Forse in questo momento quelle riprese in foto non vi sembrano altro che delle normali Ducati 748. Beh, in questo caso, forse è meglio se vi fermate un istante e leggete quello che abbiamo da dirvi, perché queste moto hanno una storia molto interessante da raccontare.
Innanzitutto, non solo delle “normali” 748, bensì delle 748 RS, ovvero la versione da gara della Supersport di Casa Ducati. Poi, fatto del tutto straordinario, sono appunto tre, numero importante per una moto che è stata realizzata in questa versione, ovvero per le competizioni dell’anno 2000, in pochissimi esemplari. Qualcosa di molto raro e interessante, quindi, che ci riporta a un periodo molto particolare della storia sportiva di Ducati, dove la gestione e l’organizzazione delle corse era del tutto diversa da quella odierna e anche le moto avevano ben poco a che vedere con gli attuali mezzi che competono in SBK e SS.
Si può senz’altro dire che quel periodo sia già definibile come “storico” proprio per il fatto che siamo davanti a moto del tutto prive di qualsiasi forma di gestione elettronica e con potenze che ora sono disponibili per una moto touring!
Dobbiamo questo interessante tuffo nel recente passato a Marco Dell’Aquila, ovvero al collezionista che ha provveduto a recuperare e restaurare questi tre bellissimi modelli: le due in colore grigio scuro provengono dal Team Dolomiti e sono due moto gemelle utilizzate (una come muletto) dallo stesso pilota nel campionato Alpe Adria per ben quattro stagioni. La loro colorazione è quella originale del Team che con questa livrea le portava in pista (carene grigio Senna, tabelle bianche con bordature oro e cerchi rossi).
E’ un po’ difficile conoscere bene la loro storia, in quanto la Dolomiti Racing è purtroppo fallita qualche anno fa; si trattava comunque di un team che si poteva definire come semi ufficiale, in quanto era molto vicino agli uomini di Ducati Corse, quindi avevano il meglio della produzione racing dell’epoca.
Nel 2000, Ducati era poi presente nel mondiale Supersport con il team ufficiale (piloti Rubén Xaus e Paolo Casoli) e una serie di team satelliti fra cui spiccava la squadra di De Cecco con Piergiorgio Bontempi e Fabien Foret: la moto gialla del nostro servizio dovrebbe essere appunto quella utilizzata dal pilota francese. Usare il condizionale in questi casi è quanto meno d’obbligo: un po’ perché dopo diversi anni è difficile risalire alla vera storia sportiva, un po’ perché nel mondo delle corse non si bada certo all’originalità, con la continua variazione di motori e componentistica, molto anche perché queste moto hanno continuato la loro vita sportiva dopo i fasti del mondiale, correndo in situazioni minori.
Ne consegue che, fra problemi tecnici, incidenti e modifiche varie, il concetto di “originalità” per una moto da corsa sia quanto di più aleatorio ci possa essere!
Tant’è che il primo compito di Marco, una volta entrato in possesso di queste moto, è stato proprio quello di restaurarle in modo filologico, cercando tutte le parti effettivamente impiegate all’epoca; inutile dire che le moto, al momento dell’acquisto, non erano certo come ora le possiamo ammirare in foto.
Fra i vari compiti, riparare il carbonio, ricondizionare i motori, aggiungere tanti dettagli che mancavano fra cui, non ultimo per importanza, tutta la grafica originale dell’epoca! Purtroppo di queste moto, poi, non è che ci siano chissà quali archivi fotografici e tecnici a disposizione, per cui Marco si è dovuto arrangiare con il materiale promozionale dell’epoca, dal poster alle foto fatte per gli sponsor.
Ma prima di continuare con la descrizione delle moto, è interessante capire il perché di una passione così particolare per questo tipo di moto: “Ovviamente tutto parte dalla passione per la Ducati, iniziata nel 2002, – ci racconta Marco – poi con il tempo mi sono avvicinato al mondo delle corse, fino a che, per collezionismo, ho iniziato ad acquistare questo specifico modello. Tecnicamente è una moto molto particolare, che è stata anche snobbata nel tempo, e invece è molto somigliante a una Superbike per quanto riguarda la componentisca, i dettagli”.
Come detto, tutte e tre le moto sono state costruite per la stagione sportiva 2000 e sono quindi molto simili fra di loro, anche se le differenze non mancano; ad esempio, quella del Team De Cecco è predisposta per la telemetria, che poi poteva essere utilizzata solo per le prove del giovedì, in quanto già dal giorno dopo non era più permessa: serviva quindi solo per una prima messa a punto in quanto poi era proibita dal regolamento.
Altra differenza è lo scarico che, invece di essere Termignoni, in questa moto è Akrapovic. La moto del Team De Cecco, infine, ha un motore che non è punzonato GPM (sigla che fa riferimento al preparatore veneto Gianesin) perché presero direttamente in Ducati le moto base, che poi elaborarono in base alle loro esigenze; in questo, un’eccezione alla regola, in quanto tutti i team satelliti di Ducati per il mondiale Supersport avevano motori punzonati GPM. Gianesin infatti, dal 1998 al 2001, si è occupato della preparazione, per conto di Ducati, dei motori destinati al mondiale Supersport, compresi ovviamente quelli del Team ufficiale, quindi anche per Rubén Xaus e Paolo Casoli, a cui sfuggì, proprio nel 2000, per pochissimo il bis del titolo mondiale.
L’aspetto particolare di queste moto è che se uno le guarda con le carene non si accorge del loro carattere, ma appena si scende nei dettagli si scoprono tanti particolari che, al di là del motore ovviamente, fanno la differenza: questo nonostante il regolamento Supersport fosse particolarmente rigido e richiedesse che, rispetto al modello in vendita nelle concessionarie (versione R), rimanessero invariate la forcella, i freni, i cerchi, le pompe freno e frizione e il forcellone.
Proviene invece dal mondo Superbike il raffinato mono Öhlins TT4, senz’altro molto difficile da vedere su una moto di serie, tant’è che a Marco risulta che fosse al tempo utilizzato anche sulla Yamaha 500 di Max Biaggi.
Molte poi le modifiche apportate per rendere le moto idonee alla competizione, prima fra tutte l’elaborazione del motore che veniva dotato di bielle in titanio, albero alleggerito ed equilibrato, cambio /5 (il classico cambio racing con la prima molto lunga utilizzato anche sulle Superbike e ovviamente rovesciato come su tutte le moto da corsa), camme più spinte con un disegno diverso rispetto all’originale, così da avere un’erogazione tipicamente da corsa, con tanta spinta agli alti regimi.
Le pulegge della distribuzione erano di quelle grosse, in ergal, il carter frizione era fresato per aumentare il flusso d’aria di raffreddamento della stessa, che era quella antisaltellamento nonostante l’aspetto estetico fosse identico a quella di serie, perché il piattello era lo stesso.
I perni del motore sono alleggeriti e di profilo conico, sostituiti perché quelli originali si rompevano facilmente, data l’estrema rigidezza del telaio e la potenza in gioco: quindi hanno adottato questo sistema con i dadi di fissaggio conici in modo da consentire al perno di potersi muovere e quindi di resistere alle sollecitazioni.
I radiatori dell’acqua sono quelli maggiorati della Ducati Corse, così come quelli dell’olio; ne risulta che invece che cinque elementi radianti, la RS ne dispone otto.
Il corpo farfallato è da 54 mm con un mono iniettore a doccia, con tanto di airbox maggiorato. I connettori benzina sono tutti ricavati dal pieno, mentre sulla R di serie erano in plastica; il serbatoio è di serie e non in carbonio come in Superbike e neanche maggiorato.
Il cablaggio invece è completamente differente, perché è quello racing che non ha niente in comune con quello stradale: un cablaggio semplificato, ovviamente, con tutti i connettori rapidi, questo sempre per facilitare le operazioni di smontaggio della moto.
Elettronica praticamente assente
L’elettronica rispetto ai giorni nostri era quasi inesistente, con la centralina 1.6 di serie e le eprom dedicate: la centralina stessa viene spostata dalla parte posteriore della moto a quella anteriore, dove un apposito telaietto in carbonio la ospita, mentre il suo posto sotto il codone viene preso dal serbatoio di recupero sfiato olio/benzina, anche questo in carbonio.
Le carene sono in carbonio, così come lo sono tantissimi particolari (portabatteria, codone, supporto strumenti, condotti airbox). Gli strumenti sono della CEV, simili a quelli di serie, analogici ma in versione racing con fondo bianco e lancetta rossa e che avevano la peculiarità di partire da 3000 giri, un altro particolare in comune con la sorella maggiore, che all’epoca era la 996 RS.
Uno degli aneddoti relativi a questa moto è che tutti i team, diciamo così minori, si ritrovarono a metà stagione con il budget per le revisioni e i ricambi praticamente esaurito: questo perché i motori duravano poco, richiedevano tantissima manutenzione e una revisione totale dopo poche centinaia di chilometri percorsi. Del resto, era un motore elaborato al massimo, al limite dei limiti, molto delicato che richiedeva la massima cura e quindi importanti investimenti: questa versione della 748 RS, infatti, riusciva a girare fino a quasi 13.000 giri per circa 130 Cv alla ruota.
Il bello di questa collezione è che non è destinata a starsene in garage a prendere polvere, perché Marco ha la fortuna e la capacità di portare queste moto in pista, tant’è che la 113 è stata usata quattro volte quest’anno in varie occasioni: “Posso dire che i 130 Cv ce li hanno tutti queste moto, permettono una guida divertente, con una “prima” infinita che ti consente di fare curve strette e tornantini, mentre come motore la spinta inizia verso gli 8000 giri per proseguire senza problemi fino appunto a quasi 13.000 giri. In questo sembra un po’ un due tempi: a 8000 giri parte, però senza aggressività, perché è molto più fluida di una Superbike. Sotto questo regime non è che sia proprio morta, ha un po’ di coppia, ma certamente fa un po’ di fatica. E’ comunque una moto alla vecchia maniera, rigida, ignorante”.
“Ignorante” è un bel termine e spiega bene il carattere di queste moto, per certi versi più vicine al motociclismo degli anni eroici, piuttosto che alle macchine moderne; per i riferimenti dei giorni nostri, l’elettronica e l’iniezione di queste moto possono essere addirittura essere definite come primitive, eppure queste 748 hanno un grandissimo fascino, una linea senza tempo, già con un ruolo importante nella storia della Ducati nelle competizioni.
Foto di Enrico Schiavi
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