozzi fino a quelle due gare dal termine, vuoi perché in Ducati, per correre, erano ancora gli anni dei sacrifici:
“Nel 1988, per poter fare le gare in Superbike, si lavorava gratis, spesso la notte…”
“Ci presentavamo alle gare con un furgone con il telone. – racconta Marco – Gli anni seguenti, quando io diventai manager, avemmo finalmente il nostro bel camion e un po’ più di disponibilità, ma in quel 1988 si lavorava gratis, spesso la notte, per poter andare a fare le gare. Ero io che li avevo convinti a disputare il mondiale, altrimenti la Ducati non avrebbe neppure partecipato. Io ero l’uomo che tutti volevano battere, si correva per battere Lucchinelli, il campione del mondo della 500, l’ex pilota della Honda. Se non ci fossi stato io, pochi avrebbero parlato della Superbike, così come nessuno sarebbe andato a Daytona, dove prima di me non era mai andato nessuno da vent’anni.“
Nel 1989 Claudio e Gianfranco Castiglioni spingono Marco a smettere i panni del pilota per indossare quelli di manager: Lucchinelli si fa carico di tutta l’organizzazione, dei contatti con gli sponsor.
“Alla fine del 1988, se avessi preso e mollato tutto lì, forse in Ducati non avrebbero più corso, perché si sarebbe data la precedenza alla produzione a discapito della partecipazione alle gare. In questo mio impegno, a contare parecchio è stata la mia amicizia con i Castiglioni. Per questo ce l’abbiamo fatta: io a fare il manager e Ducati a vincere il titolo mondiale già nel 1990…“
Foto archivio Mondo Ducati
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