Barcellona – Per proseguire un percorso costellato di affermazioni spesso la storia non va riscritta da capo: basta focalizzare gli elementi più importanti e migliorarli ulteriormente in base alle conoscenze attuali.
Sarebbe come se uno si mettesse in testa di cambiare in meglio la pizza Margherita. Ormai, gli ingredienti sono quelli, tutt’al più è possibile cercare di ottenere un impasto ancora più gustoso, un pomodoro più fresco e una mozzarella di maggior qualità.
A questo si potrebbe aggiungere, poi, un processo di cottura che preveda un forno con tutte le caratteristiche del caso, in modo che il risultato finale sia, per quanto possibile, ancora più appetibile. Il prodotto, però, resta sempre lo stesso: una sorta di icona famosa e riconoscibile in tutto il mondo che dura ormai da tantissimi anni.
A fare il paragone tra la pizza Margherita e il Monster non siamo noi, ma l’Ingegner Claudio Domenicali, Direttore Generale Prodotto Ducati.
Quando Domenicali è andato a ricoprire la carica che occupa in questo momento, i suoi obiettivi erano principalmente due: ridare a Ducati una supersportiva come si deve, la 1098, e rifare il Monster.
Quest’ultimo, come molti sanno ha aperto il mondo delle naked moderne ed è stato per diverso tempo la moto più venduta in Italia. Adesso, naturalmente, la situazione è un po’ cambiata, in virtù di una concorrenza che si è fatta sempre più competitiva.
Va tuttavia sottolineato il fatto che dal 1992, anno in cui il Monster fu presentato al Salone di Colonia sotto forma di prototipo, ad oggi, il faro di questo modello è rimasto sempre lo stesso, mentre il serbatoio è stato oggetto di piccole modifiche, pur rimanendo praticamente caratterizzato dalla solita inconfondibile linea.
Stiamo parlando di un mezzo che, con i suoi 200.000 esemplari venduti in tutto il mondo, ha letteralmente trainato l’azienda dal punto di vista economico, oltre ad essere diventato una sorta di brand a sé stante, così come lo è la Vespa per Piaggio.
Esistono dunque i motociclisti, esistono i ducatisti ed esistono i monsteristi.
Il Monster è poi sinonimo di design più di ogni altra Ducati. Figlio dell’essenzialità, è riuscito a imporsi attraverso forme e linee molto semplici: due ruote, un motore e un serbatoio.
Ecco, dunque, gli ingredienti di cui parlavamo all’inizio. Per dare vita al nuovo Monster 696, i concetti sono rimasti gli stessi, ma si è cercato di migliorarli secondo una schema ben preciso.
Com’è fatto il Monster 696
Tanto per cominciare, lo stile della moto doveva essere ancora più marcato. In poche parole, pur togliendo i vari loghi e mettendola a 150 metri di distanza, si doveva capire immediatamente di quale modello si trattasse. Allo stesso tempo, però, il nuovo Monster doveva trasmettere una sensazione di maggior freschezza e aggressività.
Per quanto riguarda l’utilizzo, invece, l’obiettivo era quello di realizzare un veicolo ancora più agile e facile da usare, facendo leva principalmente sull’alleggerimento generale.
Infine, le prestazioni: anche in questo caso si voleva spostare in alto l’asticella, sia per segnare un netto passo in avanti rispetto al modello precedente, sia per meglio posizionarsi nei confronti dei competitor diretti. Tutti questi risultati sono stati ottenuti attraverso un metodo di lavoro del quale Domenicali va particolarmente orgoglioso.
In pratica, i designer del Centro Stile interno alla fabbrica di Borgo Panigale e gli ingegneri dell’Area Tecnica hanno portato avanti un progetto in strettissima collaborazione.
I bozzetti dei vari pezzi sono stati dunque dimensionati tenendo già in considerazione problematiche quali il relativo montaggio, gli ingombri, l’ergonomia, ecc. Questo ha portato, ad esempio, a definire un nuovo concetto di serbatoio, che ha una capacità superiore (15 litri) pur risultando più corto in senso longitudinale.
Esso presenta inoltre delle cover intercambiabili, per facilitare la possibilità di personalizzazione, e due vistose prese d’aria anteriori che, al di là della loro funzione legata all’alimentazione dell’airbox, hanno permesso di aumentare l’angolo di sterzata fino a 32°, dal momento che le estremità del manubrio vanno a inserirsi al loro interno in corrispondenza della massima rotazione possibile.
Allo stesso modo, si è voluta dare dimostrazione di grande cura per i dettagli, proprio per sottolineare il salto di qualità nei confronti del 695 (che rimarrà comunque in listino ancora per tutto il 2008).
Un’opera di affinamento che, come detto, si è trasformata anche in un risparmio in termini di peso che ha portato il veicolo a quota 161 Kg a secco (7 in meno rispetto al “vecchio” modello). A detta dello stesso Domenicali, nel definire questo progetto non sono rimaste uguali neppure le singole viti, proprio per ottimizzare al massimo la forma con la funzione.
Un concetto riassunto splendidamente dal nuovo telaio, ispirato a quello della Desmosedici e caratterizzato da uno sviluppo molto corto, che va dal cannotto di sterzo ai punti di attacco del motore.
Naturalmente, grazie a questo layout è stato ottenuto un aumento della rigidità e lo stesso vale per il telaietto posteriore, realizzato attraverso una fusione di alluminio che ha permesso di risparmiare peso e garantire al nuovo Monster un’immagine più moderna rispetto al tradizionale traliccio in tubi.
Anche il forcellone è completamente nuovo e rispecchia la manifattura della struttura reggisella. Esso agisce su un ammortizzatore Sachs senza l’interposizione di leveraggi.
La progressività della sospensione, in questo caso, è assicurata dall’inclinazione con cui è posizionato l’ammortizzatore stesso (che tra l’altro è disassato sul lato sinistro del veicolo) e dal fatto che quest’ultimo dispone di una molla con costante elastica variabile.
Grazie a questa soluzione sono stati ottenuti due vantaggi: ancora una volta quello della leggerezza, vista l’assenza del link tra forcellone e ammortizzatore, e poi il guadagno in termini di spazio che ha permesso lo sviluppo del collettore di scarico proveniente dal cilindro verticale in modo da equiparare in lunghezza quello del cilindro orizzontale. In ogni caso, dagli studi fatti si è visto che, pur senza leveraggi, il retrotreno fornisce risultati analoghi alla precedente impostazione.
Davanti, invece, troviamo una forcella Showa a steli rovesciati da 43 mm, priva di regolazioni, ma dotata di bellissimi piedini ad attacco radiale in stile 848.
A vincolarla al telaio ci sono tuttavia delle nuove piastre di sterzo che, pure in questo caso, sono state definite con il duplice intento di risparmiare peso e ottenere componenti distintivi, in linea con il look della moto.
Le principali quote ciclistiche vedono un interasse di 1450 mm, un’inclinazione del cannotto di sterzo pari a 24°, cui corrispondono 96 mm di avancorsa.
Anche i freni hanno previsto un importante aggiornamento. In pratica, l’impianto anteriore che equipaggia il 696 è lo stesso della 848, fatta eccezione per i materiali d’attrito e la pompa al manubrio. I dischi sono pertanto da 320 mm, mentre le pinze Brembo sono a quattro pistoncini e dispongono di attacco radiale.
Un equipaggiamento di tutto rispetto, dunque, per un modello che in ogni caso riveste per Ducati il compito di entry level. Grazie a questa introduzione, infatti, è possibile ottenere la stessa potenza frenante del 695 con il 30% in meno della forza applicata alla rispettiva leva.
Al posteriore viene invece adottato un disco flottante da 245 mm sul quale agisce una pinza a due pistoncini.
Il progetto del Monster 696 è stato poi sottoposto a un attento studio dell’ergonomia. Non c’è alcun dubbio, infatti, che all’inizio degli anni Novanta le moto fossero fatte in modo molto diverso rispetto agli standard richiesti al giorno d’oggi. Ecco che è stata ridotta la distanza tra la fine del serbatoio e il manubrio, in modo da definire una posizione di guida meno distesa e più avanzata.
In pratica, l’impostazione è sempre caratterizzata da un senso di dinamismo, ma il comfort è aumentato. Per lo stesso motivo, sono stati aggiunti 15 mm di spugna in più all’imbottitura della sella.
Ad accrescere la ricchezza della dotazione ci pensa invece la strumentazione digitale retroilluminata che provvede alla visualizzazione di una consistente serie di informazioni, tra cui: contachilometri, contagiri, orologio, intervalli di manutenzione, temperatura dell’olio, trip fuel, temperatura aria, cronometro, tensione batteria più le varie spie (pressione olio, riserva, indicatori di direzione, folle, fuorigiri e immobilizer).
Questo dispositivo presenta diverse funzioni a seconda che il veicolo sia fermo o in movimento ed è addirittura predisposto per il sistema di acquisizione dati DDA (Ducati Data Analyzer), lo stesso che equipaggia la 1098.
Rimanendo in tema di impianto elettrico, anche se in questo caso il discorso si estende inevitabilmente al campo del design, da notare come i nuovi gruppi ottici siano stati realizzati sfruttando le più recenti tecnologie. L’anteriore è dotato di una tripla parabola, nonostante presenti un dimensionamento estremamente compatto, mentre il posteriore è a led e segue un’impostazione piuttosto minimale. Entrambi sono affiancati da nuovi indicatori di direzione trasparenti, dalla forma allungata, moderni e piacevoli da vedere. Ben fatti, oltre che discretamente funzionali, sono anche gli specchietti retrovisori, caratterizzati da un’estetica equilibrata, pur se inedita, e da finiture accettabili.
L’anima del nuovo Monster 696, vale a dire il bicilindrico Desmodue raffreddato ad aria di analoga cilindrata, è stato oggetto di un rilevante sviluppo per quanto riguarda la gestione elettronica del motore stesso.
Si tratta, infatti, del sistema più evoluto dell’intera gamma Ducati, dal momento che, oltre a tenere conto dell’angolo di apertura delle farfalle e del numero di giri (in gergo alfa e n), introduce per la prima volta anche il parametro della pressione sotto le farfalle.
Inoltre, grazie a un ulteriore affinamento delle unità termiche, che adesso presentano una configurazione analoga a quella della versione da 1100 cc che equipaggia Multistrada e Hypermotard, il 696 raggiunge il tetto degli 80 Cv di potenza massima (7 Cv in più rispetto al 695) e i 7 Kgm di coppia, rispettivamente a 9000 e 7750 giri.
Il pistone e la camera di combustione sono stati rivisti a livello fluidodinamico, così come aggiornato è il sistema di distribuzione, che vede gli alberi a camme ruotare direttamente sulla testa e non attraverso l’interposizione di cuscinetti. Il diametro delle valvole è passato da 43 a 44 mm per l’aspirazione e da 38 a 38,5 per lo scarico. Parallelamente, sono aumentate anche le alzate: da 10,8 a 11,2 mm per le valvole di aspirazione e da 10,3 a 10,8 mm per quelle di scarico.
A proposito di scarico, l’impianto del Monster 696 è dotato di doppia sonda Lambda (una per cilindro), in modo da garantire un funzionamento ancora più accurato.
Al momento, all’interno della gamma Ducati, solo la 1098 prevede un equipaggiamento analogo. A livello di trasmissione, infine, il propulsore è dotato della già collaudata frizione APTC, che unisce alla funzione antisaltellamento il non trascurabile vantaggio di ridurre il carico da applicare alla leva per il suo azionamento.
Il Monster 696 verrà commercializzato in due versioni: la Base, prevista a un prezzo di 7850 Euro, e la Plus, accessoriata con un piccolo cupolino e con il coprisella, per la quale occorrono 400 Euro in più. Le moto protagoniste del test, come si può vedere dalle immagini, prevedevano il solo coprisella, che naturalmente si può acquistare anche separatamente. E’ prevista anche la versione depotenziata.
Ducati Monster 696: come va
Bastano meno di 100 metri per accorgersi che, rispetto al Monster 695, il 696 è davvero un gradino, ma forse anche due, sopra a livello di maneggevolezza.
L’opera di alleggerimento che i tecnici di Borgo Panigale hanno portato avanti con tanta dedizione è infatti talmente evidente che anche un neofita se ne accorgerebbe all’istante.
La sensazione è quella di una moto, oltre che più leggera, anche più piccola e compatta.
La posizione di guida rivista, poi, colloca il pilota più in avanti e con il busto più eretto, con la sella caratterizzata da una moderata pendenza verso il serbatoio che, tuttavia, non risulta fastidiosa per le “parti basse” del conducente, grazie anche all’ottimo tessuto antiscivolo con cui è rivestito il piano di seduta.
Il fatto di essere più vicini alla ruota anteriore accresce il senso di controllo e la possibilità di impartire comandi diretti, mentre il fissaggio elastico del manubrio e la nuova imbottitura della sella filtrano adeguatamente le vibrazioni del Desmodue.
La strumentazione è ben illuminata e, non essendo troppo ampia, le informazioni vengono visualizzate in modo poco dispersivo, come viceversa accade su altri modelli.
Per provvedere all’avviamento a freddo occorre ruotare il comando dell’aria posto sulla parte sinistra del manubrio, anche se il bicilindrico Ducati dimostra grande facilità nel prendere vita, stabilizzandosi dopo pochi minuti sul regime di minimo.
La tonalità di scarico è contenuta, così come il calore trasmesso da quest’ultimo alle gambe del pilota.
Il cambio rappresenta, come sempre, uno dei punti di forza del propulsore bolognese, mentre la frizione APTC introduce effettivamente un’ottima riduzione dello sforzo da applicare alla leva, anche se quest’ultima va a “staccare” solo nell’ultima parte della sua corsa e per giunta in un tratto molto breve. Si tratta, dunque, di una caratteristica con la quale prendere un minimo di confidenza e che, a seconda dei gusti, può risultare gradita o meno.
L’erogazione del motore è fluida e progressiva. Si possono tranquillamente mantenere regimi tra i 2000 e i 4000 giri in città senza avvertire la minima irregolarità, se non qualche piccolo e sporadico strappo alla trasmissione nell’apri e chiudi.
Se, invece, si decide di aumentare l’andatura il V-twin made in Borgo Panigale cambia decisamente registro. L’ascesa verso la parte alta del contagiri è infatti caratterizzata da una tonalità di scarico più acuta, accompagnata da una spinta che conferma l’aumento di prestazioni dichiarato.
Il limitatore è posto a 9500 giri e, fortunatamente, il suo intervento non è così invasivo come su altri modelli Ducati.
Per sfruttare al massimo le doti di accelerazione di questa moto occorre dunque mantenere il motore sempre al di sopra dei 6000 giri, altrimenti ci si ritrova con il gas spalancato e il motore che impiega un po’ di tempo per arrivare nella parte favorevole della curva di coppia. E’ normale che sia così, vista la cilindrata relativamente contenuta e l’alta potenza specifica.
Rapporti un po’ lunghi a causa dell’omologazione
Così come sul modello precedente, però, la rapportatura di serie molto lunga non aiuta in tal senso. Interrogati in proposito, i tecnici Ducati ci hanno spiegato che questo fatto dipende da una delle prove di omologazione previste dalla normativa Euro 3.
In pratica, viene misurata la rumorosità della moto mentre essa percorrere un tratto a 50 Km/h in terza marcia ed è quindi comprensibile che, allungando la rapportatura finale, diminuisca il corrispondente regime di rotazione e, di conseguenza, le emissioni acustiche.
Tra l’altro, il 696 non invita certo a mantenere velocità di crociera particolarmente elevate, vista la scarsa protezione aerodinamica in comune con tutte le altre versioni della stessa famiglia, pertanto qualche dente in più alla corona è senza dubbio una modifica da prendere in considerazione per i futuri possessori di questo modello.
Il terreno preferito dalla nuova naked bolognese è viceversa il misto stretto come quello dello storico tracciato del Montjuic, il circuito stradale nei pressi di Barcellona sul quale in passato si sono svolte memorabili gare che hanno visto la Ducati protagonista.
In tale frangente, l’agilità della ciclistica, l’ottima frenata e la grinta del motore agli alti regimi emergono in tutta la loro piacevolezza, tant’è che, quasi senza rendersene conto, si arriva ben presto a saggiare i limiti offerti dalla luce a terra, leggi stivali che toccano l’asfalto, e quelli garantiti viceversa dai pneumatici di primo equipaggiamento, i Bridgestone BT 56.
Questi sono previsti nelle misure di 120/60 all’anteriore e 160/60 al posteriore, anche se in alternativa è possibile montare anche i 120/70 e 180/55 (previa la sostituzione del cerchio posteriore di serie da 4,5” con uno da 5,5”).
Per quanto ci riguarda, riteniamo che la scelta di primo equipaggiamento rappresenti senza dubbio il miglior compromesso, in quanto permette di scaricare a terra tutta la cavalleria disponibile senza problemi di stabilità, anche a moto inclinata, favorendo comunque l’agilità del mezzo e gli angoli di piega raggiungibili.
In staccata, poi, i due grossi dischi anteriori fanno egregiamente il loro lavoro. L’impianto è infatti molto modulabile, il che gli consente di essere utilizzato con uguale soddisfazione sia nella guida sportiva che in città, ad andatura scooteristica.
Un po’ rumoroso è risultato invece il disco posteriore, anche se la sua efficacia non presta il fianco a critiche di sorta, tenendo anche in considerazione l’ottimo lavoro svolto dalla frizione antisaltellamento. Nel complesso, dunque, si tratta di una moto estremamente facile da usare, la cui unica pecca, oltre alla fisiologica carenza di coppia in basso rispetto alle versioni di maggior cubatura, consiste in una taratura delle sospensioni, in particolar modo la forcella, “inutilmente” rigida.
Il setting di serie si apprezza infatti solo spingendo molto forte e sui fondi particolarmente lisci, mentre nella guida più rilassata e in presenza di qualche buca di troppo l’avantreno non copia perfettamente le eventuali asperità, trasmettendole direttamente a chi guida.
Un aspetto che, se vogliamo, sottolinea ancora una volta il DNA di ogni Ducati, votato inequivocabilmente alla sportività. Come una pizza Margherita che, al posto del basilico, prevede un pizzico d’olio piccante…
Foto Milagro
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