Guardando questo Pantah qualcuno potrebbe pensare a un nuovo modello della famiglia Sport Classic Ducati. Invece, si tratta di una moto del 1982, acquistata nel 1990 dal suo quarto proprietario, Alessandro Giulino di Roma.
La sua passione per i bicilindrici desmodromici nasce quando, all’età di quindici anni, si reca a Vallelunga per assistere a una gara dove a farla da padrone sono proprio i Pantah progettati dall’Ingegner Taglioni, mentre quella per lo stile cafe racer (e anche chopper) si è concretizzata quando, un paio di anni fa, ha visto un serbatoio di alluminio di provenienza Rickman Metisse presso un suo amico.
Detto fatto, Alessandro ha barattato una coppia di semimanubri con relative piastre di sterzo per averlo e da lì inizia l’avventura.
Grazie al suo insostituibile amico Furio Federiconi riesce infatti a trovare un telaio, sul quale comincia a costruirci la special che aveva in mente.
Da allora sono passati più di due anni e, finalmente, la moto è pronta.
Del modello originale sono rimasti soltanto il comando dell’acceleratore e il parafango posteriore, mentre tutto il resto è stato modificato o sostituito, a parte il telaio che, in ogni caso, è stato anch’esso oggetto di un aggiornamento.
Le geometrie principali sono state riviste attraverso il montaggio di apposite boccole che modificano l’inclinazione del cannotto di sterzo in un range di +/-2°. Attualmente questo valore è di 25°, mentre in origine era pari a 30°.
Alessandro ci spiega che, così facendo, la moto ha guadagnato tantissima maneggevolezza, anche se si fa sentire la necessità di un forcellone più lungo per ripristinare una misura dell’interasse meno estrema, visto che siamo al di sotto dei 1400 mm.
Anche per questo motivo, infatti, sul lato sinistro del mezzo compare un ammortizzatore di sterzo che mitiga in parte certe reazioni piuttosto nervose dell’avantreno.
Il motore, precedentemente installato su una 750 F1 Montjuich, è stato invece sottoposto alle amorevoli cure di Ezio Piceni e Piermario Inverardi del PIP Team di Brescia.
Il bicilindrico in questione era già stato un po’ elaborato, come testimoniavano i carburatori Dell’Orto da 40 mm con ghigliottine in ottone che adesso “respirano” attraverso due filtri a tronco di cono ad alta permeabilità.
Gli interventi dei due tecnici lombardi sono partiti dalla raccordatura dei condotti, proseguendo poi con l’alleggerimento e l’equilibratura dell’albero motore, la lavorazione di vari ingranaggi, fino ad arrivare al tamburo del selettore del cambio.
Sempre in tema di trasmissione, la frizione è stata “aperta”, grazie a una sapiente opera di traforo, lasciando in pratica solo le piccole nervature di rinforzo, e dispone adesso di un comando radiale al manubrio.
Gli scarichi sono opera di Federiconi, che li ha praticamente “cuciti” addosso alla moto. Si tratta, naturalmente, di una configurazione che riprende lo stile della moto, ricordando a tratti la vecchia Ducati 750 SS a coppie coniche che vinse a Imola, nella 200 Miglia del 1972.
Tuttavia, questo intervento è stato effettuato tenendo in considerazione principalmente i canoni estetici piuttosto che quelli tecnici, in quanto, a detta dello stesso Giulino, rispetto al classico due in uno aperto, l’impianto attuale riduce il valore di potenza massima ottenibile, che dovrebbe aggirarsi intorno agli 80 Cv, quasi del 15%.
Oltre a non avere praticamente più niente in comune con il modello originale, questo Pantah ha la particolarità di essere equipaggiato solo e soltanto con accessori realizzati su misura.
“Le uniche cose che sono state acquistate tramite un catalogo -spiega Alessandro- sono gli specchietti retrovisori. Farli a mano sarebbe stato un problema! Anzi, a dire la verità, anche i semimanubri sono stati comprati, ma tra non molto verranno rifatti ad hoc”.
A tal proposito, Giulino ci tiene a sottolineare come il serbatoio, una volta preso in consegna, sia stato rimodellato nella zona inferiore per adattarlo perfettamente al profilo del telaio, oltre ad essere stato dotato di una sorta di cintura di alluminio forato che lo abbraccia in senso longitudinale, come accadeva una volta, fin dai tempi della Marianna.
Allo stesso modo, il parafango anteriore e la piccola tabella portanumero posta sopra al faro, anch’essi in alluminio, sono stati realizzati ex novo a partire da una semplice lamiera battuta a mano.
Tutta la bulloneria di supporto del motore, i perni delle ruote, dei freni, degli scarichi, della forcella e tutti i bulloni di almeno M8 sono in titanio, mentre quelli M6 sono in ergal anodizzato al naturale (il portafoglio di Alessandro sta ancora piangendo!).
Il parafango posteriore, il comando del gas e parte del telaio sono rimasti di serie. Tutto il resto è stato modificato o sostituito…
I cerchi sono ovviamente a raggi, di cui il posteriore CLF, con mozzo comunque rifatto da Federiconi, e l’anteriore di un ex Ducati a coppie coniche.
L’impianto frenante è forse l’unico dettaglio della componentistica ad essere più recente rispetto alla moto stessa. “Probabilmente, le pinze anteriori a quattro pistoncini che sono montate adesso verranno sostituite dalle Brembo P08 serie oro a due pistoncini che già possiedo, -spiega il proprietario- in modo da uniformare l’impianto all’età del mezzo. Conseguentemente, inoltre, verranno aggiornati anche i dischi, che passeranno da 300 a 280 mm di diametro. Tuttavia, quando si parla di freni, avere a disposizione un bel mordente fa sempre comodo, anche se è vero che questa special pesa un bel po’ meno rispetto al modello di serie e, dunque, non necessita di una potenza eccessiva”.
A proposito di peso, dovremmo essere vicini ai 160 Kg a secco, valore di tutto rispetto per una moto stradale, pur se di impostazione minimalista come in questo caso.
Di conseguenza sono state impostate naturalmente le sospensioni, che prevedono una forcella Italia regolabile con steli da 40 mm dotata di molle Wilbers all’avantreno e una coppia di ottimi ammortizzatori Fac al posteriore.
La sella è di provenienza Honda, ma per amalgamarsi meglio con le linee generali è stata accorciata e successivamente adattata.
Nonostante quest’ultima sia evidentemente monoposto, compaiono due coppie di pedane ai lati del mezzo.
In realtà quelle più arretrate non si riferiscono a un eventuale passeggero, ma servono al conducente quando deve affrontare lunghi tratti rettilinei a velocità sostenuta, in modo da offrire la minima resistenza aerodinamica.
La moto è agilissima e molto divertente da guidare. Come anticipato, andrà realizzato un forcellone più lungo per renderla un po’ meno nervosa, visto che così, ogni tanto, ci scappa qualche sbacchettata. Freni e sospensioni, poi, sono all’altezza di un motore davvero sorprendente per prestazioni ed erogazione. Questo bicilindrico, infatti, è capace di arrivare tranquillamente fino a 11.000 giri, senza tuttavia lamentare vuoti o incertezze nella sua fascia di utilizzo. Semmai, l’unico suo difetto consiste nell’elevato livello delle vibrazioni, che penalizza decisamente il comfort. Dal canto suo, la posizione di guida risulta più distesa rispetto al modello di serie, proprio come usava sulle cafe racer inglesi.
Alessandro si è occupato personalmente della parte elettrica, compresi il grosso faro anteriore da 230 mm di diametro, che proviene da una Yamaha XJ 650, e gli strumenti del cruscotto, con il contagiri di una 851, il tachimetro di una Cagiva Alazzurra e una serie di spie a led ad alta luminosità.
L’imponenza del gruppo faro-cruscotto, infine, con l’aggiunta dell’appendice superiore in alluminio, serve anche per alleggerire un poco la pressione dell’aria che investe il conducente alle alte velocità che questo valido e bellissimo Pantah è senz’altro in grado di raggiungere.
Foto di Paolo Grana