In Ducati, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, i dirigenti attribuirono grande valore alla risonanza derivante dalle affermazioni sportive. Competere, vincere, o comunque ottenere dei buoni risultati, avrebbe avuto una ricaduta positiva sul prodotto di serie.
Erano gli anni nei quali era in atto una grande rivoluzione nel nostro Paese: sotto la spinta dell’invasione delle moto giapponesi, infatti, bisognava fissare più in alto l’asticella per quanto riguardava la cilindrata dei prodotti.
Se, un tempo, tutto il mercato delle moto italiane del dopoguerra era popolato da mezzi che raramente superavano i 200 cc, adesso bisognava farsi trovare preparati per la nuova sfida. Negli anni che seguirono il boom economico, la motocicletta, da mezzo utilitario “povero”, stava assumendo quella personalità che l’avrebbe per sempre distinta, come oggetto e come destinazione d’uso, dalla concorrente auto utilitaria.
Adesso la moto assumeva un carattere autonomo, slegato da necessità ed esigenze di pura mobilità. Nasceva la moto come oggetto bello, ludico, da bramare e con essa nasceva e si affermava la personalità del motociclista per scelta.
Il motociclismo sportivo incarnava alla perfezione la volontà anticonvenzionale dei giovani, in un turbinio di rivoluzioni sociologiche che ebbero come colonna sonora, oltre alla musica rock più bella di tutti i tempi, anche il sound che gli scarichi di queste nuove moto rilasciavano per le strade.
Anche le corse in moto si stavano trasformando, iniziando, anche se con estrema lentezza, a interessare il mezzo televisivo e a raggiungere le grandi masse.
I piloti, proprio in quegli anni, iniziavano a diventare delle star. Fredmano Spairani, dirigente lungimirante a Borgo Panigale, lo capì e un nuovo e potente impulso scosse la Ducati. L’Ingegner Fabio Taglioni fu chiamato a tradurre in termini pratici questa nuova volontà e non si fece trovare impreparato.
La volontà era quella di rientrare nelle competizioni dalla porta principale, con una moto di 500 cc. I lavori partirono nell’ottobre del 1970.
Fu approntato un motore utilizzando i carter fusi in terra del modello 750 GT, scartati dalla produzione perché giudicati troppo piccoli e leggeri. Sembravano fatti apposta per una moto da corsa e Taglioni vi adattò due gruppi termici da 250 cc, formando un angolo di 90°, a descrivere una “L”.
Furono poi preparati due telai: uno dallo specialista italiano Verlicchi e l’altro dall’inglese Colin Seeley. Ne venne fuori una moto con ingombro frontale da monocilindrico, equilibrata e, cosa importante viste le premesse, con una somiglianza eccezionale al prodotto di serie: la Ducati 750 GT.
La moto debuttò nel 1971, nella gara del campionato nazionale a Modena. I buoni risultati di Ermanno Giuliano e Bruno Spaggiari, anche se penalizzati da problemi di affidabilità, confermarono che la strada intrapresa era quella giusta: la moto era equilibrata e le vibrazioni contenute.
In sella alla nuova Ducati 500 bicilindrica, Phil Read si dimostrò subito competitivo, piazzandosi vicino ad Agostini e alle MV Agusta ufficiali.
Le MV ufficiali di Agostini e Bergamonti erano irraggiungibili, ma le Ducati 500 si trovarono spesso a guidare la muta degli inseguitori.
Sotto questa spinta, si volle associare alla Ducati un grande nome del motociclismo. La prima scelta fu Mike Hailwood, ma quest’ultimo, impegnato con la nuova carriera in auto, era indisponibile.
Si cercò allora un altro pilota, dalla fama altrettanto altisonante, ma, stavolta, nel pieno del suo percorso sportivo in moto: Phil Read.
Nato a Luton, in Inghilterra, il primo gennaio 1939, Phil vantava già all’epoca tre titoli mondiali in 250, ottenuti in sella alla Yamaha nel 1964, 1965 e 1968, e uno in 125, con la stessa moto, sempre nel 1968.
Inoltre, poteva dirsi un pilota esperto in 500, avendo ottenuto risultati di vertice in sella ai grossi monocilindrici Norton e Matchless. E’ lo stesso pilota inglese, nominato baronetto per meriti sportivi dalla regina Elisabetta II, a raccontarci il suo periodo con la Ducati 500: “Nel 1971, la Ducati produsse il primo bicilindrico a V. – inizia a raccontare Phil – L’intenzione era quella, in un primo momento, di mettere in produzione una moto da competizione più potente di quelle che erano a disposizione dei pilati privati: le Norton Manx e le Matchless G50.”
Non dimentichiamo che erano gli anni nei quali le MV Agusta non avevano rivali e che la Yamaha e la Suzuki, ritiratasi la Honda, non avevano ancora impegnato tutto il loro potenziale derivante dalle loro formidabili moto a due tempi.
“Fabio Taglioni aveva unito due gruppi termici da 250 cc a formare il suo nuovo V-twin. Colin Seeley, il disegnatore e produttore britannico di telai, costruì la prima ciclistica per la Ducati.”
Dunque la Ducati nasceva con le premesse per farsi spazio al vertice delle competizioni, per rappresentare la figura dell’outsider principale delle moto prodotte a Cascina Costa.
“A quei tempi, – continua Read – io ero uno dei piloti da Gran Premio più competitivi e in Ducati mi chiesero di guidare la loro nuova moto in diverse gare del campionato italiano, come quella di Modena e quella di Sanremo.”
I risultati furono incoraggianti: “Certo, terminai le gare in seconda posizione, preceduto solo da Agostini con la MV Agusta ufficiale. Questi grandi risultati portarono la Ducati a propormi di correre, sempre con la 500 bicilindrica, nel Gran Premio delle Nazioni a Monza, valido per il campionato del mondo.”
Era il 12 settembre 1971. Quel giorno, Phil correva anche con la Yamaha nella 250, nell’anno in cui si fregiò dell’ennesimo titolo in questa classe. L’ordine d’arrivo lo aveva visto terzo, dietro a Rodney Gould, altro britannico, e all’australiano Kel Carruthers: “Con la Ducati, nella gara riservata alle 500, finii quarto, dietro alla MV di Pagani e a due velocissime Kawasaki a due tempi.”
Primo Pagani, dunque, secondo Gianpiero Zubani, terzo Dave Simmonds. Phil al quarto posto e, mentre gli inseguitori avevano subìto un distacco di oltre un minuto dalla MV, la Ducati era riuscita ad arrivare a una manciata di secondi dal podio. Inoltre, Bruno Spaggiari, sebbene primo dei doppiati, era riuscito a portare la sua Ducati al quinto posto.
L’ordine d’arrivo registra anche il nono posto di un’altra delle moto di Borgo Panigale, quella affidata a Giuseppe Mongardi, che tagliò il traguardo distaccato di quattro giri. “La gara che ricordo con maggiore soddisfazione, però, è quella internazionale di Sanremo contro Agostini, nei primi mesi del 1971. Bruno Spaggiari, il pilota collaudatore, era mio compagno di squadra in sella alla stessa Ducati. Seguivamo Ago da parecchi giri sul circuito collinare. Vedevo che Bruno, davanti a me, non aveva intenzione di passare e così ho forzato una staccata per accodarmi ad Agostini. Ci siamo scambiati la posizione diverse volte, sorpassandoci ed eccitando la folla degli appassionati. Negli ultimi giri, Ago ha dovuto dare fondo a tutto il suo impegno nella guida e ha dovuto ricorrere a tutta la potenza in più della sua moto per potermi staccare.”
I risultati di Read sulla Ducati furono incoraggianti, ma il progetto non ebbe seguito: “Sfortunatamente, non mi pagarono per restare con loro e non mi offrirono nessun contratto per il futuro. Lo sviluppo del progetto Ducati 500 GP fu interrotto per portare avanti la nuova, meravigliosa 750 di Taglioni a comando desmodromico della distribuzione, quella che rappresenta il punto di partenza da cui derivano tutti i fantastici bicilindrici Ducati odierni, da corsa e da strada. Di quel periodo conservo l’amicizia di tutti i miei tecnici, con i quali sono rimasto in buonissimi rapporti.”
Phil Read, Member of British Empire (come i Beatles o come Carl Fogarty), vinse ancora molto (anche al Tourist Trophy), con ogni tipo di moto, e si laureò campione del mondo della 500 nel 1973 e 1974, in sella alla MV Agusta, contendendo ad Agostini gli ultimi lampi della fantastica epopea della moto italiana.
SBK a Jerez: avanti tutta!
A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.
Perché sosteniamo un pilota e non un altro?
Un ragionamento sulle motivazioni che ci spingono a sostenere e a trovare spesso giustificazioni per i nostri beniamini.