Finalmente la vittoria più prestigiosa è arrivata. Era stata nell’aria da subito, dalla prima gara. Adesso, quel sogno che con il passare del tempo prendeva sempre più i connotati del possibile, dell’assolutamente probabile, del quasi certo, è realtà.
La Ducati scrive il suo nome nell’Albo d’Oro dei vincitori.
Attraverso Livio Suppo, Direttore del Progetto MotoGP, abbiamo cercato di rivivere la fasi salienti di questo successo, partendo proprio da quando, tagliando finalmente il traguardo di Motegi, Casey Stoner è diventato campione del mondo con la Ducati Desmosedici GP7: “E’ stato un momento di grande commozione, perché finché non tagli il traguardo può sempre succedere qualcosa. Commozione e felicità immensa, perché è vero che era da un po’ di gare che sapevamo fosse un obiettivo raggiungibile, però finché non hai la vittoria veramente in tasca, non riesci a rilassarti.”
Livio Suppo, in questo ruolo di coordinatore della squadra, ha vissuto l’impegno della Ducati in MotoGP dall’inizio, in prima linea sui circuiti di tutto il mondo.
“Il primo pensiero è stato quello di come in pochissimo tempo siamo riusciti a conquistare la vittoria in MotoGP – prosegue, aggiungendo ulteriore sapore all’impresa degli uomini di Borgo Panigale – Questo ci procura un’ulteriore grande soddisfazione.”
Il tono di Suppo, sebbene pacato, tradisce nelle parole la tensione che attanagliava tutti fino a quel momento: “Nonostante fosse una cosa che da qualche weekend sapevamo potesse succedere, al momento in cui si è materializzata abbiamo provato una grande liberazione; per tutta la stagione abbiamo rincorso questo risultato che si avvicinava sempre di più: metterci finalmente le mani sopra è stato incredibile. Anche il fatto di essere riusciti a vincere proprio in Giappone, personalmente mi ha reso molto contento: sapevo che Casey ci teneva ad andare a casa in Australia nelle due settimane precedenti la gara di Phillip Island, con il titolo in tasca, per potersi godere questa vacanza.”
La Desmosedici di Casey taglia il traguardo di Motegi, chi avrebbe potuto ritardare la conquista del titolo è là, a meditare sui propri guai e gli uomini in rosso festeggiano.
A Livio viene in mente un’immagine e ride: “Mi ha stupito Yamada della Bridgestone che piangeva come una fontana!”
Aspettarsi una vittoria di questa portata, in un campionato che è la massima espressione della sfida su due ruote, essere in testa dall’inizio alla fine, sono circostanze che potrebbero in qualche maniera logorare, soprattutto se si hanno solo ventuno anni.
“Più il campionato andava avanti, più le cose andavano bene e più i punti di vantaggio aumentavano, così, di pari passo, la tensione diminuiva. A Estoril è stata la prima volta da Assen che Casey perdeva qualche punto, altrimenti li aveva sempre guadagnati. A Motegi era un po’ più teso, ma forse perché voleva a tutti i costi vincere lì per andare in vacanza tranquillo. Io prima di Misano avevo ancora paura che potesse succedere qualcosa. – confessa Suppo, che prosegue poi raccontando le sue paure – Avevamo sessanta punti con ancora sei gare da disputare, bastava fare due zeri noi e due vittorie Valentino e si sarebbe potuta stravolgere la situazione. Gli zeri li puoi fare perché ti butta per terra qualcuno, perché si rompe la moto, perché può fare un errore il pilota: non dimentichiamoci che l’unico pilota che quest’anno non ha fatto errori in gara è Casey: ci stava anche che un errore lo facesse, no? Quindi è solo dopo Misano che c’è stata la consapevolezza che doveva succedere un disastro per perdere questo campionato.”
Già, una cavalcata fantastica, sempre là davanti a guardare tutti gli altri inseguire; difficile individuare dei veri punti chiave, dei momenti di svolta, data la grande autorità e costanza che il Team Ducati e il suo giovane pilota australiano hanno sfoggiato.
Livio prova lo stesso a individuare gli highlights della stagione: “Secondo me, le prime vittorie hanno dato a Casey la consapevolezza nei propri mezzi. Poi la vittoria di Barcellona, disputata dopo una gara difficile come quella del Mugello, dove è arrivato quarto, ma con un’altra Ducati sul podio, quindi una situazione difficile da mandar giù. A Barcellona, la settimana dopo, con questo bellissimo duello con Valentino vinto su una pista dove quest’ultimo era fortissimo, secondo me, è stato un altro tassello fondamentale nella costruzione del campionato. Anche al Sachsenring, dopo aver dominato le prove il nostro pilota ha avuto delle difficoltà in gara e se Valentino avesse vinto, Casey sarebbe stato sesto invece che quinto e avrebbe visto dimezzarsi il vantaggio che aveva e sarebbe andato a Laguna Seca con molta più pressione. Comunque – conclude – quando si disputa un campionato come quello che ha fatto Casey quest’anno si fa fatica a individuare una cosa che abbia fatto la differenza. Abbiamo fatto un campionato perfetto!”
Proviamo, allora, a farci raccontare i momenti più critici, se così possiamo chiamarli, e se mai ce ne sono stati.
“Casey è stato costantemente molto veloce, ha avuto qualche problema a Jerez e al Mugello, dove non è riuscito a mettere a posto la moto, ma è stato bravissimo a gestire queste gare difficili, dove male che andava finiva quinto.”
Stoner è sembrato sempre spaventosamente padrone della situazione, costantemente libero dalla pressione degli avversari e per nulla oppresso dal pensiero del traguardo che stava inseguendo.
Livio Suppo assegna gran parte del merito di questo stato di grazia proprio al suo pilota: “Le squadre hanno dei meriti ma sono loro, i piloti, che fanno la differenza. Quando un pilota vince la prima gara, poi anche la terza, è una specie di ruota: più gira dalla parte giusta, più il pilota va veloce e più è difficile per gli altri. Casey è andato in pista con sempre maggiore sicurezza, mentre gli altri sono stati sempre più in affanno, al pensiero di volerlo battere. Si è trovato subito bene con la squadra, gli abbiamo voluto subito bene come lo abbiamo voluto a tutti i piloti con i quali abbiamo lavorato. Siamo una squadra, e lui fa parte della squadra, ma la prima donna è lui, lui come Loris, perché è chiarissimo che tutti ruotano intorno ai piloti. Casey è molto sincero, ha un carattere molto trasparente, se è arrabbiato o contento si vede, e noi siamo un po’ così tutti quanti, io in primis, quindi se c’è qualcosa che non va, ce lo diciamo direttamente, ma con la calma e la tranquillità che viene dalla consapevolezza della massima fiducia reciproca. Fin dai test invernali la squadra ha seguìto le sue indicazioni; è stato molto utile nello sviluppo delle gomme e della moto: un ragazzo giovane, con poca esperienza in MotoGP, ma con le idee molto chiare e che fa vedere con i tempi quando le cose vanno meglio o peggio. E’ relativamente facile portare avanti lo sviluppo della moto con un pilota così.”
Sono pregi di un pilota che sono affiorati mano a mano, lavorandoci assieme. Non bisogna però dimenticare che all’inizio Stoner rappresentava per Ducati e per tutti una bella incognita, prima di rivelare così grandi qualità.
“E’ stata una grossa soddisfazione; non è un mistero che Casey era un po’ una scommessa: non c’erano dubbi che fosse velocissimo, anche se quello che aveva fatto lo scorso anno all’esordio in MotoGP, senza aver praticamente fatto i test invernali, era roba da fenomeno. Poi quest’anno, oltre al talento e alla velocità, ci ha messo la costanza: è diventato un pilota completo. Quanto in questa trasformazione abbia contato il suo matrimonio, il fatto di avere le Bridgestone invece delle Michelin, con una gomma anteriore che dà più confidenza ai piloti, quanto abbia contato avere una moto che, soprattutto ad inizio anno, era particolarmente performante e a punto, è difficile dirlo: la squadra o altro, sono tante piccole componenti che fanno sì che alla fine, gomme o non gomme, sia stato il più forte in pista e quello che non ha fatto errori.”
Ecco, le gomme, argomento dibattuto e che tuttora tiene banco nelle discussioni: Suppo è stato il maggior artefice del passaggio della Ducati alla Bridgestone, un passo decisivo scaturito da premesse e necessità che lui stesso ci illustra.
“Bisogna tornare indietro nel tempo. Nel 2004 avevamo avuto un anno difficile, dopo l’esordio incredibile del 2003. Quando io ho iniziato a pensare alle Bridgestone e, quindi, a rompere le scatole a Claudio Domenicali e Filippo Preziosi – rispettivamente Amministratore Delegato e Direttore Tecnico di Ducati Corse – perché approfondissimo questo discorso, eravamo a Estoril nel 2004, il lunedì dopo la gara. Tamada era stato secondo dietro a Valentino, migliore dei piloti Honda, ed aveva già vinto in Brasile. Mi ricordo di aver considerato che c’erano quattro piloti che arrivavano dalla Superbike: Tamada, Bayliss, Edwards e Hayden. Erano entrati tutti in MotoGP nel 2003 e l’unico che aveva già vinto una gara era Tamada, mentre Troy, Nicky e Colin non è che avessero fatto delle cose stupefacenti, nonostante questi ultimi avessero vinto dei campionati mondiali o il campionato americano, mentre Makoto neanche quello giapponese. Allora, con tutto il rispetto che avevo per lui, mi venne in mente che, forse, quando andava forte avesse un vantaggio che gli derivava dalle gomme. In un’era nella quale Valentino vinceva dieci, undici gare all’anno, ho pensato che una maniera per batterlo fosse quella di avere delle gomme diverse dalle sue.”
Suppo prosegue poi questa storia del passaggio alla Bridgestone fornendoci ulteriori interessanti dettagli di questa vicenda che è curioso approfondire: “Questo poteva voler dire vincere due o tre gare all’anno, anziché nessuna, che per una squadra come la nostra è fondamentale, per la visibilità che ne deriva e per attirare l’interesse degli sponsor; e poi, lavorando sodo, per avere, con il tempo, una gomma mediamente migliore di quella degli altri e quindi poter puntare al mondiale: sembra un sogno, ma è effettivamente quello che è successo, perché nei primi due anni di Bridgestone abbiamo vinto due gare nel 2005 e quattro nel 2006, quindi sei gare in due anni contro una nei due precedenti. Era vero, quindi, che per battere gli avversari avevamo davanti due vie: fare quello che facevano loro, oppure percorrere delle strade totalmente diverse. Quest’anno è successo che mediamente le Bridgestone sono andate bene come le Michelin, se non meglio in certe occasioni, fermo restando il fatto che secondo e terzo nel mondiale ci sono due piloti Michelin, quindi torno a dire che quest’anno la differenza non l’hanno fatta le gomme ma il pilota!”
L’idea di cambiare il fornitore delle gomme della Desmosedici è stata comunque una scelta vincente.
Livio ci racconta di come i vertici di Ducati Corse l’hanno accolta all’inizio: “Claudio e Filippo sono delle persone molto intelligenti. Io sono l’unico dei tre a non essere ingegnere e quindi posso avere un approccio più fantasioso. Secondo un discorso puramente tecnico era da matti lasciare la Michelin, perché la Michelin vinceva i mondiali da tredici anni a questa parte e i primi sette o otto piloti nel mondiale erano gommati da loro, quindi ci vuole coraggio per proporre un cambio di fornitore, uno che quantomeno tralasci il valore tecnico e dia peso più che altro al valore strategico di questo passaggio. Claudio, Filippo ed io abbiamo un ottimo rapporto e ci stimiamo reciprocamente, quindi, quando uno dei tre dice qualcosa, gli altri due ci riflettono, perché, stimandoci, sappiamo che se uno propone qualcosa significa che un lato interessante questa cosa deve averla. Noi siamo un po’ complementari; l’idea è stata mia, è stata condivisa dagli altri due, anche se l’ultima parola spetta sempre a Claudio.”
A Motegi, Stoner si è laureato Campione del Mondo e Loris Capirossi ha finalmente portato a casa un successo che, per certi versi, è stato liberatorio anche quello.
“Io sono sinceramente molto contento per la vittoria di Loris – attacca Livio con decisione – perché se lo merita. Se abbiamo vinto il mondiale quest’anno è grazie al suo lavoro negli anni precedenti, non tanto per il lavoro di sviluppo, che viene portato avanti soprattutto dai ragazzi a casa, quanto per le sue vittorie, importantissime nella nostra storia in MotoGP. Sono contento che abbiamo conquistato il titolo in un giorno in cui finalmente è riuscito, in una gara particolare finché si vuole, ad essere primo sul podio. E’ stato bellissimo, perché eravamo tutti contenti: non sarebbe stato lo stesso se una parte del Team fosse stata contentissima e Loris avesse fatto una gara come quella di Estoril, dove ha preso quaranta e passa secondi. Purtroppo quest’anno non si è mai trovato con la moto, ha fatto fatica e continua a farne, pur se abbiamo cercato di assecondarlo in tutte le maniere possibili.”
Sta di fatto che il simbolismo di questa doppia affermazione maturata in casa dei giapponesi, sul circuito di proprietà della Honda, aggiunge sale all’impresa della Ducati, così come il fatto che la Bridgestone abbia avuto l’onore di spezzare l’egemonia francese a casa propria.
SBK a Jerez: avanti tutta!
A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.
Casey Stoner? Io lo conosco bene
Intervista a Lucio Cecchinello, ex team manager e talent scout di Casey Stoner. Il racconto degli esordi del campione australiano.