Cari lettori, permettemi se, prima di raccontarvi la mia special, mi presento: mi chiamo Emiliano e sono un assiduo lettore della nostra rivista Mondo Ducati.
Ho scritto queste brevi note sospinto da quell’incontrollabile misto di passione e sentimento per la moto che per me è diventato una vera e propria “croce e delizia”: definisco così questa ancestrale sensazione che provo perché è ormai da diversi anni che sono costretto su una sedia a rotelle.
Tale situazione mi ha fatto vivere una sorta di alienazione dal mondo del motociclismo, ma, allo stesso tempo, è stata proprio quella passione a farmi uscire, Dante direbbe “A riveder le stelle..”, da quei meandri oscuri in cui mi aveva catapultato.
Anche se, all’apparenza, quello che mi appresto a raccontare potrebbe sembrare la sceneggiatura di un film di un Pieraccioni d’annata, giuro che corrisponde alla realtà più cristallina.
Questa mia “resurrezione” risale all’estate 2015, quando nel bel mezzo di un caldo e afoso dopo pranzo, condiviso con un piccolo gruppo di amici nel cuore della campagna ciociara, il latrato singhiozzante di un bicilindrico sbullonato squarciò il silenzio della siesta nostrana.
A tale frastuono, gli “ex commensali”, così citati perché oramai KO, forse per il caldo forse per la digestione, domandarono, con lo spiccato accento di Roma: “Ma che è ‘sto casino?”.
Al quesito, sentitomi chiamato in causa, risposi io con piglio saccente: “E’ un Ducati 2 valvole”. Subito dopo aggiunsi con tono incuriosito: “Ma dov’è?”, non essendoci nessuna traccia di asfalto o strada sterrata nei paraggi.
La voce controcampo del ristoratore, stavolta nel tipico accento locale, riecheggiò nel grande salone da banchetto: “E’ lu vicino mio”. “Ma dove? Non c’è niente qui…”, ribattei io.
“Eccolo là, è nel campo”, rispose, orientando il mio sguardo con il suo indice.
La mia espressione fu eloquente. “Sì, sì, hai visto bene, la usa per scacciare gli uccelli dall’orto”.
“Davvero?”, dissi io.
“E anche per rompere le scatole a noialtri!”, aggiunse lui.
Sentii come un tumulto in me e, rinvigorito dal limoncello ghiacciato della casa e dal rombo “amico”, bisbigliai: “Devo fare qualcosa, devo salvarla”; allora piroettai la mia carrozzina dirigendomi verso la cucina per domandare al ristoratore: “Si può parlare con il tizio del campo? Lo conosce?”
Accennò un piccolo sorriso e rispose: “E’ compare mio”.
A quella risposta fece seguito un’estenuante e interminabile trattativa con il proprietario della moto per poter liberare il mezzo dalle grinfie delle zolle del campo, trattativa conclusasi strappandomi la promessa di fargli fare un giro di prova a restauro ultimato.
Mi prodigai subito per portare a casa la moto, avevo paura ci ripensasse, tanto che nel tardo pomeriggio, dopo aver tolto le penne di gallina e aver racimolato le poche parti rimaste integre o utili, io ed il mio compagno d’avventura Simone, eravamo già sul Volks per la via del ritorno.
Mentre l’asfalto scivolava lento sotto le gomme del pulmino, nella mia mente tutte le parole ascoltate in quel pomeriggio di mezza estate si avvilupparono in una spirale vorticosa facendomi cambiare idea.
Forse per colpa della promessa fatta, forse per colpa dell’esser venuto a conoscenza dell’ultima mansione affibbiata a quella povera Ducati, o forse per colpa di “Born to be wild” degli Steppenwolf che faceva da colonna sonora, optai per un altro obiettivo.
Decisi: non sarà un restauro, bensì una trasformazione e il risultato finale sarà una Scrambler d’assalto.
Il mattino seguente tutto era già chiaro nella mia mente: due colori fondamentali, il verde Nato e il nero opaco, pneumatici “generosi”, sella stile anni 70, scarico “baritonale” alto, in acciaio inox, occhi da matto.
Subito rintracciai un mio contatto nell’esercito per prendere in “prestito” un po’ di vernice, poi chiamai un mio amico abilissimo nelle saldature al TIG per poter rimodellare le forme, poi il sabbiatore per “ripulire” telaio, cerchi, motore e così via!
Tutti gli ingranaggi hanno girato alla perfezione sin dal primo momento e più giravano e più ci prendevo gusto, ma per non essere prolissamente tedioso sorvolerò sui vari step evolutivi, compresa la verniciatura goffrata per il motore e le varie parti create appositamente.
Il fatto è che ora la moto è terminata, ma non posso guidarla; io la trovo carina e ben fatta, ma il mio giudizio ha valore pari allo zero, per questo chiedo, a voi lettori, il vostro insindacabile giudizio.
Del resto, tutto ciò è stato possibile anche grazie a Mondo Ducati, che ha riacceso la mia fiamma e ha fatto divampare il fuoco sotto la cenere.
Questo, quindi, è stato il mio “ritorno in sella”, tant’è che ora mi sono “ingarellato” con un nuovo progetto e, per scimmiottare i customizer più importanti, ho creato la mia pagina Facebook: motosindromiche.
Rimaniamo in contatto!
SuperSport special d’assalto
Supersport Special. Non un restauro, ma una trasformazione. Il risultato finale è una moto più simile ad uno Scrambler, d’assalto.
Tanti complimenti
è bella… non sembra neanche una special, ma prodotta per il mercato.
Renzo Carlenzoli