Alberto Martellini di Ferentino, in provincia di Frosinone, porta alla nostra attenzione la storia dell’acquisto e le foto del restauro di uno Scrambler 350 seconda serie, con accensione elettronica Ducati, immatricolato nel 1975.
Questa moto è, a suo avviso, un modello senza tempo e non a caso è diventata una vera e propria “cult bike”. Martellini ha preferito l’acquisto di uno Scrambler seconda serie in quanto, rispetto alla prima versione, esso beneficia di importanti aggiornamenti estetici e meccanici.
Pertanto, Alberto ha iniziato una lunga ricerca sul mercato dell’usato di uno Scrambler 450 con accensione elettronica prodotto dopo il 1972.
Leggendo tutta la documentazione possibile riguardo prestazioni, pregi e difetti, è giunto però alla conclusione che, in fondo, anche una versione di 350 cc poteva essere una valida alternativa, viste le vibrazioni più contenute del motore, la meccanica meno stressata e una potenza non troppo inferiore. Infine, la presunta maggiore facilità di avviamento rispetto alla 450 lo ha convinto definitivamente ad allargare la ricerca verso un modello di tale cilindrata.
Così, gli è capitato sotto mano l’annuncio di vendita di un 350 ad accensione elettronica, in buone condizioni generali e, soprattutto, guardando le foto dell’inserzione, ancora pressoché originale. Presi i dovuti contatti con il venditore è andato a vederlo. La prima sensazione è stata di stupore, trovandosi di fronte a una moto decisamente più grande di come se l’aspettava dopo averla vista soltanto in fotografia.
Ad ogni modo, da un mezzo con oltre trenta anni di vita era pur normale aspettarsi qualche piccola magagna: tra queste la colorazione, che non era più originale, ma di un blu tutto sommato gradevole, che all’epoca rientrava nella gamma dei colori disponibili, sul quale erano tuttavia state fatte delle strisce color oro che, in base ai dati da lui raccolti, risultavano errate nella tonalità e nelle misure.
La moto, come onestamente confermato dal suo ultimo proprietario, era stata riverniciata più volte anche dai proprietari precedenti.
A conferma di ciò, l’evidente spessore della vernice e qualche sbavatura qua e là, in particolar modo sul telaio.
I pregiati cerchi Borrani in alluminio risultavano purtroppo molto opacizzati, come pure il motore che, segnato dal tempo, appariva esteticamente spento, senza tuttavia mostrare evidenti segni relativi a trafilaggi d’olio.
Alberto ha chiesto allora di poter effettuare un giro di prova e, con suo stupore, sono bastate due semplici pedalate senza neanche l’ausilio del comando alzavalvola e il glorioso mono a coppie coniche, progettato dall’Ingegner Taglioni, ha preso a rombare in modo deciso, al punto da spostare la moto sul cavalletto centrale!
Niente male come avviamento, dunque, se si considera la fredda temperatura di una nebbiosa mattina di dicembre. Merito probabilmente di una buona messa in fase e dell’efficienza dell’accensione elettronica che a suo tempo sostituì quella con puntine e condensatore della prima serie.
Alberto ha ingranato la prima imponendosi di ricordare che quella non era la sua Super Sport: il cambio dello Scrambler, infatti, è a destra e per di più rovesciato, mentre il freno posteriore è a sinistra. Ha perciò lasciato lentamente la frizione che, con discreta modulabilità, gli ha permesso di prendere velocità senza che il motore si spegnesse o avesse esitazioni.
In pochi metri, senza ovviamente tirare al massimo, si è ritrovato nella marcia più alta, la quinta, colpito da come, anche a bassa velocità, il propulsore girasse in modo estremamente preciso: come un orologio!
Quando è arrivato alla prima frenata, poi, si è naturalmente dimenticato della posizione dei comandi, perciò è arrivato un po’ lungo e ha fatto spegnere il motore.
E’ stata comunque l’occasione per testare la facilissima ricerca del folle e mettere di nuovo in pratica l’avviamento, che è avvenuto con una sola pedalata secca e senza tanti complimenti.
“Mi piace davvero!”, ha pensato tra sé e sé, così ha deciso di procedere all’acquisto, intavolando una trattativa sul prezzo richiesto, in linea con la valutazione dell’oggetto. Il venditore, però, non voleva cedere di un Euro, forse perché il malcelato entusiasmo tradiva la passione!
Pazienza, ne è valsa comunque la pena se si pensa anche alla rivalutazione di uno Scrambler nel tempo, ma soprattutto alla sua rarità, visto che non è facile trovarne uno.
La moto è finalmente arrivata nel garage di Alberto e, per un po’ di giorni, ha riposato al fianco della 900 Super Sport. Alla fine, Alberto ha deciso di effettuare un restauro a regola d’arte dell’esemplare appena acquistato, così ha iniziato con la ricerca dei codici per la vernice, impresa che si è rivelata molto più complicata del previsto!
Dopo due nottate di lavoro, la moto è stata completamente smontata. Alberto ha cominciato a sverniciare i parafanghi, il serbatoio e i gambali della forcella, troppo delicati per affrontare una sabbiatura che, invece, è stata fatta al telaio, il quale in seguito è stato verniciato a polvere in nero lucido.
Sverniciando i vari pezzi sono venuti fuori ben quattro strati di vernice diversa, dal nero al blu, passando per l’arancio e il giallo, a conferma delle differenti verniciature effettuate in malo modo una sopra l’altra.
La Ducati, come confermato anche da Livio Lodi, curatore del Museo di Borgo Panigale, per le ultime versioni dello Scrambler 350 utilizzava anche colorazioni che si discostavano dal classico ma poco entusiasmante arancio: questo anche in virtù del fatto che i pezzi verniciati erano perfettamente intercambiabili tra i modelli di tutte le cilindrate già al momento dell’acquisto, in base ai gusti del cliente.
Martellini ha quindi deciso per la colorazione che vede la livrea tutta nera con strisce gialle e filetti bianchi bordati di nero, come quella che appare sui depliant pubblicitari dell’epoca per i modelli 350 e 450.
A suo avviso, infatti, è la colorazione più bella, perché dona alla moto un aspetto meno “spiritoso” e molto più elegante. Il serbatoio era in ottime condizioni e le specchiature cromate erano e sono tuttora ancora in perfetto stato. L’interno, incredibilmente, non presentava ruggine, ma Alberto ha comunque deciso per un trattamento conservativo mediante prodotti specifici.
Per la verniciatura si è rivolto al suo amico Mauro Bottini, titolare della “Bottini Design” di Ferentino, vista la sua grande esperienza nella verniciatura di carene di moto sia stradali che racing.
Nel frattempo, Alberto si è dedicato personalmente anche al motore, ripulendolo completamente e lucidandolo da cima a fondo. Con sua grande sorpresa, si è accorto che, sotto al basamento, due viti a brugola erano ancora legate con la piombatura che, a suo tempo, Ducati metteva in fabbrica a montaggio avvenuto: essa rappresenta la dimostrazione che il motore non è stato mai aperto. Il controllo al gioco valvole (che è risultato ok), la sostituzione di un paraolio e di alcune guarnizioni in carta, oltre a una revisione totale del carburatore, sono stati gli interventi necessari.
Per l’olio, Martellini ha scelto di utilizzare un 10W50 in sostituzione del SAE 40 consigliato a suo tempo dalla Casa che, visti i 38.000 Km indicati dallo strumento, dovrebbe garantire una seppur minima attenuazione dei giochi tra gli accoppiamenti, limitando di conseguenza l’usura e la rumorosità meccanica.
E’ stata poi la volta dei cerchi Borrani in alluminio che Alberto ha provveduto a smontare completamente: i raggi sono stati finemente carteggiati e portati a nuova zincatura, visto che per questo tipo di ruote non sono previsti cromati.
Carta abrasiva finissima, pasta lucidante, ma soprattutto ore e ore di olio di gomito hanno riportato i cerchi e i mozzi a brillare come non mai. Smontare questi cerchi, a detta di Martellini, è stato un gioco da ragazzi, mentre non altrettanto si è rivelata l’operazione inversa! Per il rimontaggio dei raggi si è avvalso dell’esperienza di un artigiano che ha provveduto al loro perfetto tensionamento, con centratura del cerchio rispetto ai mozzi.
Alberto ha provveduto alla sostituzione della marmitta lunga con il modello corto, decisamente più intonato all’estetica della moto: si tratta di uno scarico libero d’altri tempi che all’epoca, per la seconda serie, era disponibile solo come optional e non più come equipaggiamento di serie.
Per il completamento del restauro sono stati cromati, con nuovo riporto galvanico, alcuni pezzi, come la pedivella del cambio, quella della messa in moto e varia bulloneria e viteria con testa rigorosamente a taglio. Per sicurezza, già che la moto era smontata, Alberto ha provveduto a sostituire le sfere del cannotto di sterzo, i cuscinetti delle ruote, i paraoli e l’olio della forcella, i rinvii degli strumenti, la candela e buona parte dell’impianto elettrico che, nel corso degli anni, era stato modificato e pasticciato.
Un’altra modifica fatta consiste nell’aver collegato le luci alla chiave d’accensione, in modo da scongiurare eventuali dimenticanze: si tratta di una modifica di veloce e facilissima reversibilità.
Insomma, come accade spesso, l’appetito vien mangiando: i lavori e i pezzi sostituiti sono stati molti più di quelli preventivati, il tutto alla ricerca di un restauro che riportasse la moto come appena uscita da Borgo Panigale.
Per fortuna che, almeno per il motore, non ci sono stati particolari problemi.
I più attenti noteranno che gli ammortizzatori non sono originali: si tratta, infatti, di due unità Hagon che, evidentemente, erano state messe in loro sostituzione. Alberto è in cerca dei Marzocchi originali che provvederà a montare al loro posto. Anche così, comunque, il risultato finale è notevole. La moto è molto bella e funziona alla grande: la tenuta di strada e la guidabilità sono infatti ottime e, grazie al peso ridotto, anche la maneggevolezza è encomiabile.
Nonostante i pneumatici un po’ duri, l’appoggio in curva è valido e infonde grande sicurezza, permettendo pieghe di tutto rispetto.
Peccato solo per la mancanza di un pizzico di potenza in più, che sarebbe decisamente piacevole in uscita dalle curve. Con i suoi 17 Cv, infatti, la moto riesce a toccare, seppur tra non poche vibrazioni, i 110 Km/h di strumento, ma è intorno agli 80-90 Km/h e su strade particolarmente tortuose che si può godere davvero delle sue caratteristiche. A questa velocità le vibrazioni sono più contenute e, con il suo manubrio largo quasi un metro, lo Scrambler è padrone della strada.
I freni anteriori, ovviamente a tamburo, sono dei Grimeca da 180 mm che si dimostrano sorprendentemente efficaci. A bassissima velocità, infatti, forse per via delle quattro ganasce anteriori, risultano fin troppo aggressivi. A velocità sostenute, invece, si trova un valido supporto nel freno posteriore e, grazie ai soli 140 Kg di peso, ci si ferma in breve spazio.
Il telaio è davvero solido e, se lo stesso veniva impiegato anche nelle corse, il motivo è presto detto!
Con l’occasione, Alberto vuole ringraziare alcune persone che hanno contribuito a questo restauro: Lauro Micozzi, per i suoi preziosi consigli tecnici, Livio Lodi del Museo Ducati, che gli ha fornito utili informazioni sulle colorazioni, Maurizio Casadei e Ombretta Tagliaferri del Motoclub “Amici dello Scrambler”, preziosissimi per i consigli e per la fornitura di tutto il materiale occorso, e infine sua moglie Katia e la figlia Elisa, che come sempre hanno supportato la sua passione Ducati, consentendogli di riportare alla luce uno dei capolavori dell’Ingegner Taglioni.
Foto Alberto Martellini
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