E’ per tutti, ancora adesso, “Gasolio”. Un soprannome che neanche lui si ricorda da dove abbia avuto origine. Forse ai tempi dell’impegno nel campionato europeo GP. Paolo Casoli, classe 1965, è un pilota che, ancora oggi, potrete trovare in pista a insegnare i trucchi della guida nell’ambito del Ducati Riding Experience.
La sua carriera di pilota inizia nel 1982, per diventare, cinque anni dopo, uno dei componenti della splendida pattuglia tricolore che affollava i primi posti della 125 GP: Casoli, appunto, Gresini, Casanova, Brigaglia e Gianola.
Proprio nel 1987, in sella a una AGV, vince il Gran Premio del Portogallo, conseguendo una serie di risultati che lo porteranno a chiudere il mondiale in terza posizione. Sembrava l’inizio di una carriera ricca di soddisfazioni, con il passaggio alla quarto di litro l’anno successivo, ma la Garelli prima, la Honda, la Yamaha e infine la Gilera, si riveleranno mezzi in grado di riservargli per lo più bocconi amari.
Così, Paolo lascia il Circus dei Gran Premi e inaugura una nuova pagina della propria carriera nel mondo delle derivate di serie.
Casoli passa dai GP, dove non aveva raccolto quanto meritava, alle derivate di serie e conosce una seconda giovinezza.
Vince, in sella alla Yamaha del Team Belgarda, il campionato italiano Superbike nel 1995, dando luogo a un duello, con Fabrizio Pirovano e la sua Ducati gestita dal Team Taurus, che caratterizza una delle più belle stagioni della serie nazionale. Passa alla Ducati del Team Gio.Ca.Moto l’anno successivo e si conferma campione, prendendo parte anche alla serie iridata, chiudendo al sedicesimo posto con cinquanta punti. La nostra storia, rivissuta attraverso il racconto del protagonista, ha inizio da qui.
Paolo Casoli e la 748
Nella seconda metà degli anni Novanta, la piccola di Borgo Panigale, la Ducati 748, affolla le griglie dei campionati Supersport.
“La 748 era un po’ antica rispetto alle moto giapponesi. Era molto stabile e sincera nelle reazioni, ma aveva un limite più basso.”
Lucchiari e Pirovano sono tra i primi a portarla ad affermazioni di rilievo e, nel 1997, è la volta di Gasolio: “Passando dalla Superbike alla Supersport, in seno al Team Gio.Ca.Moto mi fu detto che ci sarebbe stata la possibilità di disporre di materiale migliore, – inizia a raccontare Paolo – che sarebbe convenuto a tutti e che avrei potuto fare molto bene. Io non ne ero tanto convinto, dato che non nascondo di avere snobbato la categoria fino a quel momento, e poi ero scettico circa il fatto di dover correre con le Pirelli, anche se mi dicevano che andavano molto bene.”
Inizia così, indubbiamente controvoglia, un capitolo della carriera di Casoli in sella a una moto della quale l’emiliano si rivelerà il maggiore interprete.
“Mi sono dovuto ricredere su tutto. Mi sono trovato su un mezzo che non era così competitivo come mi veniva detto, ma che andava comunque bene. E’ stato l’anno del conseguimento del titolo mondiale.”
Gasolio, quando vince, domina, infliggendo agli avversari imbarazzanti distacchi. Assen, Oschersleben, Donington e Sugo sono tra le piste dove taglia per primo il traguardo.
“Diciamo che era una moto discreta, – la descrive così il pilota di Reggio Emilia – non era sicuramente quella che tutti gli appassionati pensavano che fosse. La 748 era davanti perché la guidavo io e davo il cento per cento, però la nostra moto non era una moto da stare davanti: c’erano altre Ducati, come quella della squadra di Batta, guidata da Pirovano, e quella del team Endoug, che andavano più forte della nostra. Poi c’erano le Yamaha e le Suzuki che cominciavano a essere competitive.”
Paolo Casoli entra nei particolari, svelandoci le impressioni che la 748 era in grado di dare: “Era una moto che andava molto bene, un po’ antica rispetto alle giapponesi: quando sono passato alla Yamaha YZF R6, mi è sembrato di ritrovarmi su una 250 GP. La 748 era antica – ripete Gasolio – come guida, con delle geometrie molto stradali. Era una moto che magari dava molta sicurezza, che dava subito confidenza, ma con un potenziale più basso della concorrenza. Meno nervosa, più sicura, ma certamente meno esasperata nel farsi portare al limite, proprio per il margine più basso che aveva.”
Per certi versi il racconto di Paolo riscrive, sotto una luce diversa, la storia dell’impegno della 748 nelle competizioni.
Persino il passaggio dalle insegne della Gio.Ca.Moto a quelle del Team Ducati Performance, emanazione diretta della neonata Ducati Corse, cambierà solo marginalmente la situazione nel 1998.
“Sì, perché anche quando siamo diventati il Team Ducati Infostrada non eravamo quello che si può definire un team ufficiale a tutti gli effetti. Soltanto l’immagine era quella di un team ufficiale. La 748 non è mai stata nel Reparto Corse Ducati: veniva approntata da Pietro Gianesin, che era un motorista esterno alla Ducati. La 748 non era fatta internamente, come invece avveniva per le Superbike.”
Poi prosegue, ribadendo il concetto: “Avevamo un’immagine che faceva pensare che fossimo una squadra ufficiale, ma in realtà non era così. Diciamo che la nostra era una moto superassistita, tutto lì!”
Gli chiediamo di ripercorrere le tappe che lo hanno portato a vincere il titolo, che nel 1997 si chiamava Supersport World Series: “Secondo me è stato un campionato facile. L’ho vinto con una facilità estrema. Per esempio: a Doning-
ton vinsi con 28 secondi di distacco sul secondo, e tutte le gare che ho vinto le ho portate a casa con grandi margini. Nonostante ciò, abbiamo avuto anche dei grandi problemi e fui fortunato a vincere il titolo a Sugo con una gara d’anticipo, perché a Sentul ero primo fino a che, a metà gara, mi si ruppe il motore. Pensa che alla fine ho vinto il titolo per un solo punto!”
Nel 1997 il binomio Casoli-Ducati funziona a corrente alternata, contrapponendo giornate di trionfo ad altre caratterizzate da gravi problemi.
“La moto si fermò parecchie volte, – conferma Gasolio – e ci fu anche un po’ di polemica perché io ebbi uno sfogo con i giornali, dicendo che alla Ducati non lavoravano, che non avevano interesse per la categoria e che ci avevano praticamente abbandonati; mi beccai una tirata di orecchie, anche se era la verità, perché non li vedevamo mai in pista, non ci aiutavano minimamente. La moto aveva dei problemi elettrici: a un certo punto si piantava e non si riusciva più a farla ripartire. Mi ricordo che caricammo la moto dopo la vittoria in Olanda e, giunti a Misano per dei test, la scaricammo così come era rimasta, ma non volle saperne di riaccendersi. Dovemmo cambiare tutti i cablaggi. Questo problema si manifestò parecchie altre volte, fino a che, finalmente, ci mandarono i tecnici della Magneti Marelli. Rischiammo veramente di perdere il mondiale.”
Nonostante questi problemi, impegnato anche nella serie nazionale, Gasolio farà suo anche il titolo italiano.
Seguiranno due anni, il 1998 e il 1999, dove i fatti sembrano dare ragione a Paolo, confermando sempre di più i problemi della 748 e, di contro, il valore crescente della concorrenza giapponese.
Casoli e la 748 hanno comunque sprazzi di luce, come testimoniano le vittorie a Donington e a Laguna Seca nel 1998. In un 1999 oltremodo tribolato, il pilota reggiano sembra invece avviato verso il declino. Viene impiegato come collaudatore della 996 Superbike nel CIV e vince il quarto titolo nazionale. Ha un missile sotto al sedere, che stona in quel contesto, data la scarsa competitività del campionato italiano di quegli anni.
E’ mal visto dai colleghi, tanto che Gasolio chiede ai vertici del team di sviluppo di partecipare solo alle prove, rinunciando alla gara, ma in Ducati c’è bisogno di testare le moto anche nella competizione vera e propria e l’imbarazzo del pilota conta poco.
Il titolo italiano, conseguito in questo clima, non lo ripaga delle delusioni patite nel Mondiale Supersport. Nel 2000 viene affiancato da un giovanissimo Ruben Xaus: il giovane di belle speranze che affianca il pilota in fase discendente.
Lo spagnolo non gli va giù: “Io ho un ricordo pessimo di Xaus, però era il mio compagno di squadra. Io facevo la mia strada e lui la sua. Entrò in Ducati dicendo che arrivava per vincere il mondiale, affermando che ero un pilota che non andava. Alla fine io mi sono giocato il mondiale arrivando secondo per due punti e lui nono. Era uno che parlava molto.”
Ma cosa successe in quel finale di campionato appassionante che alla fine vide Paolo uscire sconfitto dal tedesco Teuchert?
“L’ultima gara si disputò a Brands Hatch, dove tornammo per la seconda volta in quella stagione. Io ero contento perché quella pista mi piace tantissimo. Pensavo di poter fare benissimo, anche perché in agosto ci avevo vinto. Noi eravamo l’unico team che correva con Michelin e la Casa francese aveva un po’ abbandonato il lavoro di sviluppo in Supersport: non avevamo le intermedie, ma solo le slick scolpite. Facemmo prove e warm-up con il bagnato e partivo dalla pole. Mi piaceva correre sotto l’acqua e quindi ero sereno. L’unica condizione che non avrei voluto fu quella che poi si verificò: pista bagnata che andò mano a mano asciugandosi. Temevo che succedesse proprio perché non disponevamo delle intermedie.”
Gasolio continua il racconto precisando la situazione tecnica circa le gomme: “Erano slick scolpite che, nonostante appunto la scolpitura, rimanevano pur sempre delle slick. La scolpitura non fa niente: la gomma intermedia la fa la mescola! Io partii per la gara con le rain, perché avevo paura di andare per terra entro pochi giri, quando Tardozzi, per la verità mi consigliò di partire con le slick. Ero troppo teso e gli dissi che non ce l’avrei potuta fare. Xaus montò le slick. Cercò anche di darmi una mano a vincere il mondiale, ma io non ce la feci: fino a metà gara rimasi in testa, poi man mano che la pista si andava asciugando, mi vennero a prendere tutti. E alla fine ho perso il mondiale.”
Fu l’ultima stagione in sella alla Ducati di Paolo Casoli, il pilota con il pipistrello sul casco. Già, giusto per chiudere, gli abbiamo chiesto: che significato ha e da dove deriva?
“Da un fumetto di Alan Ford, un fumetto dei miei tempi, il Gruppo TNT. Mi ricordo anche il titolo: “Natale col vampiro”. C’era Bob Rock, uno dei personaggi, che veniva morso da un vampiro e si trasformava in un pipistrello. Mi piacque tantissimo, tanto che lo disegnai sul casco prima io stesso, con il pennarello ed i colori, poi lo vide Aldo Drudi e volle farmelo lui. Da allora l’ho usato sempre e lo uso tutt’ora quando sono impegnato con il DRE.”
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