Ci sono moto nate con l’intento di andare semplicemente il più forte possibile e altre, invece, che cercano di essere comunque performanti, ma in modo diverso, percorrendo la strada dell’esclusività tecnica.
La Bimota Tesi 3D fa parte senza dubbio di queste ultime. Non la si può definire una supersportiva in senso stretto, ma neppure un sportiva stradale. Non è neppure una concept bike o una special, visto che, dopo essere stata presentata con successo al Salone di Milano del 2006, adesso viene prodotta in seppur piccola serie all’interno degli stabilimenti riminesi.
Di certo si tratta di una moto che non passa inosservata, ma questa espressione, nel caso della Tesi 3D, rischia di essere addirittura riduttiva.
Se si ha la fortuna, come è capitato a noi, di avere questo modello a disposizione per qualche giorno, si impara subito a fare i conti con il fatto di ritrovarsi inevitabilmente al centro dell’attenzione, piaccia o no. In pratica, non esiste bar o semaforo dove questa Bimota non sia letteralmente presa d’assalto dai curiosi.
Del resto la sua estetica, opera di Enrico Borghesan, la rende assolutamente diversa da qualsiasi altra moto.
Non è solo dal punto di vista dell’apparenza, tuttavia, che la 3D rappresenta una voce fuori dal coro.
La sua guida, infatti, è altrettanto particolare, in diretta conseguenza alle anticonvenzionali scelte che ne caratterizzano la parte ciclistica.
Il progetto Tesi, come molti sanno, affonda le sue radici nel passato è può essere considerato come quello che meglio rappresenta lo spirito Bimota.
Il telaio a omega e la sospensione anteriore con forcellone oscillante, che sulla 3D è realizzato in traliccio di tubi e che va ad azionare un ammortizzatore (denominato Pull-Rod) privo di molla che lavora per trazione anziché per compressione, sono stati definiti per il duplice scopo di distinguersi dalla massa e, se possibile, dimostrare che un veicolo a due ruote può andare altrettanto bene, se non addirittura meglio, anche senza la tradizionale forcella telescopica, che caratterizza ormai la stragrande maggioranza della produzione mondiale.
Ecco, dunque, l’eredità raccolta da questo modello, che nasce intorno al rinomato e ultracollaudato bicilindrico Ducati a due valvole raffreddato ad aria da 1100 cc.
Rispetto all’unità che equipaggia la gamma di veicoli prodotti a Borgo Panigale, il propulsore della Tesi differisce per l’impianto di scarico, che è di tipo due in uno in due, simile a quello impiegato sul modello DB6 Delirio, con i silenziatori che terminano nella parte sottostante allo spigoloso codone (rigorosamente monoposto), e per la diversa gestione elettronica, affidata in questo caso a una centralina Walbro, lo stesso fornitore al quale è stato affidato pure l’impianto di iniezione e accensione, anche se gli iniettori sono della Magneti Marelli.
Le ben note caratteristiche del Desmodue con doppia accensione rimangono pressoché inalterate, se si esclude il fatto che sulla moto riminese la frizione a secco ha un attuatore idraulico dedicato, oltre a prevedere un piccolo coperchio semiaperto in fibra di carbonio che amplifica il tipico rumore di questo componente, per la gioia degli amanti di tutto ciò che “fa molto racing”.
Il resto, invece, è tutta farina del sacco Bimota, a cominciare appunto dalla struttura ciclistica incentrata su due piastre laterali in alluminio ricavato dal pieno, con forcellone anteriore e posteriore in traliccio di tubi al cromo molibdeno, il secondo dei quali è ulteriormente impreziosito da due elementi in alluminio lavorato che integrano i tendicatena.
Le sorprese, o meglio le prelibatezze tecniche, non finiscono comunque qui, visto che la struttura reggisella è costituita da un codone portante in fibra di carbonio. Una soluzione che coniuga, allo stesso tempo, leggerezza, resistenza ed esclusività.
Per quanto riguarda le sospensioni, abbiamo già citato il fatto che quella anteriore non è dotata di molla, al contrario di quella posteriore, che però è prodotta dalla stessa azienda, la Extreme-Tech, e prevede tutte le regolazioni del caso, con i freni idraulici dotati di registri relativi sia alle alte che alle basse velocità di funzionamento.
Bimota al 100% è anche l’impianto frenante, che conta su due dischi anteriori completamente flottanti da 320 mm in abbinamento ad altrettante pinze a quattro pistoncini e quattro pastiglie munite di attacco radiale. Va detto che la Tesi 3D è la prima moto con forcellone anteriore a sfruttare questo tipo di attacco, dal momento che nell’epoca in cui il primo progetto Tesi prese forma questa tecnologia non era ancora disponibile.
Il comando al manubrio è anch’esso di tipo radiale e, così come quello della frizione, conta su una bellissima leva in alluminio lavorato dal pieno con il marchio Bimota ricavato sopra.
Al retrotreno troviamo un piccolo disco da 220 mm gestito da una pinza Bimota a due pistoncini.
I cerchi sono prodotti dalla Marvic, ma seguono comunque le specifiche imposte dalla Casa romagnola: sono in lega di alluminio forgiato e dispongono di un particolare disegno a sette razze radiali, anziché volventi come accade di solito.
Le loro misure sono rispettivamente di 3,50×17″ all’anteriore e 5,50×17″ al posteriore e calzano pneumatici Continental Sport Attack di primo equipaggiamento nelle misure 120/70 e 180/55.
Sulla carta, a stupire sono i numeri assolutamente contenuti di questa moto, che ha un interasse di soli 1390 mm (un vero record se si parla di mezzi motorizzati con il bicilindrico Ducati a due valvole), una larghezza totale di 720 mm (anche in questo caso un valore di riferimento, intuibile immediatamente osservando l’esile sezione frontale del veicolo) e un peso a secco dichiarato pari a 168 Kg, frutto della gran quantità di materiali pregiati utilizzati e del minimalismo progettuale attuato dai tecnici Bimota che fanno capo all’Ingegner Andrea Acquaviva.
Come va la Bimota Tesi 3D
Anche se, probabilmente, chi entrerà in possesso delle pochissime (si parla di poche decine di unità) Tesi 3D che usciranno dalla fabbrica di Via Giaccaglia a Rimini non lo farà principalmente per le doti di guida di questo modello, quanto per il gusto di possedere un oggetto a dir poco elitario, va subito messo in chiaro che questa Bimota è quanto di più lontano da un mezzo che predilige la forma alla sostanza.
La sua progettazione, infatti, è stata portata avanti in modo molto consistente, tanto da palesare, su strada, un’efficacia e un equilibrio dinamici che la collocano di diritto uno step (ma anche due) avanti alle sue progenitrici.
La nuova Tesi non richiede, infatti, quel lungo periodo di apprendistato necessario sulle versioni che l’hanno preceduta e, soprattutto, non pone di fronte a quella sorta di atto di fede per quanto riguarda il feeling con la ruota anteriore che fino ad oggi costituiva una delle principali caratteristiche delle moto con forcellone anteriore, Vyrus o Tesi che fossero.
Onore al merito, dunque, per quanto riguarda il lavoro di sviluppo svolto all’interno della fabbrica riminese in questi anni, durante i quali si è cercato di sviscerare al meglio i reali vantaggi che questo tipo di soluzione può garantire, eliminando viceversa i principali difetti che affliggevano i primi esemplari.
A tutto ciò si contrappone, tuttavia, una posizione di guida piuttosto sacrificata, che vede la sella molto stretta e inclinata in avanti, le pedane particolarmente alte e arretrate, tali da costringere il pilota a trasferire gran parte del suo peso sulle braccia.
Fortuna vuole che l’inclinazione dei semimanubri risulti azzeccata e motivo di comfort anziché del contrario, ma rimane il fatto che, soprattutto nei tratti in discesa, la Tesi impone una guida particolarmente stancante per la parte alta del corpo.
Al carico sui polsi si aggiunge infatti la fatica indotta dagli spostamenti del busto, inevitabili laddove si voglia mantenere un controllo ottimale del mezzo.
Da questo punto di vista, poi, la straordinaria snellezza della Tesi non migliora la situazione, impedendo al conducente di “sentire” la moto sotto al sedere, tanto è stretta. Talvolta, addirittura, la sensazione è che essa tenda a scappare tra le gambe di chi guida, visto che non sempre è possibile esercitare la dovuta pressione sulle altissime pedane e, dunque, stabilizzarsi un po’ a bordo.
In ogni caso, si tratta di una condizione che non pregiudica affatto la resa dinamica del veicolo. Paradossalmente, infatti, pur essendo così faticosa la 3D risulta molto maneggevole e in salita, quando si può sfruttare l’appoggio offerto dalla parte posteriore della sella, andando così ad alleviare il carico sulle braccia, è possibile apprezzare un’agilità fuori dal comune senza dover sudare sette camicie.
Il frangente che rappresenta senza dubbio un punto di forza della Tesi è la frenata. Il fatto che l’avantreno non affondi in tale contesto fa sì che si possa ritardare il momento in cui si inizia ad agire sui tre dischi e a questo va aggiunta l’ottima risposta da parte dell’impianto made in Bimota, non troppo aggressivo, com’è giusto che sia su una moto destinata a circolare su strada, ma al tempo stesso potente quanto basta per innescare un po’ di chattering al retrotreno qualora si scali una marcia di troppo per eccesso di foga.
La nuova Tesi non è infatti dotata di frizione antisaltellamento, ma va comunque detto che la sua mancanza si fa sentire solo nell’utilizzo estremo.
Bisogna tenere conto del fatto che la taratura delle sospensioni è improntata a una guida sportiva, dunque non risulta particolarmente morbida, soprattutto al posteriore, il che non favorisce il comfort, come dicevamo all’inizio, ma per contro trasmette comunque sicurezza, senza mai innescare reazioni brusche o improvvise.
A garanzia di una guida facile e piacevole c’è invece il bicilindrico Ducati a due valvole che, non ci stancheremo mai di ripeterlo, si conferma la miglior motorizzazione auspicabile per una moto stradale.
Sull’esemplare protagonista della nostra prova, l’unico difetto riscontrato riguardava il cambio, tendenzialmente duro nelle prime tre marce, ma siamo sicuri che fosse un’eccezione alla regola che vuole la trasmissione dei motori bolognesi tra le più morbide e precise in assoluto. Su strada la Tesi 3D è in grado di mantenere un ritmo di tutto rispetto e, soprattutto nel misto stretto, si destreggia con un’agilità sorprendente, fatta di cambi di direzione fulminei e angoli di piega davvero notevoli, scanditi da un avantreno sempre piacevolmente neutro.
Nulla da dire, inoltre, sul grip offerto dalle coperture di primo equipaggiamento che per tutta la durata del nostro test, che si è svolto con temperature abbondantemente sopra i 30 °C, non hanno mostrato il minimo segnale di cedimento, oltre a disporre di un profilo che favorisce l’inserimento in curva.
Nel libro nero vanno invece gli specchietti retrovisori, messi lì giusto perché la legge lo impone, ma assolutamente inutili dal punto di vista funzionale, l‘angolo di sterzata, che seppur aumentato rispetto alle precedenti versioni costringe comunque a più di una manovra durante le inversioni a U, e le viti che fissano le estremità dell’ammortizzatore anteriore, decisamente al di sotto del livello di finiture cui Bimota deve assolutamente tenere fede, visto e considerato anche l’elevato prezzo d’acquisto.
Rimane invece il merito di aver creato un mezzo assolutamente unico con delle risorse neppure lontanamente paragonabili a quelle di altre case costruttrici che invece non si azzardano a uscire dagli schemi di un mercato ormai sempre più omologato.
Meno male, dunque, che ci pensiamo noi italiani, con il nostro genio e la nostra fantasia, ad andare contro tendenza.
Foto di Giovanni Del Bravo
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