Tony Rutter, storia di un campione Ducati

Tony Rutter, storia di un campione Ducati

La vita del pilota mai sazio di vittorie, che contribuì a ridare slancio al prestigio della Ducati nel Regno Unito e non solo.

Purtroppo, lo scorso 24 marzo è venuto a mancare Tony Rutter, pilota inglese che occupa un ruolo da protagonista nella storia di Ducati nelle competizioni. Infatti a lui si devono, fra l’altro in uno dei periodi più avari di successi per Ducati, ben quattro titoli mondiali TT F2 vinti in sella al suo Pantah 600 TT2 dal 1981 al 1984.

Nato a Wordsley nel 1941, appassionato di moto fin da bambino, ha ottenuto la sua prima vittoria a Brands Hatch nel 1964: una carriera molto lunga la sua, quindi, anche se purtroppo il grave incidente che gli occorse a Barcellona nel 1985 lo obbligò a ritirarsi dalle corse.

Ma torniamo alla sua brillantissima carriera in Ducati: nel 1981, Steve Wynne, uno degli artefici della vittoria di Mike Hailwood al TT nel 1978, gli affidò una Ducati Pantah: a dire il vero una semplice, anche se abile, elaborazione di un normalissimo Pantah 500 SL.

Pantah 600 TT2
Rutter in azione su una TT2 con la caratteristica livrea della Sports Motorcycles di Steve Wynne, la stessa che aveva Hailwood.

Tony Rutter, nonostante avesse quasi quarant’anni, era ritenuto un grande esperto del TT, anche perché rappresentava alla perfezione la figura del classico pilota inglese tutto coraggio e determinazione, un tipo che non si tira mai indietro.

Ma si sa, sul Mountain Circuit il coraggio e la grinta, se si vuole vincere, non bastano; serve esperienza e capacità di guida, due doti che l’esperto Rutter aveva in abbondanza. Con queste premesse, facile indovinare come la scelta di Wynne fosse azzeccata e Rutter il pilota giusto per portare sul gradino più alto del podio quel Pantah di cui il tecnico inglese aveva intuito le potenzialità.

L’Isola di Man, esclusa dal Motomondiale da pochi anni a causa della sua pericolosità, rappresentava comunque il palcoscenico ideale per rilanciare il prestigio di Ducati nel Regno Unito e non solo.

Scelta interessata quella di Wynne, visto che era il titolare di una delle più importanti concessionarie Ducati d’Inghilterra, la Sports Motorcycles che gestiva con il suo socio Pat Slinn.

Con queste premesse, Rutter, già vincitore di due TT, nella classe 350 nel 1973 e 1974, condusse il suo Pantah per primo sotto la bandiera a scacchi nel giugno del 1981. Grande soddisfazione per Wynne e soci, visto che quel Pantah era una loro creatura, realizzata mettendo a frutto la loro grande esperienza nell’elaborazione dei bicilindrici Ducati, prima a coppie coniche e ora con il comando della distribuzione a cinghia.

Dopo questo bel trionfo, Ducati si convinse a sfruttare la situazione e, per la seconda gara del Mondiale TT F2 di quell’anno, gli mise a disposizione una delle nuove Pantah 600 TT2 ufficiali per correre appunto il GP dell’Ulster: c’era un titolo mondiale da vincere e Tony non deluse le aspettative.

A quel tempo, infatti, il campionato TT si svolgeva su due tappe, la prima al Tourist e la seconda in Irlanda: due Road Races belle toste e molto pericolose, di cui il Motomondiale ufficiale non voleva più sentir parlare.

Con il secondo posto ottenuto in questa seconda gara, il titolo di Campione del Mondo TT F2 non gli sfuggì.

La Ducati era iridata per la seconda volta e, anche in questo frangente, come già con Hailwood nel 1978 (quella volta nella categoria TT1), la vittoria era stata scritta sulle strade dell’Isola di Man e sempre con la collaborazione fondamentale della Sports Motorcycles.

Ducati 750 e Pantah 600 TT2
La Ducati 750 di Mike Hailwood fa compagnia al 600 TT2 al Ducati Museum: in questo caso è quello di Walter Cussigh, vincitore del titolo italiano TT nel 1982.

Nel 1982, sempre in sella alla moto ufficiale, Rutter vinse di nuovo il TT e il Mondiale di categoria, che nel frattempo riscuoteva sempre maggiore seguito di pubblico e aumentava costantemente il numero dei circuiti su cui si svolgeva; infatti, in quell’anno, Tony vinse il TT, il Vila Real e l’Ulster GP.

Il forte pilota inglese dimostrava così, anno dopo anno, di essere uno dei piloti più completi del suo tempo, capace di vincere sui rischiosi circuiti stradali, ma anche in pista, sfruttando in pieno la sua esperienza e le potenzialità del suo Pantah, ormai costantemente aggiornato dal lavoro congiunto di Ducati e NCR, la storica officina bolognese che in quegli anni fungeva da vero e proprio reparto corse distaccato della Casa di Borgo Panigale.

Sui campi di gara, però, la moto veniva seguita sempre dai tecnici della Sports Motorcycles che si occupavano attivamente della sua manutenzione e messa a punto.

Occasionalmente era presente anche Franco Farné, il grande tecnico della Ducati, a suo tempo grande pilota e ora attivo a seguire il poco che Ducati poteva fare nel mondo delle corse.

A parte tale situazione, in Inghilterra c’erano tutte le premesse per far bene, tanto più che Rutter stava vivendo una seconda giovinezza, era forte fisicamente e guidava una moto fantastica.

Tony Rutter

Infatti, la Ducati 600 TT2, oltre che estremamente performante, si rivelò anche molto affidabile: nei cinque anni in cui fu utilizzata dalla concessionaria inglese partecipò a circa cinquanta gare, incluso il campionato del mondo, quello europeo e quello britannico, senza parlare poi delle varie prove.

Bene, il Pantah di Rutter, in tutte queste occasioni, è sempre giunto al traguardo, a parte un unico guasto meccanico occorso durante le prove prima di una gara. Dimostrazione efficace della robustezza di questo motore, anche nella sua versione da competizione, e di come il suo progettista, l’Ing. Taglioni, avesse svolto un ottimo lavoro!

Pantah del 1979 al Ducati MuseumBreve storia del Pantah

Il Pantah fece il suo esordio, sotto forma di prototipo, al Salone di Milano del 1977, ma la versione definitiva venne presentata solo l’anno successivo, caratterizzata dalla semicarena superiore e sella con codino asportabile per offrire l’alternativa fra la soluzione monoposto e quella biposto. L’assetto di guida era in linea con questa impostazione sportiva, in quanto erano stati adottati semimanubri, pedane arretrate e rialzate, che mettevano il pilota nella condizione di assumere una posizione di guida naturalmente proiettata in avanti.

Sul mercato, il nuovo modello arrivò però solo nei primi mesi del 1980. Il Pantah, nella cilindrata di 500 cc, rimase in listino fino al 1984, ma fu seguito nel 1981 dal Pantah 600 SL che rappresentò un deciso passo in avanti, soprattutto in termini di prestazioni, rispetto al 500.

Nel 1982 comparvero, entrambe con impostazione turistica, la 600 TL, dall’aspetto non proprio piacevole, e la 350 XL nata appositamente per il mercato italiano: probabilmente fu la 350 quattro tempi più brillante nella sua generazione. Il 1983 è l’anno della 350 SL mentre nel 1984 è la volta del Pantah 650 SL, forse il modello meglio riuscito di tutta la famiglia.

Nel 1985, la Cagiva dei fratelli Castiglioni acquisisce la Ducati e utilizza il motore del Pantah per allestire vari modelli a marchio Cagiva quali l’Alazzurra e, in seguito, l’Elefant nel segmento delle enduro. In casa Ducati, il motore Pantah va a equipaggiare anche i modelli custom Indiana.

La storia del Pantah vede la sua apoteosi nella perfezione della 750 F1, una moto di notevoli prestazioni e di grande appeal grazie alla sua livrea tricolore: una moto che è ancora oggi nel cuore e nei sogni di molti Ducatisti.

Nel 1983 il copione si ripeté: Rutter fu di nuovo iridato, imponendosi per la terza volta di fila al TT; fra l’altro si realizzò anche una bellissima doppietta, visto che Graeme Mc Gregor, con un’altra Ducati, arrivò secondo. A terminare il campionato, ecco due altre vittorie di Rutter all’Ulster GP e ad Assen.

Tony Rutter a Brands Hatch con Ducati Pantah
Tony Rutter in sella alla sua Ducati Pantah TT2 a Brands Hatch: siamo nel 1983.

Passano gli anni e il perfezionamento della Ducati TT2 non si ferma, con la possibilità per il pilota inglese di disporre dei motori ufficiali usciti direttamente dal reparto corse di Borgo Panigale.

Il bicilindrico Ducati ha i semicarter esterni in lega di magnesio, la frizione a secco e sviluppa più di 80 Cv, permettendo così a Rutter di proseguire la sua marcia trionfale: anche il titolo del 1984, infatti, non gli sfuggì, anche se non riuscì a vincere al Tourist Trophy.

Sempre in quell’anno, con la 750, naturale sviluppo della 600, Tony prende parte alla gara di classe F1, sempre sul tortuoso circuito dell’Isola di Man: finirà terzo, preceduto soltanto dalle Honda ufficiali di Joey Dunlop e Roger Marshall.

Un gara memorabile!

Tony aveva 43 anni e un’incontenibile voglia di correre e di vincere, sostenuto anche dalla certezza che, grazie alle sue vittorie, aveva dato nuovo slancio alle iniziative agonistiche di Ducati.

In realtà, fu un incrocio perfetto, considerato che senza l’aiuto e la passione di Franco Farné e della fondamentale collaborazione con la NCR di Rino Caracchi e Giorgio Nepoti, Rutter non avrebbe potuto vincere tutto quello che ha vinto.

Ma ecco che siamo al 1985: Ducati sta per essere rilevata dal Gruppo Cagiva. I proprietari dell’azienda, i fratelli Castiglioni, sono dei grandi appassionati e credono fortemente nel valore, anche commerciale, delle corse: Rutter avrebbe tratto sicuramente grande vantaggio da questo nuovo assetto proprietario.

Inoltre, grazie al fermento che vi era intorno alle moto derivate dalla serie, si assisteva alla nascita di categorie che si sarebbero poi trasformate, in pochi anni, in quella che sarà la Superbike.

Tony Rutter Isola di Man
L’inglese Tony Rutter impegnato con la sua Ducati durante l’affascinante e altrettanto pericoloso Tourist Trophy, sull’Isola di Man.

Il destino però decide diversamente e purtroppo, nella nostra piccola biografia del pilota inglese, dobbiamo giungere al momento più triste.

In gara al Montjuich, nel 1985, Rutter scivola sull’olio lasciato da un altro concorrente: la caduta è rovinosa, tanto che molti lo danno per spacciato. Numerose e gravi le fratture, situazione che lo terrà in coma per quasi un mese.

Alla fine il forte pilota si riprende con fatica, ma è chiaro, vista anche l’età, che non potrà ambire a quella posizione all’interno del team Ducati a cui potenzialmente poteva arrivare.

Ormai sono gli anni di Marco Lucchinelli e Virginio Ferrari che impongono l’erede del suo Pantah, la 750 F1.

Comunque sia, Rutter non appende certo il casco al chiodo e dal 1988 al 1991 partecipa, sempre con la 750, al Tourist Trophy, ma i risultati sono molto modesti, tanto da convincerlo al ritiro.

E’ il momento di dedicarsi al figlio Michael, anche lui fortissimo pilota e appassionato delle rosse di Borgo Panigale, visto che, oltre a innumerevoli vittorie nelle Road Races, ha corso per cinque anni nel Mondiale Superbike proprio in sella a Ducati.

Così Michael parlò di suo padre in un’intervista da noi raccolta qualche anno fa: “Il fatto che mio padre sia stato un famoso pilota di moto e, in particolare, che abbia raccolto i suoi successi più importanti con la Ducati, ha influito molto nella mia vita. Quando ho iniziato a gareggiare mi interessava soprattutto lavorare sulle moto e, a dire la verità, non ero troppo attratto dalla carriera di pilota. E’ andata così: mio padre mi ha chiesto se volevo correre, tanto per provarci e io ho voluto fare un tentativo. Poi, vedendo che non ero poi così scarso, abbiamo continuato! Certo, essere stato coinvolto nell’orbita Ducati ha avuto il suo peso, perché le moto che fanno a Borgo Panigale sono diverse da tutte le altre. Pertanto, posso sicuramente definirmi un ducatista e un vero appassionato del Marchio“.

Buon sangue non mente!

Tony e il suo Pantah rimarranno sempre nel cuore di tutti i Ducatisti.

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. Patrick Slinn

    Please get the story correct about Tony Rutter and his TT2 Ducati. I was Tony Rutters mechanic / race engineer, his 1981 Formula 2 Pantah was built by me. NCR had absolutely nothing to do with his TT1 or TT2, He raced factory bikes on occasions. The story you wrote was obviously told to you who does not know, you are distorting motorcycle racing history.
    Please alter your story. My email is pat.slinn@btinternet.com Pleas let me know if you have understood this. Regards, Pat Slinn

    1. Redazione

      Dear Pat, in the article it is clearly written that the 1981 motorcycle is your work.

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