Negli anni Ottanta, le moto giapponesi dominavano il mondo delle competizioni motociclistiche, ottenendo vittorie e un sostanziale dominio in tutte le categorie e classi; al contrario, Ducati, nello stesso periodo, stava vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia, dal quale si sarebbe risollevata solo con l’arrivo dei fratelli Castiglioni avvenuto nel 1985.
Nel frattempo, però, nel mondo delle gare la presenza di Ducati si era molto indebolita e solo l’ottimo Tony Rutter in sella al suo Pantah riusciva ad ottenere risultati prestigiosi; tutto questo, nonostante Ducati non avesse ancora del tutto perso il suo appeal di marchio di moto da gara, ribadito anche verso la fine degli anni Settanta con la splendida vittoria di Mike Hailwood all’Isola di Man nel 1978, ma certamente le cose si stavano facendo complicate, vista la lunga assenza dalle corse.
Come detto, però, nel frattempo la Ducati fu acquistata dal gruppo Cagiva dei Castiglioni e questa fu, con il senno di poi, una grande fortuna per Ducati, che non solo si risollevò dal punto di vista commerciale, ma riprese anche a investire in un settore assolutamente obbligatorio per il marchio: le corse.
Fece benissimo, quindi, la Ducati a credere nel motore quattro valvole che, sotto la guida di Massimo Bordi e la supervisione di Gianluigi Mengoli, mosse i primi passi nella versione da 750 cc al Bol D’Or del 1986.
Nonostante l’esito sfortunato (la moto si dovette ritirare per un problema meccanico), fu quello l’esordio di un propulsore che avrebbe fatto la fortuna di Ducati nelle corse e non solo.
Infatti, da lì in poi lo sviluppo del Desmoquattro fu incessante, sostenuto dalle prime vittorie e dall’apporto di piloti come Marco Lucchinelli e Virginio Ferrari; si ottenne così il conseguimento di risultati molto importanti, anche dal punto di vista mediatico, basti citare la vittoria del pilota spezzino, nel 1987, nella Battle of Twins a Daytona.
Con queste basi, poté quindi partire l’avventura di Ducati nel mondiale Superbike, la cui prima gara si tenne, l’anno successivo, a Donington: mai esordio fu più fortunato, con la vittoria di Lucchinelli in sella alla 851 in gara due.
La partecipazione della marca bolognese al WSB (World Super Bike) si rivelò fondamentale per il prestigio dell’azienda, ma anche per le ricadute sul piano commerciale: infatti, i feedback e i suggerimenti che arrivavano dalle gare permisero di perfezionare il prodotto, considerato come questa competizione interessi non prototipi, ma moto derivate di serie: impossibile, quindi, per l’appassionato resistere alla tentazione di guidare la stessa moto del suo pilota/mito!
Bisogna comunque ammettere che, nello specifico, Ducati effettuò le cose a regola d’arte, partecipando con impegno al mondiale con un team organizzato e sostenuto dalla Casa madre: così avvenne che, nonostante colossi come Honda, Yamaha e Kawasaki partecipassero con moto dotate di motori a 4 cilindri, Ducati riuscì a strappare il titolo mondiale nel 1990, il terzo anno della sua partecipazione, grazie all’abilità del pilota francese Raymond Roche con la sua Ducati 851 (anche se in realtà la cilindrata era già passata a 888 cc).
Il risultato fu all’epoca abbastanza clamoroso poiché in pochi credevano alla competitività della Ducati, né conoscevano le potenzialità del desmo, né pensavano che una piccola Casa italiana fosse in grado di insidiare il primato delle potenze giapponesi.
Ma è proprio da qui che è partita una storia che tutti conosciamo molto bene, con il dominio del bicilindrico desmo quattro valvole che è stato capace, aggiornandosi di volta in volta e adeguandosi al mutare dei regolamenti, di conquistare un numero impressionante di vittorie e campionati mondiali.
Infatti, anche nel 1991 e 1992, l’americano Doug Polen, gestito nel primo anno dalla scuderia di Eraldo Ferracci, conquista, questa volta in sella alla 888 Corsa, il campionato mondiale.
La superiorità della 888 era abissale, come si evidenzia anche nel numero delle vittorie: nel 1991, Doug vince la bellezza di 17 gare, mentre nel 1992 Ducati vince 20 gare delle 26 del mondiale Superbike! Fra queste, nove sono del campione del mondo Doug Polen, mentre sei sono i successi di Raymond Roche, secondo in classifica finale generale.
Nel 1993, Ducati non riuscì a rinnovare questi successi: il tempo della 888 era giunto al termine, l’anno successivo sarebbe arrivata la 916, destinata a una carriera incredibile sulle strade e piste di tutto il mondo.
La storia di Doug Polen
Doug Polen nasce a Detroit, nello stato del Michigan, il 2 settembre 1960 e ha diciassette anni quando disputa la prima corsa della carriera sul tracciato di Oak Hill.
Correrà fino all’inizio degli anni Ottanta, nelle categorie Lightweight Production e Superbike, arrivando al livello dei migliori.
La vittoria nel trofeo Suzuki “GSXR National Cup Series”, che si svolge negli States per la prima volta nel 1986, gli apre le porte del campionato AMA, sempre in sella a una Suzuki: ormai è un pilota professionista, che si trova a battagliare con gente come Kevin Schwantz e Wayne Rainey.
Suzuki e Yoshimura compongono un binomio inscindibile, così, nel 1988 (anno di nascita del campionato del mondo Superbike), Doug si ritrova a correre con il Team Yoshimura R&D.
La sua carriera compie una svolta decisiva con l’incontro di Eraldo Ferracci, allora responsabile dell’attività sportiva della Ducati negli USA, che avvenne alla fine della stagione 1990: per Polen c’è una Ducati 888, mezzo con il quale, sotto l’ala della Casa madre, è chiamato a vincere il titolo Superbike AMA, come poi effettivamente farà nel 1993. Il mercato d’Oltreoceano tira parecchio e a Borgo Panigale hanno nella splendida bicilindrica a quattro valvole il mezzo per far breccia nella fantasia degli appassionati americani.
Il 1991 è l’anno del passaggio nel mondiale Superbike, sempre con il team di Ferracci: qui si concretizzano le sue capacità, con numerose vittorie importanti tanto che si aggiudica la corona con tre gare d’anticipo. Nel 1992, Ducati inserisce l’americano nella squadra ufficiale, diretta da Franco Uncini, insieme al pilota rivelazione Giancarlo Falappa: questo campionato si rivela più difficile del precedente con tanti piloti competitivi, ma Doug è di nuovo campione del mondo, finendo nel contempo terzo nel campionato AMA.
Nel 1993, i vertici sportivi di Borgo Panigale chiedono a Polen di concentrarsi sul campionato nazionale americano Superbike. Doug accetta e, come detto, vince il titolo con due gare d’anticipo.
La storia di Polen con la Ducati finisce così, in bellezza, in quanto il pilota, forse in cerca di nuovi stimoli, passa alla Honda nel 1994, ritornando a disputare il Mondiale SBK con la RC45.
LA PROVA
L’occasione è di quelle da non perdere assolutamente: provare in pista la 888 da SBK con la quale corse Doug Polen nel 1992, proprietario e grande appassionato di questa moto ancora oggi perfettamente in grado di scendere in pista in qualsiasi momento.
Una volta in sella non possiamo che stupirci della comodità della posizione di guida, un po’ rialzata nella parte posteriore, ma niente a che vedere con certe superbike di oggi che spesso sono abbastanza estreme.
Anche come ingombri generali, la moto appare subito come particolarmente snella, soprattutto rispetto alla sua cilindrata di 888 cc: sembra di avere a che fare con una moto di una classe inferiore.
Del resto, non dobbiamo dimenticare come la 888 del 1992 fosse di gran lunga la più leggera del lotto, come dimostra il peso a secco di solo 142 Kg!
Ma è ora di riprovare le sensazioni che accompagnarono il buon Doug in quell’anno trionfale per Ducati!
Accendiamo il motore con l’ausilio dell’avviatore e subito ci stupiamo di come il motore risponda al minimo movimento del polso destro; i giri salgono con estrema velocità, senza incertezze. Indubbiamente qui si apprezza il vantaggio dell’efficace iniezione elettronica di cui era dotata questa raffinata superbike.
Dopo le prime curve, un’altra sensazione ci stupisce e contraddice tutte quelle che erano le nostre perplessità circa la presa di contatto con una superbike così vecchio stile: una volta che la moto raggiunge una certa velocità, il feeling è immediato, la molto è molto maneggevole e, dopo i 6000 giri, la coppia disponibile è veramente notevole.
Ecco il segreto di una moto così vincente: non legato alla leggerezza o alla potenza, ma soprattutto dovuto alla straordinaria erogazione del suo motore a quattro valvole, che la rende una moto relativamente facile da guidare e, al tempo stesso, tremendamente efficace.
Motore sempre pronto
La risposta del Desmoquattro è infatti talmente pronta che non importa ricordarsi quale marcia sia inserita, per uscire forte dalle curve basta spalancare il gas!
Del resto, quell’anno, l’impegno di Ducati si era concentrato nell’ottimizzazione della moto, piuttosto che nell’esasperata ricerca delle prestazioni: il Desmoquattro erogava infatti 134 Cv a 11.200 giri, appena due in più rispetto alla moto dell’anno precedente,
La ciclistica, poi, risponde perfettamente alla caratteristica del motore, con quel telaio a traliccio che al tempo sembrava vecchio e antiquato rispetto ai telai delle moto giapponesi in alluminio scatolato; al contrario, la 888 è maneggevole, facile ed efficace sul veloce, dove non evidenzia nessuna incertezza!
Dopo l’arrivo dell’erede della 888, la 916, gli appassionati della Ducati si immaginano le precedenti Ducati da Superbike come moto spartane e difficili da domare; la moto di Polen dimostra esattamente il contrario, in quanto, come detto, il suo punto di forza sta proprio nella facilità di guida, grazie a un motore sempre pronto, un’iniezione elettronica super efficiente e un telaio allo stesso tempo sincero e granitico. Certo, immaginiamo che l’888 portato ai suoi limiti estremi abbia sicuramente impegnato il buon Polen, del resto al tempo non esisteva nessun tipo di controllo elettronico, ma la facilità con cui la Ducati mise in linea tutta l’agguerrita concorrenza la dice lunga sulle qualità intrinseche di questa moto che, all’epoca, era di gran lunga all’avanguardia rispetto a tutte le altre moto del lotto.
Quello che sembrava un grosso azzardo, ovvero competere contro le moto giapponesi quattro cilindri con un motore bicilindrico e un telaio a traliccio d’acciaio, si rivelò invece una soluzione formidabile, tanto che la leggenda di Ducati nelle corse nasce proprio con questa moto: da allora sono passati ben 27 anni, ma lo splendore di questa 888 Corsa non è certo sfiorito; rappresenta uno dei primi capitoli di una gloriosa stirpe che, solo poco tempo fa, ha permesso a Ducati di festeggiare le 350 vittorie nel mondiale Superbike!
Testo e immagini Ducati Magazine, traduzione di Noriki Aizawa