L’orologio segna le sei e tre quarti di pomeriggio. La giornata è stata di quelle pesanti. Lavoro, lavoro e ancora lavoro. Direi che per oggi può bastare, senza considerare che è pure venerdì. Arresto i computer, spengo le luci della redazione e scendo a prendere la GT 1000 che abbiamo in garage.
La mia unica preoccupazione, in questo momento, è quella di lasciarmi alle spalle tutto lo stress accumulato durante una settimana che è sembrata durare un mese intero.
Lunedì riprenderò da dove ho lasciato, ma per adesso via. Giro la chiave su on e la strumentazione si accende come un albero di Natale, con le lancette che schizzano verso il fondoscala.
Premo il tasto di accensione e, dopo un paio di giri dell’albero motore, il bicilindrico prende vita automaticamente. La “voce” del motore ha un timbro pacato, ma il regime sale con entusiasmo a ogni piccola sgassata.
Ingrano la prima, lascio la frizione e con una progressione dolce come quella di uno scooterone inizio a guadagnare velocità. L’aria della sera è fresca, ma non al punto di infastidire nonostante il giubbotto leggero. Si respira odore d’estate, pur se alla lontana.
Inserisco le marce una dopo l’altra, in modo di dare tempo al motore di entrare in temperatura e di mantenere un’andatura tranquilla. Anche a 2000 giri in sesta, infatti, basta aprire parzialmente il gas per sentire un’ottima spinta sotto al sedere, capace di farti riprendere velocità senza strappi, ma in tempi utili.
La sella è larga e, all’occorrenza, vale a dire quando non si viaggia in coppia, è possibile arretrare piacevolmente con il bacino, mantenendo una posizione non proprio fotogenica, ma… chi se ne frega!
Questa moto è fatta per andarsene in giro comodi e senza fretta, dunque va bene così. Anche il manubrio segue la stessa filosofia. Alto, largo, con una impugnatura che permette di gestire un’ottima leva sia nelle manovre da fermo che una volta in marcia.
Mi fermo a un bar del centro. L’ora è quella giusta per un aperitivo. Il gestore del locale mi chiede di che modello si tratta. “E’ una Ducati. – gli spiego – Di quelle che fanno il verso ai modelli degli anni Settanta, ma che fortunatamente si guidano come quelle di adesso!”
Il mio interlocutore si mette a ridere, ma il sorriso scompare di colpo quando sente il valore della cilindrata.
In effetti, 1000 cc in un mezzo apparentemente così piccolo e dall’aspetto pacioso non te li aspetteresti, anche se in realtà le caratteristiche del motore sono perfettamente in linea con l’indole del mezzo. La GT 1000, infatti, rappresenta l’ennesima conferma di come il Desmodue a doppia accensione da un litro (o più) sia in assoluto il miglior propulsore al mondo per l’utilizzo su strada.
Guidandola ad occhi chiusi, la si potrebbe scambiare per un Monster in allestimento “comfort”. Al di là della diversa posizione di guida, infatti, le sospensioni hanno un comportamento ancora più tollerante nei confronti di buche e quant’altro.
Del resto, inutile insistere con assetti da pista: in città le buche ci sono, dunque meglio farci i conti a priori.
Mentre penso questo, pago il conto e mi accorgo che ho una strana espressione sulla faccia. Come tanti altri ducatisti, accaniti sostenitori del concetto di “derivata di serie”, o race replica se preferite, mai e poi mai mi sarei immaginato di ritrovarmi a fare un ragionamento di questo tipo. Forse non me ne sono ancora reso conto, ma anche io sto invecchiando.
Mi dirigo di nuovo verso la GT e trovo un paio di persone lì accanto. Sarà per la livrea bicolore, o semplicemente per il fatto che una moto, specie se ha il marchio Ducati sul serbatoio, attira sempre l’attenzione, ma devo riconoscere che questa Sport Classic non passa inosservata.
Molti non sanno neppure di quale modello si tratta, ma la prima domanda che mi fanno è se ha lo stesso motore della Desmosedici. “Beh, più o meno!”, gli dico io con un tono tra l’ironico e il professionale.
Nel frattempo, il sole si è appena nascosto dietro l’orizzonte e il cielo si sta tingendo di rosso. Rimonto in sella, allaccio il casco, tolgo il cavalletto e riparto. Durante la sosta il motore non è neppure sceso di temperatura, così imbocco una strada secondaria che conosco bene e inizio a tirare un po’. Mezzo gas: seconda, terza, quarta. Il tachimetro indica 100 Km/h e poco più di 4000 giri.
Nonostante il peso a secco prossimo ai 200 Kg, questa moto palesa una maneggevolezza confortante. L’avantreno è ben direzionale e risponde in modo coerente e sufficientemente veloce. Arrivo a un tornante particolarmente stretto. Mi allargo, pinzo, seconda. La GT si accuatta sulla forcella, ma rimane stabilissima e in pochi metri decelera quanto basta per mollare i freni e inserire la moto in curva con una semplice pressione su manubrio e pedane.
La piega è discreta e anche le gomme di primo equipaggiamento sembrano svolgere egregiamente il loro lavoro. Non appena vedo l’uscita, punto il gas e inizio a raddrizzare. Il motore sostiene benissimo l’input e grazie alla sua spinta mi aiuta a disegnare una traiettoria rotonda e allungata.
Man mano che le curve passano, mi accorgo che ci sto prendendo gusto e, in alcune frenate, grazie all’ottima modulabilità dell’impianto posteriore, arrivo addirittura con il retrotreno leggermente intraversato. Inoltre, nella fase di rilascio, dallo scarico parte occasionalmente qualche sonoro scoppio che non fa altro che esaltarmi ancora di più. Poi, però, decido che non è il caso di esagerare e torno al mio ritmo da passeggio.
Senza rendermene conto, ho percorso quasi venti chilometri e, nel frattempo, si è fatta notte. Torno dunque a puntare verso la città, con le sue luci artificiali, il suo stress quotidiano, il traffico.
Era da tanto tempo che non provavo una sensazione così piacevole, che mi fa riflettere su come spesso si metta il mezzo che guidiamo al centro dell’essere motociclisti, mentre in realtà la cosa più importante è, semplicemente, andare.
La GT 1000 ti permette di fare tutto con naturalezza e senza troppa fatica. Infatti, quando torno a vedere il paesaggio urbano, anziché andare a casa ho ancora voglia di fare un giro. Così, previa telefonata, mi dirigo in un locale dove si stanno intrattenendo alcuni amici.
Anche in questo caso, al mio arrivo, la Ducati è al centro dell’attenzione e questo mi costringe a mangiare con un occhio nel piatto e uno sulla moto.
Però, il senso di libertà che si prova, dopo aver sorseggiato il caffè, nel rimettersi in sella e schizzare via anziché dover ritirare la macchina da un parcheggio è qualcosa di impagabile.
Tuttavia, c’è ancora tempo per un ultimo sfizio: un gelato artigianale sui viali che portano a casa. Mentre affondo i sensi in una coppetta di Buontalenti e crema, ho un vago senso di colpa e non tanto per le calorie che dovrò smaltire l’indomani, ma per l’aver giudicato, forse con un pizzico di superficialità, un mezzo che si è dimostrato davvero valido.
Se avesse una minima capacità di carico in più, questa moto sarebbe una delle migliori alternative allo scooter per girare in città. E’ comoda, maneggevole, pratica e divertente quanto basta per andare a fare una bella girata con pieghe e accelerazioni autentiche, senza contare che è una delle poche Ducati che si guida molto bene anche con passeggero al seguito.
Qualcuno, e qui chi è senza peccato scagli la prima pietra, ha puntato il dito contro un’estetica non proprio esaltante, tuttavia, al di là del fatto che non ha mancato di darci soddisfazione durante la nostra uscita, la GT sa farsi apprezzare, come dicevamo prima, più per il fatto stesso di andare in moto che non necessariamente per l’essere alla guida di “quella” moto in particolare. Certo, 10.500 Euro non sono pochi per un allestimento di questo tipo e al giorno d’oggi sul mercato ci sono molte proposte che con una spesa inferiore offrono un livello analogo se non addirittura superiore.
Inoltre, i lunghi viaggi a velocità di crociera elevata non sono certo un contesto adatto per la GT 1000, vista la protezione aerodinamica che la identifica pur sempre come una moto nuda, senza contare la trascuratezza di certe finiture, come quelle relative agli specchietti retrovisori, peraltro eccessivamente semplici e poco funzionali, e agli indicatori di direzioni, realizzati in plastica cromata ma a contatto con supporti in plastica nera.
Tuttavia, quando ho riportato la moto in garage, non nascondo di aver provato un certo dispiacere nel dovermi separare da un mezzo che, almeno nell’ambito cittadino, svolge così bene il suo mestiere.
Foto di Giovanni Del Bravo
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