In onore della Lancia Stratos HFNel caso della special protagonista di questo articolo, però, siamo davanti a due eccezioni ben importanti: la prima è che la moto in questione si ispira a un’auto da rally e questo, per quanto ne sappiamo, è la prima volta che accade; la seconda è che questa bella e curata special su base Monster 696 proviene niente meno che dall’Argentina, una terra che raramente ci presenta novità per il nostro mondo desmo. Eppure è così, perché gli amici della “Vida Bandida Motocicletas” di Córdoba, in Argentina, per la loro Ducati Rally hanno preso spunto niente di meno che dalla Lancia HF, una vera icona del mondo rallystico, un mezzo che ha dettato legge, a livello di campionato del mondo, nella metà degli anni Settanta. Ma compiamo un passo indietro e facciamo la conoscenza con uno dei due titolari di questo atelier, Antonio Lupiañez che, con il suo socio Salvador Alasino, ha messo su questa attività che non si occupa solo di preparare moto, ma propone anche una linea di accessori e di abbigliamento. Insomma, tipi attivi che realizzano tutte le lavorazioni all’interno della loro officina e, bisogna dirlo, con non poca perizia, visto il livello di questo Monster da battaglia! Il 696 è arrivato a loro grazie a un cliente il cui padre, neanche a dirlo, è un famoso pilota di Rally. Ma lasciamo la parola ad Antonio, che così ci potrà raccontare in diretta come è nata l’ispirazione per questa moto che sembra nata per correre su sentieri e sterrati: “Córdoba è una città famosa per la sua passione per il rally. Da bambini, Salvador e io andavamo sempre a vedere le gare del WRC sulla Sierra. Ricordiamo ancora come queste auto volavano letteralmente sui dossi, dando l’impressione di schiantarsi a ogni curva! Era l’epoca d’oro del Gruppo B nel mondiale di rally, negli anni ’70 e ’80, con queste poderose macchine prive quasi completamente di controlli elettronici. Ecco da dove viene l’ispirazione di questa moto e, in particolare, dalla Lancia Stratos, la più bella e veloce di tutte!”. Con in testa la livrea tricolore della Stratos, frutto dello sponsor Alitalia, e la relativa ispirazione, i due amici hanno iniziato a smontare completamente il tranquillo Monster 696 per verificare che telaio e motore fossero a posto, con l’intento susseguente di tirarne fuori l’anima più aggressiva possibile: “Nella definizione dello stile – continua Antonio – siamo partiti dalla combinazione di colori della bandiera italiana, proprio come era sulla Stratos, radicale e futurista! Poi, la prima cosa che abbiamo montato sulla moto sono stati i famosi fari Hella nella parte anteriore, fatto che dona molta aggressività, così come le imponenti ruote tassellate che abbiamo montato sui cerchi Ducati verniciati in colore bianco”. Bene, non dimentichiamoci che per una moto che si chiama “Ducati Rally” tutto ciò rappresenta una dotazione indispensabile! Del resto, la personalità non le fa certo difetto, come dimostrano le strane e particolari punte in alluminio, tornite e avvitate sul telaio, che danno un ulteriore tocco di cattiveria al look della moto, ma che rappresentano un’ulteriore citazione, visto che ricordano i chiodi montati sugli pneumatici da neve all’epoca. Dopo queste prime modifiche, il 696 è stato liberato di molte sovrastrutture, fra cui le cover del serbatoio, lasciando così “nudo” l’airbox e la parte posteriore adibita al contenimento del carburante: una scelta particolare, che conferisce comunque ulteriore originalità all’insieme e che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non stona affatto. Antonio ci ha poi confidato che la definizione della sezione posteriore della moto è stata quella che ha richiesto maggior impegno: alla fine, lasciando intatto il telaietto posteriore di serie, ha optato per un codone dal profilo squadrato in alluminio che secondo lui è in sintonia con il design degli anni in cui la Stratos correva, e vinceva, nei rally del campionato mondiale.
Regina d’Africa
Se parliamo di Rally e di due ruote, il nostro pensiero va subito alle gare africane, con ovviamente la Parigi-Dakar su tutte: una manifestazione massacrante che, per un lungo periodo, ha attirato l’attenzione di migliaia di appassionati, nonché ovviamente delle Case costruttrici.
Fra loro, Cagiva ha svolto un ruolo certo non secondario, grazie alla sua Elefant dotata di motore Ducati e messa a punto dal tecnico Roberto Azzalin: prima il caro vecchio Pantah con il cilindro posteriore ruotato di 180° in modo che entrambi i carburatori si trovassero all’interno della V dei cilindri, poi con l’utilizzo del carburatore doppio corpo della Weber (così come era sul Paso), infine con il motore carter larghi da 904 cc e alimentazione con iniezione elettronica.
Tale avventura è segnata da momenti eroici, come quando Auriol riesce a terminare la tappa nonostante entrambe le caviglie fratturate, ma anche tragiche, come l’incidente che costò la vita, nel 1986, a Giampaolo Marinoni.
La storia della Cagiva motorizzata Ducati alla Parigi-Dakar è comunque ricca e segna anche due bellissime vittorie assolute, sempre con Edi Orioli, rispettivamente nel 1990 e nel 1994.
Da tale curriculum sportivo, l’azienda varesina trasse vantaggio commercializzando varie versioni (con diverse cilindrate) della sua Elefant, moto molto apprezzata ancora oggi e che conserva buone quotazioni di mercato, soprattutto per la versione “Lucky Explorer”. Un capitolo importante, quindi, anche se ottenuto fra i deserti di dune e roccia dell’Africa, invece che sui levigati asfalti dei circuiti europei: una dimostrazione efficace della versatilità, dell’affidabilità e delle prestazioni del due valvole Ducati progettato dall’Ing. Taglioni.
Molto particolare è anche la posizione della sella, che potremmo definire “volante”, vista la sua posizione rialzata grazie a due appositi riser.
La ciliegina sulla torta è quella fornita dai particolari terminali di scarico, asimmetrici, che lasciano completamente libera la parte posteriore della moto, permettendo così di dare il massimo risalto al forcellone che, in modo molto intelligente, è stato verniciato in maniera tale da riprendere i vuoti, il colore e la forma del telaio, contribuendo così all’armonia dell’insieme.
Se proprio vogliamo trovarle un difetto, si avverte un po’ la mancanza di un parafango anteriore che, a parte l’indubbia utilità visto l’utilizzo previsto del mezzo, avrebbe ancora più accentuato il suo carattere di Stratos a due ruote.
Sul motore nessuna modifica, se non la dotazione di un oblò trasparente per la frizione APTC multidisco in bagno d’olio e l’eliminazione dei carter delle cinghie
“La cosa che ci è piaciuta di più nel realizzarla – conclude Antonio – è stato il fatto che per la prima volta abbiamo creato una moto con così tanti colori. Ci è piaciuta anche la sua essenzialità, vista l’assenza di plastica e di tutte le altre parti non necessarie, il che per noi ha rappresentato una sfida. Siamo soddisfatti del risultato finale e anche del fatto che possiamo utilizzarla negli stessi luoghi dove correva il mondiale di rally! Guidandola su quelle strade è come rivivere quell’epoca d’oro, quando diventavamo matti ammirando queste meravigliose auto che volavano in aria con le fiamme che uscivano dagli scarichi!”.
Guidati dalla nostalgia, se si hanno le idee chiare, si può quindi ottenere un risultato fresco e originale, come dimostra la loro “Ducati Rally” che sembra certo una lontana parente del caro, vecchio (e anche un po’ ingombrante) monsterino!