Proprio come è successo in certe occasioni in tempi recenti, anche nel lontano 1979 Ducati pensò bene di celebrare l’incredibile vittoria di Mike Hailwood al Tourist Trophy del 1978 con una versione speciale, una replica celebrativa di un successo che era stato tanto clamoroso quanto inaspettato.
Infatti, nessuno avrebbe scommesso una sterlina sulle possibilità che Mike, al rientro alle corse dopo una lunga inattività e per di più alla guida di una bicilindrica, potesse battere un campionissimo come Phil Read alla guida della potentissima Honda quattro cilindri.
Eppure successe proprio così e non solo: il buon vecchio Mike (alla veneranda età di 38 anni!) rifilò una bella lezione a tutti quanti, arrivando sul traguardo con un discreto distacco dal secondo!
Si ripetè, quindi, a distanza di pochi anni, una notevole affermazione di Ducati nelle competizioni motociclistiche al tempo più affermate, replicando così l’altrettanto clamorosa doppietta di Paul Smart e Bruno Spaggiari alla 200 Miglia di Imola del 1972.
Nacque da qui, in buona sostanza, la fama della marca bolognese nel settore delle moto sportive senza compromessi, armi basate su un’architettura già al tempo ritenuta superata per le competizioni, ovvero il bicilindrico, per lo più a coppie coniche come in questo caso.
Ovvio che a Borgo Panigale si decise di sfruttare anche commercialmente questa situazione, facendo nascere così la MHR 900, ovvero la Mike Hailwood Replica.
Nel 1979, dunque, la MHR debuttò sul mercato in edizione limitata, ma poi la grande quantità di ordini provenienti da tutto il mondo, spinse la Casa bolognese a produrla come una normale moto di serie.
La base di questa versione era la 900 Super Sport, sulla quale erano state apportate poche modifiche e quasi tutte a livello estetico: su tutte, ovviamente, una carena integrale caratterizzata da una livrea tricolore uguale a quella della moto di Mike, che in realtà rappresentava i colori del suo sponsor principale, ovvero la Castrol.
A differenza della Super Sport, che impiegava una strumentazione Veglia o Smiths, la 900 Replica disponeva di affidabili strumenti Nippon Denso; inoltre, i cerchi non erano più Speedline, ma Campagnolo, molto simili a quelli utilizzati da Hailwood sull’Isola di Man, anche se la versione successiva fu equipaggiata con cerchi FPS.
Come detto, l’aspetto inconfondibile della MHR era comunque rappresentato dalla carenatura integrale, elemento di distinzione, anche se la sua rimozione rappresentava un vero e proprio incubo per i meccanici che dovevano effettuare la manutenzione, visto che era costituita da un unico pezzo.
Singolare poi il fatto che fosse priva di fianchetti, così che risaltava in bella vista il carburatore del cilindro posteriore, un Dell’Orto da 40 mm, e la batteria.
Numerose erano invece le affinità con la 900 Super Sport dal punto di vista meccanico: il bicilindrico Desmo raffreddato ad aria aveva infatti una cilindrata di 864 cc, anche se la potenza dichiarata per la MHR era leggermente superiore a quella della SS. Alla replica della moto con cui il leggendario pilota aveva trionfato al Tourist Trophy veniva accreditata inoltre una velocità massima di circa 200 Km/h, un valore che all’epoca incuteva grande rispetto. Uno dei punti deboli della prima MHR 900 era il sistema di messa in moto di tipo “kick starter”, piuttosto scomodo a causa della grossa cilindrata unitaria, poi sostituito con l’avviamento elettrico.
Resta il fatto che questa Ducati fosse superiore, in termini di guida, alla concorrenza giapponese, grazie alla generosa coppia a disposizione e alla stabilità della ciclistica. Certo, nei rapidi cambi di direzione occorreva una buona dose di fisicità, proprio come usava fare lo stesso Hailwood, ma questo faceva in un certo senso parte della tradizione di tutte le Ducati sportive, delle quali la MHR 900 è senza dubbio una delle più degne rappresentanti.
L’impresa di Mike Hailwood
Mike Hailwood era il classico figlio di papà: suo padre, infatti, era ricchissimo e, come abbiamo raccontato nell’articolo a lui dedicato, non si fece tanti problemi a rivolgersi a Ducati affinché realizzasse appositamente una moto per suo figlio. Ma Mike era un grandissimo pilota, uno dei più forti di sempre: non a caso è ricordato con il semplice ma azzeccato appellativo di “Mike the Bike”.
Dopo tante vittorie nel mondo delle due ruote, Mike partecipò anche ad alcune gare di Formula 1, ma nel 1974 ebbe un grave incidente che lo allontanò dal mondo delle corse. Poi, il clamoroso rientro, targato 1978, su un circuito che lo aveva visto vincitore innumerevoli volte: quello dell’Isola di Man.
Erano però passati tantissimi anni dalla sua ultima partecipazione in un Gran Premio, inoltre era ormai diffusa la convinzione che per vincere all’Isola di Man fosse necessario avere una moto a quattro cilindri e che un bicilindrico, a causa della potenza inferiore, non fosse competitivo su un tracciato del genere, dove si rimane a lungo con il gas spalancato.
Facile immaginare quindi lo stupore e lo sbalordimento di molti al termine della gara: non solo Hailwood aveva vinto, ma la sua clamorosa vittoria era stata ottenuta con un notevole vantaggio rispetto ai quattro cilindri giapponesi!
In quell’occasione, Mike siglò perfino il nuovo record della gara, che si svolgeva su sei giri dell’affascinante circuito stradale di 60,72 Km, per un totale di ben 364,32 Km.
Un’impresa straordinaria che molti hanno definito come la più grande di tutti i tempi in ambito motociclistico.
DUCATI MHR 900 SECONDA VERSIONE
Dopo due anni dalla sua presentazione, parallelamente allo sviluppo della 900 SS, alcune componenti della MHR vennero riviste, dando così vita, nel 1981, alla seconda versione della Mike Hailwood Replica.
E’ doveroso specificare, comunque, che è abbastanza difficile definire con precisione l’allestimento delle varie versioni della MHR, in quanto capitava di frequente che venissero allestiti piccoli lotti di veicoli che differivano per questo o quel componente, in quanto si adattava la produzione alle disponibilità del momento.
Il propulsore non subì però grossi stravolgimenti anche se disponeva di una potenza di 80 Cv a 7400 giri, qualche cavallo in più, al medesimo regime, della 900 Super Sport che non aveva i carburatori da 40 mm ma da 32. Il principale cambiamento che interessò questa versione fu l’introduzione di una carenatura in due pezzi, con la porzione inferiore asportabile, mentre la forma era praticamente la stessa di prima: una soluzione che permetteva di effettuare semplici interventi di manutenzione (come il cambio dell’olio) senza dover necessariamente rimuovere l’intera carenatura.
Inoltre, il nuovo modello aveva le scritte Ducati bianche sui lati e fu disegnata una nuova sella e dei nuovi fianchetti laterali. Tutte le MHR prodotte dal 1981 al 1983 avevano ruote in alluminio FPS, forcella Marzocchi (che nel tempo fu modificata per ridurne la corsa e aumentare la luce a terra), freni e pinze Brembo.
TERZA VERSIONE
La terza versione della MHR 900 presentò importanti modifiche, anche se rimase in listino per appena due anni, prima di essere sostituita dalla Mille.
Gli interventi riguardarono soprattutto il motore, con l’adozione dell’avviamento elettrico Nippon Denso, della frizione a secco con comando idraulico e di un filtro dell’olio a cartuccia posizionato in mezzo alla V generata dai gruppi termici.
Nuovi erano anche i cilindri e i pistoni, così come il basamento stesso e i coperchi dei carter.
Nel biennio 1983-1984 furono assemblati complessivamente 1457 esemplari di MHR 900 con avviamento elettrico.
L’impianto frenante, come andava di moda all’epoca sulle moto sportive, era composto da tre dischi abbondantemente traforati, gestiti da altrettante pinze Brembo P08, ma anche il resto della componentistica era tutta “Made in Italy” (a parte la strumentazione): oltre ai freni Brembo, infatti, gli ammortizzatori e la forcella erano Marzocchi, i cerchi Oscam così come altri dettagli provenienti dall’indotto nostrano. Alla fine del 1986, anno in cui ne fu cessata la produzione, quest’ultima versione rappresentava ancora uno dei modelli più fortunati dell’intera produzione Ducati e, dopo così tanti anni, mantiene ancora intatto tutto il suo fascino, essendo diventato una vera e propria icona del motociclismo.
ALLA GUIDA
Bella e aggressiva, impetuosa nella sua livrea tricolore, la MHR è una di quelle moto che sono entrate nel mito, capace di conquistare il cuore di tutti gli appassionati. La carenatura è piuttosto larga alla base, in piega estrema può toccare l’asfalto facendo alzare pericolosamente la moto.
La prima marcia è lunghissima, ma apprezzabili sono la manovrabilità, la stabilità e la tenuta del mezzo, mentre alle pedane, come sulle manopole dei semimanubri regolabili orizzontalmente, non giungono troppe vibrazioni dal bicilindrico coppie coniche. Dà il meglio di sé nei tratti misto-veloci con curve ampie, mentre è un po’ impegnativa nell’inserimento, la percorrenza e l’uscita dalle curve strette: per farlo bisogna forzare la moto.
La forcella si adegua abbastanza bene alle ondulazioni della strada, mentre è impeccabile il comportamento del telaio a doppia culla aperta, così come sufficientemente potente è la risposta del sistema frenante Brembo a tre dischi.
Il baricentro, come sulla moto di Mike, è abbastanza alto, con la linea di sella ben oltre gli 800 mm da terra, il che non rende la vita facile ai piloti di piccola taglia, andando a incidere negativamente sulle caratteristiche di maneggevolezza della moto.
Il propulsore entusiasma per la capacità di allungo (bastano poche centinaia di metri di rettilineo per raggiungere ottime prestazioni velocistiche) e per le doti di gran coppia in qualsiasi regime si trovi, mentre il cambio delle marce richiede una certa pazienza e precisione.
Insomma, la MHR 900 è una vera sportiva all’italiana, testimone di una grande impresa del motociclismo ed essa stessa icona intramontabile, superata solo dalla successiva versione, la ancora più rara e preziosa MHR 1000.
foto courtesy by Ducati Magazine
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